PARRASIO (Παρράσιος, Parrhasius)
Pittore greco. Egli stesso si dice, in un epigramma sottoposto ad un suo dipinto, nato ad Efeso da Euenor e allievo di suo padre ed efesio lo dicono Arpocrate (Parr., p. 241), la Suda, Plinio (Nat. hist., xxxv, 6o e 67), Ateneo (xii, p. 543) e Strabone (xiv, i, 25); mentre lo dicono ateniese Seneca (Controv., x, v, 34), Acrone e Porfirione (Schol. Horat., Carm. iv). La seconda opinione si giustifica o col fatto che P. ottenne la cittadinanza ateniese o dall'aver vissuto quasi sempre ad Atene. Secondo Plinio egli fiorì nella 95 Olimpiade (Nat. hīst., xxxv, 64), cioè intorno al 400 a. C. o poco dopo, mentre il padre avrebbe raggiunto l'acmè intorno al 420 a. C. (Nat. hist., xxxv, 60) sia come scultore che come pittore. Ambedue le date sembrano alquanto tarde e dovrebbero piuttosto corrispondere alla vecchiaia degli artisti. Vi è una precisa indicazione che stabilisce come P. avesse già incominciato a lavorare intorno al 440 a. C.: Pausania (I, 28, 2) e Atenagora (xi, p. 782 B) ricordano infatti come egli avesse eseguito i disegni per lo scudo della Pròmachos fidiaca tradotti poi in metallo da Mys (v.), per il quale egli fece i disegni preparatori di uno sköphos. La menzione più tarda della sua attività è data poi da Plinio (Nat. hist., xxxv, 70) quando menziona il ritratto di Filisco che non può essere molto anteriore al 380 a. C. P. perciò sarebbe nato intorno al 460-455 a. C. vivendo fino al 385-380: pittore quindi longevo, il che spiega la ricca produzione che gli antichi autori gli attribuiscono. In questo lungo periodo abbiamo un altro punto fermo: sappiamo infatti come egli dipingesse un Eracle e altri quadri per Lindo (Plin., Nat. hist., xxxv, 71 e Athen., xii, p. 543 e xiv, p. 687) e per Rodi (Plin., Nat. hist., xxxv, 69). Ora il sinecismo da cui ebbe origine Rodi avviene nel 407 a. C., e quindi intorno a questa data o poco dopo va posto il viaggio dell'artista nell'isola. Più incerta è la data dell'altro celebre dipinto di P., il Denzos di Atene, anche se, per il fatto che forse se ne deve riconoscere una eco nelle parole di Socrate a P. nel celebre incontro ricordato da Senofonte e da datarsi tra il 415 e il 410 a. C. (Memorab., iii, 10, i), lo si debba ritenere dipinto poco prima di tale data. Infine un ultimo dato cronologico ci è offerto dai suoi quadretti di carattere lascivo: il primo ricordo di un simile genere di pittura si trova nell'Ippolito di Euripide (v. 1005 e ss.) e cioè nel 428 a. C. I quadri di tale soggetto quindi si possono datare dopo tale epoca.
Nell'elenco delle opere di P. sono prese in esame prima quelle datate, sia sicuramente sia approssimativamente, e quindi quelle di cui non è precisabile l'epoca.
1) Disegni per lo scudo della Atena Pròmachos di Fidia con la centauromachia (Paus., i, 28, 2) tradotti in metallo da Mys. Lo scudo dovette essere terminato ed applicato alla statua qualche anno dopo la sua erezione avvenuta verso il 455. Ricordi figurativi se ne sono identificati in un rilievo del Museo Nazionale di Atene (n. 3676) e in una coppa del ceramografo Aristophanes (J. D. Beazley, Red-fig., p. 842, n. 2) oggi a Boston (cfr. E. Langlotz, Phidiasprobleme, p. 75 e n. ii).
2) Disegni di una llioupèrsis per uno sköphos cesellato poi da Mys (Athen., xi, p. 782 B). A causa della cronologia di questi, tali disegni non possono essere molto lontani dal 440, e comunque vanno classificati tra le opere giovanili di Parrasio.
3) La personificazione del Demos di Atene (Plin., Nat. hist., xxxv, 69) nella cui figura si incontravano i caratteri più opposti che si potessero immaginare, come la pietà, la clemenza, la misericordia, la spavalderia, la fierezza e la viltà, l'ira, l'ingiustizia e l'incostanza. Appunto questo studio di caratteri ha fatto mettere questo quadro in relazione con il dialogo con Socrate, nel quale il filosofo e l'artista discutono sulla possibilità di rendere nella pittura i caratteri degli uomini (Xenoph., Memor., iii, 10, i). Circa la rappresentazione si è pensato che si trattasse di un animale con dodici teste (Quatremère de Quincy, Mon. rest., ii, p. 79) o di dodici figure accostate (Brunn, Gesch. d. gr. Künstler, ii, p. 110), ma è più probabile che si trattasse di una figura sola nella quale apparissero i sentimenti opposti che la critica riecheggiata da Plinio vi vedeva (A. Rumpf, in Am. Journ. Arch., lv, 1951, p. 8), con espedienti, proprî delle maschere sceniche, le quali nella dissimmetria del volto esprimevano i varî sentimenti. Rappresentazioni simili vengono di moda nell'ultimo decennio del V secolo.
4) Eracle per Lindo (Plin., Nat. hist., xxxv, 71 e Athen., XII, p. 543) sotto al quale un epigramma annunciava "Quale nelle tenebre della notte apparve (Eracle) a P. nel sogno, tale qui lo si vede". Purtroppo nessuna notizia più precisa esiste su questo dipinto che dovette andar distrutto nell'incendio del tempio di Atena Lindia avvenuto verso la metà del IV secolo.
5) Quadri non meglio precisati nel tempio di Lindo (Athen., xv, p. 687) che dovettero anche essi andar perduti nell'incendio in cui perì il quadro precedente.
6) Meleagro, Eracle e Perseo, a Rodi (Plin., Nat. hist., xxxv, 69), databile a dopo il 407, anno della fondazione della città. Il dipinto venne per tre volte colpito dal fulmine senza risentirne mai danno, malgrado fosse dipinto su tavola. Al tempo di Plinio esisteva ancora. È uno di quei gruppi di tre figure così cari agli artisti della fine del V sec. a. C.
7) Filisco tra Liber pater e la Virtus, ossia fra Dioniso e Aretè, cioè fra la Virtù e il dio della commedia (Plin., Nat. hist., xxxv, 70). Gruppo temo come il precedente, questo quadro è il più tardo di quelli che le fonti attribuiscono a P., poiché, per la cronologia di Filisco, va datato a verso il 380. Reinach (Rec. Milliet, 232) vorrebbe sostituire al nome di Filisco quello di Frinico. È inoltre importante che il nome di Dioniso sia dato nella forma latina di Liber pater, poiché ciò induce a pensare che il quadro fosse stato portato a Roma, forse al tempo di Silla.
I quadri lascivi vanno datati a dopo il 425; tra essi si possono comprendere:
8) in un gruppo di dipinti genericamente indicati come libidines viene specificato un quadro di Meleagro ed Atalanta (Plin., Nat. hist., xxxv, 72 e Sveton., Tib., 44, 2) acquistato da Tiberio per una somma rilevante. Atalanta è anche altre volte ricordata come eroina di libidines di altri pittori.
9) Arcigallo (Plin., Nat. hist., xxxv, 70). Forse costituiva un pendant del precedente, poiché fu anche esso acquistato da Tiberio per 6.ooo.ooo di sesterzi. Probabilmente a questo dipinto ed al seguente si riferisce il passo di Quintiliano (Instit. orat., v, xii, 21) nel quale egli si lagna che certi artisti preferiscano come soggetto dei loro quadri corpi molli ed effeminati anziché virili e sani.
10) Megabyzos (Tzetz., Chil., viii, 398) altro sacerdote di Cibele, che taluno ha voluto identificare con il dipinto precedente (Ferri, Plinio, p. 155, nota).
Tra i dipinti di vario soggetto non databili sono da ricordare:
11) Autoritratto sotto le sembianze di Hermes, firmato con uno pseudonimo (Themist., Orat., ii, p. 29 c): lo pseudonimo è dovuto al timore di una accusa di empietà, poiché doveva essere ancora vivo l'eco degli scandali suscitati da Alcibiade per essersi fatto ritrarre fra divinità, e l'accusa lanciata contro Fidia di aver inserito il suo autoritratto nello scudo della Parthènos.
12) Prometeo (Seneca, Gontrov., x, v, 34), dipinto esistente ad Atene, per il quale, secondo la aneddotica dei ciceroni, P. avrebbe torturato il modello, che era un prigioniero di guerra di Olinto, cioè un compatriota. La favola tuttavia indica da parte di P. una ricerca del pàthos molto evidente.
13) Teseo (Plin., Nat. hist., xxxv, 69 e 129; Plut., Mor., 346 B e Thes., 4). Era prima ad Atene, forse nella stoà di Zeus Eleuthèrios, di fronte al Teseo di Silanion e al Teseo di Euphranor, il quale riconobbe la superiorità di quello di P.; da Silla il dipinto venne portato a Roma nell'86 a. C. e collocato in Campidoglio dove andò distrutto nell'incendio del 70 d. C.
14) Filottete a Lemno (Anth. Pal., XVI, III, 112 e 113). L'eco di questo dipinto si è voluta vedere (B. Pace, in Mon. Acc. Linc., xxviii, 1922, col. 521 ss.) in un vaso dell'Italia meridionale nel museo di Siracusa, nel quale Filottete è rappresentato nella spelonca, seduto, con il suo arco, mentre si deterge la ferita con una penna; da Johansen e Rodenwaldt (in Arch. Anz., 1937, col. 237) nel bicchiere argenteo di Hoby firmato da Cheirisophos, seguiti in ciò dal Bianchi Bandinelli, mentre il Rumpf (in Am. Journ. Arch., 1951, p. 2) ne vede un ricordo in una lèkythos del Metropolitan Museum (n. 41.162.12).
15) La guarigione di Telefo per mezzo della ruggine della spada di Achille in presenza di Agamennone e Ulisse (Plin., Nat. hist., xxxv, 71). Forse questo dipinto era una opera giovanile da ricongiungere ai disegni della Ilioupèrsis eseguiti per Mys.
16) Enea, Castore e Polluce (Plin., Nat. hist., xxxv, 71). Anche questo soggetto va forse ascritto alla gioventù del pittore per analogia con il precedente. Comunque è una di quelle composizioni a tre figure che trovano riscontro nei bassorilievi del tipo di quello di Orfeo ed Euridice del Museo Naz. di Napoli. Alla maturità del pittore, al periodo cioè della sua maggiore fama, si debbono attribuire i quadri eseguiti in gara con altri artisti, due volte riportando la vittoria ed una volta soccombendo.
17) La pazzia simulata di Ulisse (Plut., Mor., 4 B) eseguito ad Efeso in gara con Euphranor. Le notizie delle fonti sono tuttavia più precise per questo secondo dipinto (Plin., Nat. hist., xxxv, 129).
18) Lite per le armi di Achille (Plin., Nat. hist., xxxv, 72; Aelian., Var. Hist., 18, ii; Athen., xii, p. 543; Eustat., Ad Od., 1698, 61) eseguito a Samo in gara con Timanthes, che ne uscì vincitore, suscitando pungenti commenti di Parrasio.
19) Dioniso (Polyb., xl, 7; Strabo, viii, 381) eseguito in una gara a Corinto, non sappiamo con quali concorrenti, nella quale P. uscì vittorioso.
Seguono infine un gruppo di quadri così detti di "genere", molto spesso esponenti di virtuosismo tecnico più che di qualità pittoriche.
20) Vecchia nutrice tracia con un bambino (Plin., Nat. hist., xxxv, 70), di cui un ricordo voleva vedere lo Pfuhl in un frammento di vaso nel British Museum con la figura di una vecchia donna tracia (Smith, Gat. Vases, iii, 308, fig. 24), ma che il Rumpf (Am. Journ. Arch., 1951, p. 7) ritiene anteriore a Parrasio.
21) Sacerdote con un sacrestano (Plin., Nat. hist., xxxv, 70).
22) Oplita in corsa (Plin., Nat. hist., xxxv, 71).
23) Oplita che si spoglia delle armi (Plin., Nat. hist., xxxv, 71); in questi due quadri, osserva Plinio, pareva di vedere il sudore e udire l'ansimare dei giovani.
24) Due efebi (Plin., Nat. hist., xxxv, 70).
25) Navarca con corazza (Plin., Nat. hist., xxxv, 69).
26) Tendaggio (Plin., Nat. hist., xxxv, 64) dipinto ad Atene in gara con Zeusi. Era un trompe-l'oeil che dimostrava la grande abilità tecnica e la padronanza del mestiere di Parrasio.
27) Tavola ignota ricordata da una epigrafe di Delo (Vallois, in Mél. Holleaux, 289).
28) Molti disegni su pergamena e su tavola che servivano da modelli ad altri artisti (Plin., Nat. hist., xxxv, 65).
Del carattere di P. sappiamo che era gaio, poiché canticchiava dipingendo (Aelian., Var. Hist., xi, 11) ma anche pungente e insofferente delle sconfitte come dimostra il suo risentimento verso Timanthes che lo aveva vinto nella gara per il quadro della lite per le armi di Achille. Amava il lusso così da vestire in modo ricercato ed eccentrico (Athen., xii, p. 543) e diceva di sè stesso di essere amante del lusso, definendosi habrodìaitos. Stimava molto la sua arte e la sua abilità così da dire, come riferisce Ateneo: "Anche se dovete sentire cose che vi sembrino incredibili io affermo che già l'estremo limite della abilità pittorica è stato oltrepassato dalla mia mano. C'è un termine che nessuno potrà mai superare. Ma in tutto quello che fanno gli uomini si va sempre incontro alla critica".
Lo stile di P. è così descritto da Plinio (Nat. hist., xxxv, 67-69): "Per primo dette alla pittura le norme della simmetria, per primo i minuti particolari espressivi nei volti, l'eleganza dei capelli, la piacevolezza dell'aspetto, e, per riconoscimento degli altri artisti, raggiunse la perfezione nelle linee di contorno dei corpi. Questa è la massima raffinatezza della pittura. Il dipingere i corpi e le zone centrali degli oggetti, è certamente prova di grande perizia, ma in cui già molti raggiunsero la gloria; invece rendere in pittura il contorno dei corpi e saper racchiudere il giro dei piani di scorcio là dove termina la figura, si trova raramente nel cammino dell'arte. La linea di contorno, infatti, deve come girar su sè stessa e finire in modo da promettere altre forme al di là di essa e rendere evidenti le parti che cela" (trad. Bianchi Bandinelli). Il passo è importantissimo perché, oltre alle discussioni cui ha dato luogo, spiega, nell'approssimativo linguaggio pliniano, lo stile di Parrasio. Egli si era posto il problema di rendere il volume ed il movimento dei corpi con il disegno, suggerendone la stereometria e l'articolarsi delle masse in profondità, problemi che nella scultura, a distanza di qualche decennio saranno affrontati da Skopas. Una eco dello stile di P. è stato giustamente visto in molte lèkythoi a fondo bianco, specie del Pittore di Achille, del Pittore del Canneto e del Pittore del Tumulo.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, nn. 1692-1830; A. Reinach, Rec. Milliet, Parigi 1921, pp. 257-301; H. Brunn, Gesch. griech. künstler, Stoccarda 1889, II, p. 197 ss.; A. De Capitani d'Arzago, La grande pittura greca, Milano 1945, p. 50; R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'arte classica, Firenze 1950, p. 45 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XVIII, 2, 1949, c. 1873-80, s. v.; A. Rumpf, in Am. Journ. Arch., LV, 1951, p. i ss.