PARRASIO (Παρράσιος, Parrhasius)
Pittore greco della scuola ionica; operò negli ultimi decennî del sec. V e sul principio del sec. IV a. C. Era nativo di Efeso, e apparteneva a famiglia di artisti, giacché si hanno notizie del padre suo Evenore, che ne fu anche il maestro. Svolse la sua attività in Atene, al tempo della guerra del Peloponneso, ma anche in Asia Minore; secondo la tradizione, Socrate avrebbe ragionato di pittura con P. e col suo contemporaneo e rivale Zeusi, della stessa scuola. Usò colori semplici, cioè pur sempre le quattro antiche tinte (nera, rossa, bianca e gialla); ma gli si ascrivono effetti nuovi, dei quali peraltro non siamo in grado di farci un'idea sufficiente. In lui si lodava soprattutto il fine contorno, che sembrava far scorgere anche la parte non visibile della figura; e se potessimo interpretare le fonti scritte, in modo da potere attribuire a P. un trattamento quasi modernamente sfumato e con effetto di forte rilievo plastico della figura dal fondo, ciò sarebbe vera novità nella pittura greca.
Sennonché non solo tale interpretazione non è consentita, ma troviamo esplicita attestazione in Plinio il Vecchio della poca valentia con cui P. sapeva rappresentare la parte interna della figura, ciò che sta entro il contorno. Anche P. era dunque non già un vero pittore, ma un semplice disegnatore a contorni, che riempiva poi di tinte unite l'interno delle figure, all'incirca come i ceramografi: soltanto egli era riuscito a fare più sottile, e perciò meno avvertibile, la linea di contorno. Gli stessi artisti vissuti fra l'età sua e quella di Plinio, tennero, in pratica, P. come un maestro di disegno, e studiavano con vantaggio i molti esemplari di disegni da lui lasciati in tavole e pergamene. Come poi con questo carattere disegnativo-lineare dell'arte di P. e con l'attestata insufficienza nel rendere ciò che sta entro il contorno, si possano conciliare le lodi per essere egli riuscito a riprodurre con finezza, e talora con artificio, l'espressione dei volti, e perfino il carattere distintivo di ogni persona (e ciò in opposizione a Zeusi) non si vede troppo chiaro. Il racconto riferito da Seneca, dell'aver messo alla tortura un vecchio schiavo per dipingere Prometeo, ha l'aria di una storiella, tanto più che quello spettacolo non doveva essere così raro da rendere necessario d'inscenarlo appositamente. Molto più seria è l'attestata insufficienza di P. nel rendere non solo le espressioni, ma le forme stesse contenute entro la linea di contorno. Non sembra infatti lecito dubitare che P. fu vinto, in una gara sul soggetto della contesa per le armi di Achille, dal pittore Timante, appunto in virtù dell'espressione dei caratteri e della motivazione psichica degli atteggiamenti dei personaggi, cose nelle quali il soccombente non era riuscito.
Meglio informati siamo intorno ai soggetti dei quadri di P.; è stato notato che egli predilesse gli eroi omerici, e dipinse anche altri eroi e dei (Ermete e Dioniso), a differenza di Zeusi; che di P. non si ricordano pitture di dee né di eroine, e di figure muliebri soltanto una nutrice e una personificazione di virtù, ma in compenso molti più fanciulli che non abbia dipinto il suo rivale. P. fu anche autore di piccole tavole con soggetti licenziosi, e un suo quadretto osceno di Atalanta e Meleagro era posseduto dall'imperatore Tiberio.
Bibl.: E. Pfuhl, Malerei u. Zeichn. d. Griechen, Monaco 1923, par. 750 segg. (laudativo e amplificativo dei pregi pittorici, secondo le idee più correnti, ma non appoggiate a fatti, intorno alla pittura greca); F. von Lorentz, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVI, Lipsia 1932, p. 255.