parola-feticcio
(parola feticcio), loc. s.le f. Parola oggetto di attenzione esagerata, come se, solo a pronunciarla, si producessero effetti straordinari.
• il golpe, la parola-feticcio degli anni settanta, torna a risuonare nei palazzi della politica. Non più per indicare i tentativi di putsch del principe Junio Valerio Borghese, del Mar di Carlo Fumagalli, o i piani di deportazione dei dirigenti di sinistra a Capo Marrargiu (ci sarebbe dovuto finire persino Alessandro Curzi). Lo spettro del golpe, questa volta, torna evocato dai leader della maggioranza, e dagli uomini più vicini al premier. (Luca Telese, Fatto Quotidiano, 6 ottobre 2009, p. 5, Storie di regime) • Emergenza significa anche un lasciapassare per intensificare il controllo e la sorveglianza che già permeano la società in cui viviamo; sicurezza è una parola-feticcio che copre una condizione generalizzata di insicurezza, essa pure da tempo esistente nell’attuale contesto sociale caratterizzato dalla precarietà; (Pier Aldo Rovatti, Piccolo, 23 gennaio 2015, p. 2, Attualità) • Alla vigilia, il sindaco [Camil] Durakovic aveva detto: «[Aleksandar] Vucic avrebbe fatto meglio a non venire, perché la Serbia non vuole ancora riconoscere che a Srebrenica si è perpetrato un genocidio, e un tribunale l’ha sancito». Ma occorrerà pensare al rischio che diventi una parola feticcio. Le vittime si sentono tradite se la loro sofferenza non riceve il nome di genocidio. I carnefici non possono rassegnarsi a che la loro violenza riceva il nome di genocidio. Quel nome finirà per segnare la barriera più erta per la buona volontà e la dose di ipocrisia necessarie a fare le paci. (Adriano Sofri, Repubblica, 12 luglio 2015, p. 12, Mondo).
- Composto dal s. f. parola e dal s. m. feticcio.
- Già attestato nella Stampa del 30 giugno 1978, p. 12, I libri (Dacia Maraini).