PARMA (A. T., 24-25-26)
Città dell'Emilia, capoluogo di provincia, tagliata da E. a O. dalla Via Emilia e da S. a N. dal torrente Parma, che immediatamente prima di attraversare la città è ingrossato dal torrente Baganza.
Giace nella pianura uniforme, a 52 m. s. m. Più grande è la parte di città posta alla destra del torrente (161 ettari), detta Parma Nuova, dell'altra che è a sinistra (103 ettari), detta Parma Vecchia o Oltretorrente.
La città romana, che sorgeva nell'odierna Parma Nuova, appoggiata sulla destra del torrente omonimo, di forma quadrata, misurava 375 m. di lato. Sotto Teodorico, nel 492 d. C., venne ampliata, mantenendo la forma quadrata, con m. 475 di lato.
Rimane tuttora il canale, detto Maggiore, costruito per dare acqua ai fossati esterni alle mura. Un terzo ingrandimento avvenne nel 1169 sotto il vescovo Bernardo II, allora signore della città, spostando la cinta verso nord fin presso la chiesa di S. Barnaba, e a levante vicino alla chiesa di San Michele dell'Arco, formando un rettangolo di m. 775 per m. 975. Sulla sinistra del torrente erano sorti intanto numerosi e popolosi borghi, e allora nel 1178 si scavarono profonde fosse di difesa, poco al di là della chiesa di San Giacomo; ma dopo alcuni anni furono portate oltre la chiesa di S. Croce e costruite le mura, precisamente nel 1211. L'ultimo importante allargamento della città fu compiuto sotto il dominio visconteo nel 1364 tra Porta Nuova e l'altra di S. Michele, cioè a sud e a levante, sicché la linea delle mura era circa a 30 metri al di là della chiesa di S. Michele, prima situata fuori, e verso mezzodì arrivava là dove presentemente sorge il monastero delle Cappuccine nuove. Le mura in quei tempi erano guarnite di torricine e di rocchette. Così Parma ebbe un circuito, esclusa la cittadella farnesiana, di metri 7050.
Il giro della cinta di mura è ancora oggi visibile; le mura resistettero, quasi intatte, fino agli ultimi anni del secolo XIX, e davano alla città un aspetto ellittico con l'asse maggiore da E. a O. Cinque porte si aprivano in esse, sostituite piìi tardi con barriere, 2 ai due estremi della Via Emilia, porte S. Michele e Santa Croce, una a N., Porta S. Barnaba, e 2 a S., porte S. Francesco e S. Maria, che portavano alle strade risalenti le valli del Parma e della Baganza. Più tardi, quando già era cominciato l'abbattimento delle mura, veniva aperta la barriera S. Benedetto o Saffi. E fino alla fine del sec. XIX poche erano state le costruzioni sorte fuori della cinta: a O., a E., a N. e specialmente a NE. s'erano venuti formando brevi agglomerati di case, ma rimanevano sempre vaste zone a orti, entro il giro delle mura, a NE., a SE. e a SO., e rimaneva pure intatta l'ampia zona destinata a pubblico giardino. Nei primi anni del sec. XX si cominciavano a costruire quei Lungoparma, che il periodo della guerra mondiale ha interrotti e che, ora ripresi, saranno presto condotti a compimento. Contemporaneamente s'iniziava da una parte l'occupazione delle zone ancora date alla coltivazione e dall'altra si estendeva fuori delle vecchie porte la costruzione di case: si formvano viali, secondo un piano regolare, anche a S. della città: anche la Piazza d'armi diventava area edificabile e si copriva di graziosi villini. Ancora si è proceduto in questi ultimi anni alla demolizione di interi quartieri dell'Oltretorrente, perché costituiti da case vecchie e malsane.
La città si rinnova, si abbellisce, si risana. Il centro è sempre la Piazza Garibaldi, tagliata dalla Via Emilia, e da essa partono varie linee tramviarie, che conducono all'estremità e nei borghi prossimi alla città. Cinque ponti varcano il torrente, due all'estremità della città, lungo i viali di circonvallazione, e tre all'interno della città.
La popolazione di Parma, interamente concentrata nel capoluogo, è andata lentamente crescendo nel secolo XIX: da 38.279 abitanti nel 1833 (si noti tuttavia che allora il comune aveva maggiore estensione) è salita a 48.523 nel 1901, a 51.910 nel 1911, a 58.469 nel 1921, a 71.282 nel 1931. Il maggiore aumento si è dunque verificato nell'ultimo decennio e dal primo censimento il suo territorio è diminuito.
Parma, come città rimasta per parecchi secoli capitale di uno stato, possiede tesori d'arte e numerose istituzioni culturali e artistiche (v. appresso); ha inoltre numerosi istituti di assistenza per le fanciulle, tenuti da congregazioni religiose, e istituti di beneficenza, alcuni dei quali, come la Congregazione di Carità detta di San Filippo Neri, l'ospedale degl'Incurabili e il Monte di Pietà, vecchi di secoli.
L'economia di Parma è soprattutto agricola, ché intorno alla città si stendono campagne fertilissime e ben coltivate; e difatti sono ben presto sorte quelle istituzioni che servono a fiancheggiare l'attività agricola: così sono del 1892 la cattedra ambulante, una delle prime in Italia, e del 1893 il consorzio agrario cooperativo. Tutte le industrie che vi prosperano sono dovute ai prodotti agricoli che dànno le terre del Parmense, all'infuori delle metallurgiche e meccaniche, che appartengono tutte alla piccola industria, e di altre poche, come quella dei busti e delle scarpe, l'una e l'altra un tempo fiorenti.
Centro ferroviario importante, oltre alla linea emiliana BolognaPiacenza, ha le due ferrovie che uniscono le Alpi col Tirreno: la Parma-Brescia e la Parma-Spezia; un'altra linea, appartenente alla società veneta, unisce Parma al Po e ai paesi della Bassa Reggiana e Mantovana. Otto linee di tram elettrici uniscono la città con i maggiori centri della pianura e della collina.
Il comune s'estende poco oltre la vecchia cinta delle mura abbattute, ed è contornato dai comuni di Cortile S. Martino, San Lazzaro, Vigatto, San Pancrazio e Golese. Misura 7,68 kmq. e la popolazione è quella indicata per la città, che non ha popolazione sparsa. Il circondario di Parma, ora abolito, il maggiore dei 3 circondari della provincia, misurava 1585,06 kmq., nel 1921 aveva 207.680 ab. (per oltre la metà raccolti) e comprendeva 27 comuni.
Arte. - La città, d'origine romana, ebbe un teatro e un anfiteatro, di cui rimangono tuttora nel sottosuolo le fondamenta. Frammenti di statue e di marmi decorativi appartenenti al teatro si osservano nel R. Museo, e gran parte dei marmi orientali dell'anfiteatro hanno servito a costruire gli archi, le colonne della cripta e le colonne polistili della cattedrale.
Del periodo longobardo e carolingio non rimane traccia; si conoscono solo i titoli di due chiese: S. Lorenzo e Maria Assunta. Invece si conservano molte costruzioni sacre e profane del periodo romanico fino alla metà del sec. XIII.
L'attuale cattedrale, già esistente nel 1046, ebbe distrutte dal terremoto del 1117 le vòlte della navata maggiore, ricostruite poco dopo su pianta rettangolare invece che quadrata, come sono infatti tutte le altre primitive di stile romanico. Con transetto e coro absidato, alta cupola, matronei, è una delle più complesse e sviluppate costruzioni romaniche. Il pronao con i leoni scolpiti da M. Giambono da Bissone è del 1281, e la torre fu innalzata nel 1284-1294. La pianta e la costruzione romanica sono state alterate dalle cappelle aggiunte nei secoli XIII e XIV e da altre costruzioni ad uso di sagrestia.
La struttura romanica appare all'esterno delle chiese di S. Tommaso apostolo, di S. Cecilia, fatta costruire nel 1193 dal cardinale Diano, di Santa Croce edificata nel 1210, di S. Andrea apostolo, esistente fino dal 1216. Il battistero, di forma ottagonale, rivestito di marmo rosso di Verona e ricco di sculture di B. Antelami e dei suoi scolari, fu incominciato nel 1196 (v. battistero, VI, tav. CVIII). I lavori, rimasti sospesi a cagione delle lotte politiche fra guelfi e ghibellini, furono ripresi più tardi, costruendo l'ultimo loggiato non praticabile e la vòlta con carattere gotico, intorno al 1260. La balaustrata a colonnette di pietra sopra il coronamento fu posta nel 1302 e le guglie qualche anno dopo, verso il 1307.
Dei palazzi duecenteschi eretti dal comune intorno alla nuova piazza, detta ora Garibaldi, si vedono in parte il Palazzo del capitano (1230), la loggetta, detta anche ambulatorio (1246), e il lato a mezzogiorno del Palazzo dei notai. Il Palazzo del vescovo, di fronte alla cattedrale, fu costruito sotto il vescovo Grazia negli anni 1232-36. Il grande cortile venne rifabbricato sotto il vescovo Sangiorgio al principio del Cinquecento, e di quell'epoca è anche il cornicione in terracotta.
I monumenti del periodo gotico sono in minor numero rispetto a quelli romanici, perché alcuni furono demoliti in seguito, come le chiese di S. Lorenzo, di S. Pietro apostolo e di S. Pietro martire; tuttavia l'architettura ogivale è rappresentata da S. Francesco del Prato, grandioso e severo, incominciato nel 1260 e condotto a compimento in tre epoche differenti: la prima, avanti il 1298, la seconda intorno al 1398, la terza negli anni 1445-1462. La torre adorna di terrecotte è del 1506. La chiesa del Carmine, con deambulatorio, fu incominciata a costruire nel 1313, nel 1355 vi furono aggiunte due nuove arcate e dopo il 1460 fu condotta a compimento. La chiesa di San Sepolcro, rifatta più tardi nel sec. XIV, ha un soffitto in legno intagliato negli anni 1613-15 da L. Zanibono di Ancona, e una torre innalzata nel 1616.
Monumenti insigni presenta la prima metà del Cinquecento. Bernardino Zaccagni costruì la facciata di San Benedetto, adorna di terrecotte, fra il 1498-1501, e si rivelò grande nel S. Giovanni evangelista (1494-1510).
Questa chiesa, a tre navate, ebbe prolungato il coro nel 1586-1590; la facciata fu ricostruita da Simone Moschino da Orvieto (1607) e la torre fu innalzata nell'anno 1614. Santa Maria della Steccata, splendida costruzione a croce greca, è opera dell'architetto G. Francesco Zaccagni con l'assistenza del padre Bernardino; fu incominciata nel 1521 e terminata da G. F. Agrate e M. A. Zucchi nel 1530. Il coro, su disegno del Fontana, venne aggiunto da A. Della Nave (1750), e gli ornati esterni di coronamento, balaustrate, statue e vasi, da M. Oddi alla fine del Seicento. Una fioritura di chiostri monacali del principio del Cinquecento adorna la città: quello di S. Quintino con l'armi gentilizie di Giovanna Sanvitale (1500); quello di S. Uldarico con l'armi della badessa Cabrina Carissimi (1500); il chiostro di San Paolo con le famose camere ordinate dalla badessa Giovanna Bergonzi all'architetto Giorgio da Erba, a cui si devono anche le chiese di San Michele (1514) e di San Marcellino (1540) e la piccola rotonda della Concezione con l'annessa sagrestia (1521). Del Seicento si hanno due monumenti caratteristici, più per la statica che per l'estetica: la chiesa dell'Annunziata, cominciata nel 1566 da G. B. Fornovo con cupola di forma ellittica su disegno di G. Rainaldi, e quella di S. Maria del Quartiere con cupola poligonale su disegno di G. B. Aleotti d'Argenta, cominciata nel 1604 da G. B. Magnani, innalzantisi l'una e l'altra fra contrafforti che girano all'intorno delle vòlte ardite.
Scenografica la chiesa di Sant'Antonio, a doppia vòlta, delle quali l'interna con trafori su disegno di F. Galli, detto il Bibbiena (1714). Grandioso è il palazzo farnesiano detto della Pilotta con semplici riquadrature, incominciato nell'anno 1583 da G. Boscoli di Montepulciano.
La scultura romanica si può seguire nei capitelli istoriati e nell'altare del duomo fino alle sculture di B. Antelami (v.): capitelli, leoni e la Deposizione dalla croce, parti del pulpito (1178); sculture dell'esterno e dell'interno del battistero. Poi Parma non riebbe che molto tardi una serie di scultori: si ricordano Roso da Parma, i Gonzate, lo Spinelli, M. Oddi, il Callani, il Bandini, ultimo il Marzaroli. Fiorente invece fu la scuola d'intaglio e d'intarsio fondata da Cristoforo e Bernardino da Lendinara.
A questi si deve il coro del duomo (1473) e, in parte, la sagrestia del Consorzio; a Luchino Bianchino le porte del duomo (1494) nonché il coro di S. Paolo, ora nell'oratorio dei Rossi (1510); a Giacomo Baruffi il coro di S. Uldarico (1505); e a Marc'Antonio Zucchi il coro di San Giovanni Evangelista (1512-32) con aggiunte di Francesco e Pasquale Testa.
L'incisione fu praticata nel Cinquecento dal Parmigianino, continuata da Enea Vico, nel Seicento da Sisto Badalocchio e G. Lanfranco e da altri numerosi incisori. Nel 1819 A. Isac fondò la Scuola d'incisione; ad esso successe Paolo Toschi che riprodusse, insieme con gran numero di suoi scolari, tutti eccellenti, gli affreschi e i quadri del Correggio e del Parmigianino.
Gli affreschi della gran cupola fanno del battistero un monumento insigne della pittura romanica; ma una scuola pittorica propriamente parmense fiorisce soltanto nel sec. XV e va da I. Loschi a Cristoforo Caselli, che fu alla bottega di Giambellino, e ai vecchi Mazzola. Ideali nuovi rivelò ai pittori di Parma il Correggio (v.) nei suoi affreschi del duomo, di S. Giovanni Evangelista, della camera del monastero di S. Paolo, e fu seguito da una schiera d'imitatori, che continuò ad accrescersi fino alla metà del Seicento con il Bernabei, il Lanfranco e il Conti, dai quali si staccò con potente originalità il Parmigianino (v.).
Nella vita artistica di Parma del secolo XVIII ebbe importanza la R. Accademia di belle arti, fondata da don Filippo di Borbone.
La R. Galleria ebbe pure origine da don Filippo, che la fondò presso l'Accademia di belle arti; fu arricchita da don Ferdinando nell'anno 1787. Alla munificenza di Maria Luigia e all'intelligenza artistica di P. Toschi si deve la formazione della Pinacoteca, poi ampliata più volte.
Accanto ad alcuni dei maggiori capolavori del Correggio (la Madonna della scodella, la Madonna del San Gerolamo), essa aduna un gran numero di pittori parmensi dal secolo XVI in poi, nonché importanti dipinti di scuole diverse. Anche il R. Museo d'antichità, fondato nel 1760 dal duca don Filippo per accogliervi gli oggetti rinvenuti negli scavi di Velleja, ha avuto negli ultimi tempi un considerevole sviluppo.
Istituti di cultura e biblioteche. - Università. - Già nel sec. XI esisteva a Parma una Scuola delle arti, di cui parla con lode Pier Damiano; nel sec. XII vi fiorivano un collegio di medici e uno di giuristi, nel XIII vi insegnava dialettica Giovanni Buralli, passato poi all'università di Parigi. L'università subì le vicende della città e fu più volte soppressa, ma sempre risorse per opera del comune. I due periodi più floridi furono la prima metà del secolo XVII, quando Ranuccio I Farnese le concesse ampî privilegi, e la seconda metà del sec. XVIII, quando fu interamente riformata per l'illuminata opera del ministro Du Tillot (1768). Conservata durante la dominazione francese (1802-14), favorita nei primi anni del governo di Maria Luisa, fu chiusa nel 1831 per motivi politici. Riaperta nel 1848, di nuovo chiusa nel 1849 da Carlo III, risorse nel 1854. Nel 1862 perdette le due facoltà di letteratura e teologia, nel 1887 ottenne il pareggiamento. Dal 1923 è università del gruppo B, con le facoltà di giurisprudenza e di medicina.
Biblioteca Palatina. - La Parmense fu aperta nel 1769 nel palazzo farnesiano della Pilotta; fondatore e primo bibliotecario fu P. M. Paciaudi (morto 1785). Dopo J. Affò (1785-97) e il Canonici (1797-I804), la diresse Angelo Pezzana (1804-62), sotto il quale raggiunse il massimo splendore per la munificenza di Maria Luisa, che l'arricchì di preziose raccolte. Con l'annessione del ducato al regno d'Italia, la Parmense divenne regia, e assunse più tardi il nome di Palatina, quando fu ad essa unita la biblioteca privata dei Borboni.
Archivio di stato. - L'Archivio ducale sorse nell'ultimo decennio del sec. XVI per opera di Ranuccio I Farnese. Le carte farnesiane, portate a Napoli nel 1734 da Carlo III di Borbone, furono solo in parte restituite negli anni 1749, 1766-67, 1788-89. Oltre il fondo farnesiano, notevoli quelli del periodo borbonico (1749-1802), della dominazione francese (1802-14) e del governo di Maria Luisa (1815-1847). L'archivio conserva tutte le pergamene e le carte dei conventi soppressi della provincia di Parma e Piacenza.
Convitto nazionale Maria Luigia. - Nel 1601 Ranuccio I Farnese istituì il Collegio dei Nobili, che ebbe per oltre due secoli vita prospera ed accolse i figli d'illustri famiglie italiane e straniere. Da Maria Luisa venne fuso col collegio Lalatta, che risaliva al 1755, e da lei prese il nome, che conservò anche dopo che fu convertito in Convitto nazionale (1896).
R. Conservatorio di musica. - In origine scuola di canto (1818); nel 1840 fu trasformato in scuola di musica; divenne conservatorio nel 1888. La biblioteca fu istituita nel 1889 come sezione della Palatina, da cui le provenne il più cospicuo materiale.
Storia. - Secondo le conclusioni della critica storica più recente, le prime forme di vita organizzata a Parma sarebbero rappresentate dalla terramara scoperta da L. Pigorini nella parte orientale della città il 18 marzo 1864. Per quanto essa non misuri più di tre ettari di superficie, proverebbe egualmente l'esistenza di un centro abitato a Parma durante il fiorire della civiltà del bronzo. Il primo nucleo parmense veramente urbano sarebbe peraltro da ritenersi etrusco, come ammettono E. Pais e P. Ducati e come il nome stesso della città (che è lo stesso del fiume presso il quale essa sorge) sembrerebbe provare.
Secondo il Ducati il nome di Parma va avvicinato ai gentilizî etruschi Parmni e Parmnial e al vocabolo Parmeisui dell'iscrizione dell'elmo bronzeo di Marburgo. Meno probabile la vecchia connessione col latino parma "scudo", secondo una presunta forma della città.
In mancanza di notizie certe sulla configurazione di Parma etrusca, per analogia con altri centri etruschi è probabile che nel luogo dell'antico abitato preetrusco i nuovi dominatori erigessero un fortilizio e bonificassero il circostante territorio.
Verso la metà del sec. IV a. C. i Celti si sostituirono nel Parmense agli Etruschi, che si ritirarono oltre gli Appennini. Sotto i nuovi padroni s'arresta lo sviluppo urbano nella valle del Po, e Parma è ridotta a semplice villaggio rurale.
Nel secolo III a. C., appena cioè Roma entra nel novero delle grandi potenze e cerca di tradurre in atto il disegno di unificare la penisola italica, per proteggere la pianura padana dalle scorrerie dei Liguri essa deduce colonie presso i centri già esistenti allo sbocco delle vallate appenniniche. Dopo circa quattro decennî di lotte tenaci (224-181) i Romani importano il loro diritto, le loro istituzioni e le loro arti nella Gallia Cisalpina, dove riprende a fiorire vita propriamente civile e urbana.
È in questo periodo che sulla Via Emilia, tracciata da M. Emilio Lepido nel 187 a. C., sorge la colonia romana di Parma (183 a. C.) iscritta nella tribù Pollia. Essa, dal momento in cui entra nell'orbita romana, sino all'inizio dell'epoca medievale, appare città di indubbia importanza, ricca di splendidi monumenti.
Anche l'appellativo di Chrysopolis, dato a Parma in questo periodo, sta a testimoniare indirettamente lo splendore della città sia che l'appellativo significhi "Città aurea", forse per la fertilità della regione, sia che significhi "Città dell'oro" perché vi era custodito il tesoro di guerra dei Greci o, secondo altri, le somme riscosse come tributi durante lo stesso periodo bizantino.
L'agro parmense, al tempo della conquista romana, era ancora paludoso e selvoso, specie vicino al Po, benché probabilmente già in parte bonificato dagli Etruschi, che erano abili agricoltori e ottimi idraulici. Comunque è certo che ai tempi di Polibio l'agricoltura vi era praticata su vasta scala, con risultati più che soddisfacenti. Cinquant'anni dopo (115 a. C.) con le bonifiche del console M. Emilio Scauro il benessere rurale aumenta; più tardi Marziale celebra l'industria parmense della lana.
Basandosi su alcuni testi epigrafici qualcuno ritiene che Giulio Cesare, per ricompensare i Parmigiani del valore dimostrato nella Gallia transalpina, conferisse a Parma il nome di Iulia. Alla città sarebbe stato conferito l'altro nome di Augusta dopo che Ottaviano l'ebbe restaurata del saccheggio patito per opera dei soldati di Marco Antonio. Anche Costantino le fu generoso di restauri, e Parma in segno di gratitudine gl'innalzò una colonna di marmo con iscrizione onoraria. Sotto l'imperatore Massimo (387 d. C.) Parma, come le consorelle dell'Emilia, decadde.
Sotto Teodorico risorse all'antica magnificenza, per ricadere sotto Totila e risorgere sotto la dominazione bizantina (553-568 d. C.).
Durante il periodo longobardo, secondo alcuni, sarebbe sempre stata retta da un duca, secondo altri, prima da un duca e poi da un gastaldo. Nel nuovo ordinamento introdotto in Italia da Carlo Magno fu capoluogo di comitato. Essa però era già da tempo sede vescovile di qualche importanza.
Contro l'Affò che sostenne non potersi dimostrare l'esistenza della sede episcopale a Parma prima del sec. VII, e contro chi sosteneva che Urbano era stato il primo vescovo, Giovanni Mercati provò che Urbano, coinvolto nell'età di Ambrogio e di Damaso in alcuni processi, è il più antico vescovo conosciuto, non il primo.
Tutto lascia credere che a Parma la cattedra episcopale sia stata istituita non molto dopo l'editto di Costantino del 313. Se nel 369 c'era già, e forse da alcuni anni, un vescovo ariano, è certo che prima di lui altri vescovi ortodossi avevano occupato la cattedra parmense.
La diocesi di Parma, con quelle dell'Emilia, durante il sec. V passò sotto l'autorità gerarchica di Ravenna, mentre fino a quell'epoca Milano aveva mantenuto su Parma la sua autorità spirituale.
Con l'importanza della diocesi aumenta gradatamente quella del vescovo. Lo svolgimento storico della formazione dell'autorità civile dei vescovi parmensi, attraverso un progressivo sviluppo, dalla primitiva immunità carolingia arriva a mano a mano all'esercizio effettivo dei poteri comitali.
Il Pivano distingue dal sec. IX al sec. XI tre differenti momenti nello sviluppo del potere dei vescovi, determinati dalle tre famiglie comitali che, nel medesimo tempo, si sono succedute in Parma, contrassegnando tre distinti periodi nella storia della città, e che dal loro capostipite il Pivano denomina: famiglia Supponide, famiglia Bernardinga, e famiglia Arduinica.
Prima del 1° giugno 1035 l'imperatore Corrado, investiva il vescovo Ugo di Parma del governo della città e del contado (quantum episcopatus ipsius comitatus distenditur); investitura confermata il 15 di febbraio 1036. Da allora i vescovi di Parma portano il titolo di conte.
L'autorità temporale dei vescovi e il loro prestigio spirituale, minati da frequenti scismi, andarono scemando nel lungo periodo delle lotte delle investiture, particolarmente vivaci a Parma, che ebbe una parte non indifferente nella lunga contesa, come lo dimostra il fatto che diede due antipapi alla lotta: Onorio II (Cadalo) e Clemente III (Giberto da Parma).
Un nuovo potere cittadino era già sorto nel 1081, poiché in un placito del dicembre di quell'anno, tenuto in Parma da Enrico IV, sono chiaramente distinti i cittadini parmensi da altri uomini presenti. Ad ogni modo è del 1092 un documento per il quale certo Bonizone Stanzio concede a livello ad Aicardo, canonico di Parma, un pezzo di terra, presso il naviglio, da lui già avuto in premio de toto parmensi populo et domni Einrici et episcopi Everardi.
L'autorità del vescovo continua peraltro a mantenersi assai grande ancora per qualche secolo, come fra l'altro è dimostrato dalla lunga controversia sorta tra il comune e il vescovo per la esazione delle decime, al principio del sec. XIII. Fu in quella occasione che il vescovo Grazia fece stendere, nel 1230, un apposito Rotulus in quo sunt descriptae fere omnes Ecclesiae et Capellae civitatis et diocesis Parmae, nel quale sono elencate le decime, spettanti al vescovo in ogni circoscrizione e comunità ecclesiastica della diocesi. Il documento ci conferma che l'autorità civile continuò a lungo la lotta per sottrarsi interamente all'autorità vescovile soprattutto dopo che Federico II ebbe confermato ai Parmigiani i privilegi già ottenuti con la pace di Costanza.
La vita parmense nei secoli XI, XII e XIII fu spesso agitata dalle lotte tra guelfi e ghibellini e Parma si schierò spesso dalla parte degl'imperatori, specie ai tempi degli antipapi Onorio II e Clemente III, parmigiani. Ma al tempo della lotta tra gli Svevi e la Chiesa, per l'influenza d'Innocenzo IV, si costituì a Parma intorno alla famiglia dei Rossi un forte partito guelfo, che ebbe il predominio nel comune e conseguì il successo più clamoroso con la vittoria riportata contro Federico II (1248).
Senza entrare in merito alla questione dell'anno in cui i Parmigiani pensarono a raccogliere le loro leggi, certo è che nei primi anni del sec. XI I un atto ci assicura essersi già costituito un corpo di leggi municipali. Negli Statuta Communis Parmae Digesta anno MCCLV uno dei capitoli più importanti, quello dal titolo Determinatio compositionis mercadanciae che è del 1215, mostra chiaramente come le corporazioni parmensi al principio di quel secolo fossero già fiorenti. Le cosiddette Quattro arti (cioè le corporazioni dei beccai, fabbri ferrai, calzolai e pellicciai) avevano una incontestata supremazia sulle altre.
La suprema magistratura del comune era affidata al podestà, il quale, entro i primi quattro giorni della sua entrata in ufficio, delegava otto cittadini, due per quartiere, a formare un consiglio di 560 cittadini. Essi formavano la Concio, della quale facevano parte di diritto anche i consoli delle Vicinie, e i Rectores artium et misteriorum.
Fra le corporazioni, verso la metà del Duecento, ebbe grande importanza quella dei beccai, che innalzò alla temporanea signoria della città Giberto da Gente, il quale, come dice Salimbene, concentrò nelle sue mani la triplice podesteria del comune, del popolo e dei mercanti per cinque anni, e si fece poi dichiarare signore della città con assegno annuo di 2000 imperiali. Venne deposto nel 1259.
Gli statuti del comune di Parma dal 1256 al 1304 pur confermando parecchie delle disposizioni precedenti, stabiliscono la supremazia della parte guelfa e della Società dei crociati, che diventa l'arbitra del comune.
Nel 1303 Giberto da Correggio si vale del favor popolare e dell'appoggio dei nobili per insignorirsi della città e spadroneggiarvi sotto il manto di defensor sanctae pacis Ecclesiae, mercadantiae, artium et misteriorum protector et gubernator. Ma nel 1316 i Parmigiani se ne liberano definitivamente. Tornata all'indipendenza, Parma richiama in vigore gran parte delle vecchie leggi comunali, con le aggiunte e modifiche del caso, formando così il terzo statuto ab anno MCCCXVI ad MCCCXXV, che è ispirato dalla preoccupazione d'impedire il sorgere di nuove tirannidi. La Società dei crociati, che si è mutata in Società dei tremila, è il principale appoggio del comune.
Con la dedizione alla Santa Sede (1322) incomincia un nuovo periodo, e Parma passa presto dalla soggezione al pontefice a quella a Ludovico il Bavaro e poi sotto Giovanni di Boemia, finché le lotte tra i Correggesi e i Rossi la fanno cadere sotto gli Scaligeri, i quali le tolgono quel poco di libertà che, fra tante vicende, aveva saputo conservare.
Dopo la breve parentesi di Azzo da Correggio, i Visconti tennero la città dal 1346 al 1447. Si deve ai Visconti il quarto ed ultimo statuto, compiuto nel 1347, che, nonostante il trionfo del dispotismo, ritiene non poco degli statuti precedenti. Dopo un brevissimo periodo d'indipendenza la città fu sotto gli Sforza dal 1449 al 1500, quando cadde in mano ai Francesi. Con la sconfitta di questi a Ravenna (1512) Parma venne unita agli Stati della Chiesa, ma per l'accordo di Viterbo (1515) ritornò alla Francia, la quale, per l'esito infelice della campagna in Italia, insieme col ducato milanese perdè nel'1521 il territorio parmense, dove venne ripristinato il dominio pontificio, del quale fu governatore Francesco Guicciardini. Nel 1545 Paolo III faceva di Parma la capitale di un piccolo ducato, con la cui storia si confonde da allora quella della città (v. parma e piacenza, ducato di).
Battaglie di Parma.
Combattimento del 29 giugno 1734. - Avvenne durante la guerra di successione di Polonia tra i Franco-Sardi (48.000 uomini) comandati dal marchese di Coigny, e gli Austriaci (47.000 uomini) agli ordini del principe di Württemberg e del conte di Mercy. Schierati lungo il Taro, dopo aver occupato Colorno, gli Austriaci avanzano lungo il canale di Viacava, dove, su quattro linee, sono disposte a difesa di Parma le truppe alleate. Nella zona centrale alla Crocetta si accende una violenta battaglia, che termina con lo sfondamento della linea tenuta dai Franco-Sardi, operato da una colonna che il Württemberg ha lanciato in un attacco frontale. Ma l'esercito imperiale, avido di bottino, non sa sfrvttare il successo e il Coigny ne approfitta per spostare rapidamente verso il settore del combattimento nuove truppe. La sorpresa di numerosi, violenti contrattacchi e la morte del Mercy inducono il Württemberg a ordinare la ritirata, che si volge in fuga precipitosa durante la notte. Il mancato inseguimento immediato da parte dei Franco-Sardi, impedisce loro di conseguire l'annientamento del nemico. Perdite: alleati 4000 (morti e feriti); imperiali 5000.
Combattimento del 2 marzo 1814. - La mattina del 2 marzo il generale Grenier comandante le truppe francesi e italiane, su tre colonne, passò il Taro e attaccò la retroguardia (brigata Starhemberg) della divisione austriaca del Nugent. Il gen. Grenier mirava a impadronirsi di Parma, senza però abbandonare l'inseguimento delle forze nemiche. Ma a contrastare l'avanzata degli alleati e a guadagnar tempo, il Nugent aveva lasciato a Parma il reggimento dell'arciduca Francesco Carlo, così che il gen. Grenier fu costretto ad attaccare la città impiegando tutte le truppe a disposizione. L'attacco venne effettuato su tre colonne di una brigata ciascuna, le quali quasi contemporaneamente penetrarono in Parma e, col concorso della cavalleria, catturarono 1500 uomini.
Vita musicale. - La riputazione che ancora oggi contribuisce a dare considerevole valore al giudizio espresso dal pubblico parmense, s'è venuta formando intorno al nome della città di Parma nei secoli XVI e XVII quando, capitale di un piccolo stato e governata da principi ansiosi di dare sempre maggior lustro e maggiore autorità alla propria casata, essa offriva, ai migliori musicisti italiani e stranieri, nelle sue chiese, nei suoi palazzi, nei suoi teatri, sicuro e pieno riconoscimento del loro valore e insieme le migliori condizioni di vita. La fama artistica della piccola città emiliana comincia, infatti, con l'inizio della dominazione farnesiana e in specie con l'inizio del governo del secondo duca Farnese, Ottavio, che salì al trono nel 1547; e cresce, di poi, sempre più, diffondendosi per tutta l'Italia e ponendo Parma a un livello artistico non inferiore a quello raggiunto da altre celebri città italiane: Ferrara, Mantova, Firenze, Venezia, Roma.
Nei secoli XVI e XVII a Parma affluiscono rappresentanti illustri delle maggiori scuole musicali, italiane e straniere. E come nelle cantorie e davanti alle tastiere degli organi delle sue molte chiese incontriamo ragguardevolissime personalità come C. de Rore, C. Merulo, il Dillen, R. Malpert, P. Ponzio, C. M. Lanfraneo, V. Bonizzi, B. Sabadini, L. Penna e molti altri compositori e organisti del Cinquecento e del Seicento; e come il palazzo ducale è frequentato da rinomati strumentisti quali i liutisti Santino Garsi, Andrea Falconieri, Orazio Bassani e i violinisti Marco Uccellini e Biagio Marini, così nelle sale ducali, nelle chiese, nei teatri cittadini vengono eseguite musiche vocali e strumentali a una e più voci di C. Monteverdi, di B. Ferrari, di F. Manelli, del Sabadini, del Sacrati e di tanti e tanti altri compositori da teatro e da sala, musiche interpretate dai più illustri cantori dell'epoca, quali il Crivello, il Mares, la Settimia Caccini, A. Ghivizzani, Antonio Predieri, F. Pistocchi e altri.
Il movimento musicale parmense si manifesta più intenso, però, in quei due secoli, particolarmente alla corte ducale, nella cattedrale, nella chiesa di S. Maria della Steccata, nel Teatro Farnese, che si aprì nel 1628 e nel popolare Teatro Ducale che fu costruito nel 1688 e durò sino al 1828. Le cappelle del duomo e della Steccata hanno una tradizione gloriosa al pari delle esecuzioni liutistiche, violinistiche e orchestrali avvenute a Palazzo Ducale. Lo sviluppo, in Parma, della forma teatrale nel sec. XVII diede luogo non rade volte a manifestazioni d'ordine superiore e destinate a una scelta particolare di uditori, e si diffuse poi nel secolo stesso assai rapidamente nella folla, diventando, in breve, spettacolo popolare.
Il gran teatro Farnese, inaugurato, nel 1628, con musiche di autori diversi e in particolare di Claudio Monteverdi, fu, durante il sec. XVII, la sede preferita per i grandi spettacoli scenici; esso si aprì parecchie volte, tra il 1628 e il 1690, a rappresentazioni drammatiche e coreografiche grandiose. Ma la vastità stessa e la ricchezza del magnifico teatro impedirono che esso potesse essere sede abituale di spettacoli e specialmente di spettacoli popolari. Altri teatri, più modesti ma più adatti ad accogliere ogni sorta di pubblico si aprirono, quindi, in Parma dando vivo impulso allo spettacolo drammatico. Sorse, dapprima, il Teatro della Racchetta nel quale numerose opere teatrali furono rappresentate con musiche del Manelli, del Ferrari, dell'Uccellini, del Boretti, del Sabadini. Poi, nel 1688, venne aperto il Teatro Ducale che divenne la sede consueta delle rappresentazioni melodrammatiche. Esso durò sino al 1828, quando fu demolito e in sua vece sorse il nuovo teatro, l'attuale Teatro Regio.
Ma col diffondersi del gusto per lo spettacolo teatrale e con la costruzione del Teatro Ducale, la vita musicale parmense va trasformandosi. Le tendenze cinquecentesche e secentesche sono ormai tramontate e l'arte settecentesca impera; il melodramma serio o giocoso s'impone sopra ogni altra opera di musica, a Parma come in tutta l'Italia. Alla dinastia farnesiana succede, allora, la borbonica che sotto Filippo, e mercé l'opera del ministro Du Tillot, dà grande impulso all'opera teatrale e richiama a Parma gran numero di celebri artisti (A. Traetta, G. B. Duni, G. Aprile, F. Cuzzoni, G. Tartini, e i Besozzi, la "troupe Delisle" e tra i "librettisti" Carlo Goldoni, ecc.).
Sotto il governo di Maria Luisa, al Teatro Ducale succede, nel 1828, il Teatro Regio, che ha una serie numerosa e brillante di rappresentazioni operistiche. Ancor oggi il Teatro Regio gode grande fama, mentre fioriscono insieme con esso altre nuove istituzioni di notevole importanza, quali il R. Conservatorio di musica, la Società di concerti, ecc., sorte negli ultimi cinquant'anni.
Arte della stampa. - L'arte della stampa fu introdotta a Parma nel 1472 dal torinese Andrea Portilia, il quale impresse fino al 1482 diciotto opere fra cui Petrarca, Virgilio, Ovidio e la bellissima edizione della Storia naturale di Plinio (1480). Nel 1473 vi giunse un lionese, Étienne Corallus, che cominciò con lo stampare l'Achilleide di Stazio e poi, fino al 1479, altri classici latini e opere giuridiche. Di un Damiano de Moyllis parmense, sono noti un magnifico Corale in-folio datato 10 aprile 1477, impresso insieme al fratello Bernardo, un curioso trattatello con le regole per disegnare l'alfabeto maiuscolo e due libri di filosofia stampati negli anni 1481 e 1482 insieme con G. A. de Montalli. Una tipografia era nella Certosa di Parma, testimone la Historia flendae Crucis di B. Pallavicino, del dicembre 1477; un solo libro è noto del tipografo Genesio del Cerro: Terenzio, Parma, 31 luglio 1481. Del 1483-1484 sono datati tre volumi di Deiphobus de Oliveriis; mentre dal 1486 iniziò la sua attività tipografica Angelo Ugoleto, fratello dell'umanista Taddeo.
V. tavv. CXIII-CXVI.
La provincia di Parma.
La provincia di Parma, la seconda dell'Emilia per ampiezza (3457, 13 kmq.) e la meno popolata relativamente (108 ab. per kmq.), ha a N. le provincie di Mantova e di Cremona, a O. quelle di Piacenza e di Genova, a S. quelle de La Spezia e di Massa Carrara, a E. quella di Reggio. Si può dire che i confini siano segnati, da tre parti, naturalmente: il Po (N.), l'Enza (E.), la linea spartiacque (S.); a O. il confine è segnato dal contrafforte fra Ceno (Taro) e Nure, dal Ceno, dallo Stirone (Taro) e dall'Ongina. Una serie di belle cime, dal M. Malpasso a E. (1716 m.) al M. Ghiffi a O. (1237) si eleva a S., e due passi la tagliano, quello della Cisa (1041 m.) e l'altro di Cento Croci (1053 m.). Dalla linea di vetta partono tre contrafforti che separano le acque dell'Enza, del Parma, della Baganza e del Taro, giungendo fino alla pianura, e s'innalzano spesso oltre i 1000 m.; altri contrafforti minori dividono il Ceno dal Taro e dal Nure. Varî laghetti, di origine glaciale, si aprono, quasi presso il crinale, e fra essi il più importante è il lago Santo (1507 m. s. m.). Il Parma e il Taro sono fiumi del tutto parmensi, l'Enza ha la sponda sinistra nella provincia di Parma, la destra in quella di Reggio. La riva destra del Po dalle foci del torrente Ongina alle foci dell'Enza è parmigiana.
La zona di montagna ha un'estensione superiore a quella della zona di collina e di pianura, riunite insieme, tuttavia la feracità del suolo e l'abilità del contadino parmigiano, educato ai metodi nuovi e alle colture più audaci, hanno dato ampio sviluppo all'agricoltura, che ha parte assolutamente preponderante nell'economia della provincia. Oltre alla produzione del frumento, delle uve, e dei foraggi tre industrie hanno avuto momenti di grande prosperità: l'industria casearia, quella della conserva di pomodoro, fiorentissime anche ora, e l'industria dei salumi. Il parmense ha inoltre alcuni centri famosi per le acque minerali come Salsomaggiore, di fama mondiale, e Tabiano; a Salsomaggiore e a Fontevivo vi sono giacimenti di petrolio. Grandi strade di comunicazione uniscono Parma con Sestri Levante e con Genova, lungo la vallata del Taro e della Baganza e il passo della Cisa, con Piacenza e con Reggio (Via Emilia), con Cremona (Parma-Zibello), con Brescia (Parma-Colorno-Casalmaggiore), con Mantova (Parma-Brescello); sono importanti inoltre tra le linee ferroviarie la Fidenza-Cremona e la Fidenza-Fornovo. Molte sono le località ricche di ricordi del passato: Montechiarugolo e Guardasone nella valle dell'Enza, Torrechiara nella valle del Parma, Sala e Felino nella valle della Baganza, Fontanellato, Soragna, Busseto e Colorno nella pianura.
La provincia comprende 51 comuni con una popolazione complessiva di 373.695 ab. (1931). Nel 1871 gli abitanti erano 264.381; 267.306 nel 1881; 294.159 nel 1901; 361.786 nel 1921. La superficie della provincia fu peraltro accresciuta, nel 1923 e nel 1926, di 197,74 kmq. È divisa in 2 diocesi: Parma e Fidenza, soggette, con Piacenza, all'arcimscovado di Ferrara.
Bibl.: Storia: I. Affò, Storia della città di Parma, Parma 1792-95, voll. 4 (fino all'anno 1346); A. Pezzana, Storia della città di Parma, continuata da quella dell'Affò, ivi 1837-49, voll. 5 (fino all'anno 1500); U. Benassi, Storia di Parma, ivi 1899-1906, voll. 5 (fino al 1534); Bassi-Benazzi, Storia di Parma dalle origini al 1860, ivi 1908; Corpus Inscr. Lat., XI, p. 188 segg.; R. Andreotti, Intorno ai primordi ed allo sviluppo di Parma nell'antichità, Roma 1929; D. Brentana, Contributo allo studio dei cani preistorici con speciale riguardo ai cani della terramara di Parma, Parma 1931; N. Pelicelli, I vescovi della Chiesa parmense, in L'Eco della curia vescovile di Parma, dal 1928 (fasc. 1°) in poi; A. Schiavi, La diocesi di Parma, Parma 1925; S. Pivano, Il "Comitato" di Parma e la "marca" lombardo-emiliana, in Arch. stor. p. le provincie parmensi, n. s., XXII (1922); id., Le famiglie comitali di Parma dal sec. IX all'XI, ibid., n. s., XXII bis (1922); Monumenta historica ad provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, Parma 1856-1862; U. Benassi, Codice diplomatico parmense, I (secolo IX), Parma 1910; G. Drei, Le carte degli archivi parmensi dei secoli X e XI, voll. 2, ivi 1924-28 (estr. dai voll. XXI bis, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVIII dell'Arch. stor. per le prov. parm.); G. Micheli, Le corporazioni parmensi d'arti e mestieri, ivi 1899; id., Gli statuti delle corporazioni parmensi, ivi 1913; M. Melchiorri, Vicende della Signoria di Ghiberto da Correggio in Parma, in Arch. stor. per le prov. parm., n. s., VI (1906); N. Grimaldi, Le origini del ducato farnesiano di Parma e Piacenza, in Aurea Parma, 1926, fasc. maggio-giugno; L. Montagna, Il dominio francese in Parma (1796-1814), Piacenza 1906; P. Silva, I primi tempi dell'amministrazione Nardon (contributo allo studio del dominio francese), in Arch. stor. parmense, XXII bis (1922); V. Paltrinieri, I moti contro Napoleone, Bologna 1827; O. Masnovo, Il gabinetto letterario di Parma (contributo alla storia dello spirito pubblico), in Arch. stor. parm., XXII bis (1922); id., I moti del '31 a Parma, Torino 1925; id., Carattere nazionale dei moti parmensi del 1831, in Rass. storica del Risorgimento, XIX (1932); C. di Palma, Parma durante gli avvenimenti del 1848-49, Parma 1931; E. Casa, Parma da Maria Luigia a Vittorio Emanuele II, ivi 1901. Cfr. pure S. Lottici-G. Sitti, Bibliografia generale parmense, ivi 1904; E. Alinovi, Bibliografia parmense della seconda metà del sec. XIV, ivi 1905.
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