PARMA e PIACENZA, Ducato di
Con bolla in data 16 settembre 1545, papa Paolo III Farnese investiva il figlio Pier Luigi del ducato di Parma e Piacenza. Così le due città erano separate dallo Stato della Chiesa e iniziavano una nuova era sotto la dinastia dei Farnesi, che durò fino al 1731. Per indennizzare in qualche modo la Chiesa del danno che le si arrecava, le furono restituite, da Pier Luigi e da suo figlio Ottavio, Nepi e Camerino e fu stabilito che il duca di Parma le dovesse sborsare 9000 ducati l'anno. Nella costituzione di questo nuovo ducato sotto Pier Luigi Farnese, con la successione prestabilita nel suo primogenito Ottavio, la critica storica riconosce, più che uno dei soliti episodî di grande nepotismo, l'estremo tentativo da parte di papa Paolo III per salvare dall'assorbimento spagnolo, dilagante dalla Lombardia, gli ultimi residui della potenza dello Stato ecclesiastico nella regione emiliana.
Pier Luigi, già duca di Castro, conte di Ronciglione e marchese di Novara, assunse il ducato di Parma e Piacenza il 23 settembre 1545. Sua preoccupazione costante fu erigere una cittadella tanto a Parma quanto a Piacenza, per tenere a freno i nemici interni ed esterni. Ma avendo calcato troppo la mano sulla nobiltà feudale, finì miseramente la vita il 10 settembre 1547, dopo appena due anni di regno, per opera di congiurati appartenenti alla nobiltà, che agivano d'accordo col governatore di Milano, Ferrante Gonzaga (v. farnese).
Il figlio Ottavio (1547-1586) seppe dare assetto al ducato con buone leggi, ma non senza difficoltà conservò il trono, per quanto sposato a Margherita d'Austria, figlia prediletta dell'imperatore Carlo V. Gli successe il suo secondo figlio, Alessandro Farnese (v.) (1586-1592), che, preferendo la scienza della guerra all'arte del governare, delegò a reggere lo stato il figlio primogenito Ranuccio, che gli successe definitivamente alla sua morte, nel 1592.
Ranuccio I (1592-1622) ebbe idee grandiose, forse superiori alla potenzialità economica del piccolo ducato: a lui si deve la costruzione della grandiosa Pilotta, palazzo di proporzioni gigantesche, la fondazione del Collegio dei Nobili, di fama europea, il rifiorire dell'università. A lui si devono anche le Costituzioni del 1594, con le quali volle dare un'impronta personale allo stato farnesiano. Nel 1612 represse con grande energia la congiura ordita contro di lui nel 1611, per la quale lasciarono la testa sul patibolo Barbara Sanseverino, Alfonso Sanvitale e Pio Torelli.
A Ranuccio successe, sotto la reggenza dello zio card. Odoardo, il decenne Odoardo (1622-1646). Animato da grande ambizione, in odio alla Spagna si alleò con Luigi XIII di Francia e, coinvolto nella guerra mossagli da Francesco I duca di Modena, e più tardi in quella di Castro, poco mancò non perdesse il ducato.
Il figlio Ranuccio II (1646-1694), amante delle arti e degli studî come il nonno, fu costretto a gravare di tasse il popolo, già stremato dai frequenti passaggi di soldatesche straniere e dalle spese eccessive della corte, che sotto di lui si abbandonò a un lusso sfrenato. Morì soffocato dalla pinguedine, imperfezione ereditaria nei Farnese, senza aver saputo trovare rimedio al disordine finanziario dello stato. Aveva regnato 48 anni e ampliato lo stato con l'acquisto dei feudi di Bardi e di Compiano.
Francesco (1694-1727) portò giustizia e mitezza sul trono ereditato dal padre, proteggendo gli studî e le arti nei limiti di una saggia amministrazione. Di lui merita di essere ricordato il disegno di liberare l'Italia dalla dominazione austriaca. Essendo senza prole, gli successe il fratello Antonio, anch'egli senza eredi; che fu l'ultimo duca della casa Farnese. Ottimo di cuore ma indolente, debole di carattere e di mente, morì nel 1731.
Con lui si estinse, dopo 185 anni di dominio, la signoria farnesiana, che aveva concentrato nel dispotismo illuminato del principe ogni attività politica. Nel 1732 il ducato passava nelle mani del minorenne don Carlo di Borbone, infante di Spagna e primogenito di Filippo V, in virtù del trattato della Quadruplice Alleanza (1718). In attesa della sua venuta, la principessa Dorotea Sofia di Neuburg, sua nonna materna, resse lo stato in suo nome. Appena giunse a Parma don Carlo, benché sedicenne appena, dichiarò di voler governare da sé. Ma in seguito alle vicende della guerra di successione polacca, postosi alla testa degli Spagnoli del presidio di Parma, si avviò verso il reame di Napoli, nella cui capitale fu accolto il 10 maggio 1734. Durante questa guerra, nelle immediate vicinanze di Parma, nel luogo detto Crocetta, tra franco-sardi e imperiali si combatté la battaglia di "S. Pietro", così detta per essere stata combattuta il 29 giugno, festa di S. Pietro (v. parma: Battaglie di Parma).
Col trattato di Vienna del 13 novembre 1738 Parma e Piacenza passavano all'Austria, alla quale Carlo le aveva rinunciate fin dal 1736, preferendo al trono di Parma quello di Napoli.
Ma per l'art. 4 del trattato di Aquisgrana del 15 ottobre 1748, che metteva fine alla guerra di successione austriaca, i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla (dopo la morte del duca Giuseppe Maria Gonzaga, 15 agosto 1746, anche questo ducato era venuto in possesso dell'imperatrice Maria Teresa) venivano ceduti all'infante Don Filippo di Borbone, figlio del re Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, con la clausola del regresso all'Austria, nel caso che la stirpe di Filippo si estinguesse o egli salisse sul trono delle Due Sicilie o su quello di Spagna.
Filippo (1749-1765), confortato dai consigli del celebre ministro Guglielmo Du Tillot e di altri chiarissimi uomini, si adoprò a dare impulso agli studî, alle arti, all'agricoltura, alle industrie e al commercio. Sotto di lui Parma meritò di esser detta l'Atene d'Italia.
A Filippo, morto ad Alessandria il 18 luglio 1765, successe il figlio Ferdinando, nato nel 1751, e però ancora minorenne. Anche sotto di lui, fino al 1771, continuò l'onnipotenza del Du Tillot e la lotta con Roma, per le riforme ecclesiastiche attuate nel ducato. Con la caduta del Du Tillot incominciò un nuovo periodo nel governo di Ferdinando, che sino alla rivoluzione francese non ebbe da superare grosse difficoltà.
A Napoleone, vittorioso alle porte di Piacenza, Ferdinando diede molto per non perdere tutto e col trattato del 9 maggio 1796 si obbligò a sborsargli otto milioni di lire parmigiane, a fornirgli 1700 cavalli, 2000 buoi, 10.000 quintali di grano, 5000 di avena ed infine a consegnargli 20 dei suoi quadri più preziosi, compreso il S. Girolamo del Correggio.
Per l'articolo V del trattato di Lunéville (9 febbraio 1801), concordato tra Francia e Spagna, in cambio di Parma e Piacenza gli era data la Toscana, con l'isola d'Elba. Ma era tanto il suo attaccamento al ducato, che del cambio, per quanto vantaggioso, egli non volle sentir parlare mai. Allora, per il trattato di Aranjuez del 21 marzo 1801, sempre tra Francia e Spagna, si concordò che Ferdinando avrebbe rinunziato al ducato in favore della Repubblica Francese; che la Toscana sarebbe stata data al figlio suo Lodovico, col titolo di re d'Etruria; che in compenso Ferdinando avrebbe avuto rendite e altri stati.
Lodovico, che si trovava allora a Madrid, ove dal 25 agosto 1795 aveva sposato Maria Luisa, figlia secondogenita del re Carlo IV, fu a Firenze il 12 agosto 1801; ma Ferdinando continuò a starsene tranquillamente nei suoi stati, come se le convenzioni di Lunéville e di Aranjuez non lo riguardassero. Morì l'8 ottobre 1802, compianto dai Parmigiani, senza aver ottenuto dalle potenze quella sistemazione che desiderava. Anzi, alla sua morte, il figlio Lodovico dovette cedere ogni suo diritto a Napoleone, e il Moreau de Saint-Méry, il 23 ottobre successivo, si proclamava amministratore dei due ducati in nome della Repubblica Francese, alla quale veniva senz'altro trasferita la sovranità del territorio. Il Moreau visse con apparenza di duca, e tale fu considerato per la sua signorile temperanza e per la protezione accordata ai dotti. Ma l'innestare il nuovo ordine sull'antico era impresa difficile anche per lui, che nell'ultimo anno della sua amministrazione vide manifestarsi una sensibile agitazione antifrancese per l'inasprimento delle imposte e scoppiare una violenta insurrezione di contadini e montanari. Il gen. Junot fu allora inviato a Parma con illimitati poteri. Intanto i ducati di Parma e Piacenza venivano eretti a feudi imperiali (1806), e conferiti poi all'arcicancelliere Cambacérès il primo e all'arcitesoriere Lebrun il secondo, col titolo di duca, ma senza diritto di sovranità. Il ducato di Guastalla era conferito a Paolina Borghese, sorella di Napoleone. Il Nardon venne in qualità di prefetto a sostituire il Moreau (1806), richiamato. Nel 1808 il ducato fu aggregato all'Impero Francese col titolo di dipartimento del Taro. Nel 1810 Dupont-Delporte sottentrò al Nardon, e rimase a Parma fino alla caduta dell'Impero napoleonico.
Caduto Napoleone, con l'art. 99 del trattato di pace concluso al Congresso di Vienna del 1815, fu deciso che Maria Luisa, già imperatrice dei Francesi, avrebbe posseduto in piena sovranità i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, tranne le terre giacenti sulla riva sinistra del Po; e nel trattato di Parigi del 10 giugno 1817 fu convenuto dalle parti interessate che, alla morte di Maria Luisa, i ducati sarebbero passati ai Borboni discendenti da Lodovico di Parma, ai quali intanto era stato dato il ducato di Lucca.
Mancando prole maschile il ducato di Parma sarebbe ritornato alla Casa d'Austria, e quello di Piacenza al re di Sardegna, secondo il trattato di Aquisgrana del 1748.
Maria Luisa, soprattutto finché visse il conte A.-A. di Neipperg, suo secondo marito, governò con mitezza e generosità, fece costruire numerosi istituti, un bel teatro, grandiose arterie stradali, ponti monumentali, opere d'arte. Dopo i moti del '31, che la turbarono assai, si osserva un nuovo indirizzo nel suo governo, determinato dal diffondersi dei nuovi ideali nazionali e personificato nel conte Ch.-R. de Bombelles, suo terzo marito. Morì il 17 dicembre 1847.
Il suo successore Carlo Lodovico di Borbone, duca di Lucca dal 1824, prese il nome di Carlo II, e fu duca solo di Parma e Piacenza, perché col trattato di Firenze del 1843, che doveva aver vigore alla morte di Maria Luisa, aveva ceduto al duca di Modena il Guastallese e il territorio parmigiano sulla destra dell'Enza, in cambio di Bazzano e Scurano e di una porzione della Lunigiana con Pontremoli e Bagnone.
Anche per questo fu subito inviso ai sudditi, i quali gli chiesero invano le riforme che i tempi nuovi richiedevano. Respinta da lui una domanda di allontanamento delle truppe ungheresi, che egli aveva chiamate ad occupare il ducato (9 febbraio 1848) dopo essersi alleato con l'Austria, il popolo insorse e il duca fu costretto a nominare una reggenza, che si convertì poi in governo provvisorio (9 aprile), si unì al re di Sardegna nella guerra all'Austria e proclamò l'annessione al Piemonte. Ma per l'armistizio del 9 agosto 1848 le truppe austriache del gen. Degenfeld-Schönburg rientravano a Parma, in nome di Carlo II, che ne era uscito nella notte del 18 aprile precedente.
Quando le ostilità furono riprese il 12 marzo 1849 i Parmigiani chiesero di nuovo l'annessione al Piemonte. Due giorni dopo il duca Carlo II, con atto datato da Weistropp in Sassonia, abdicava in favore del figlio Ferdinando, che col nome di Carlo III assumeva da Londra le redini del governo, il 20 marzo 1849.
Ma il 22 il generale La Marmora occupava la città con un corpo di truppe piemontesi.
Dopo l'infausta giornata di Novara, per l'armistizio del 26 marzo, le truppe austriache ritornavano (5 aprile) e Parma fu retta successivamente dai governatori militari gen. D'Aspre e generale Stürmer, fino al 29 maggio successivo, quando Carlo III poteva fare finalmente il suo solenne ingresso in città.
Con l'appoggio della guarnigione austriaca il nuovo duca iniziò una reazione spietata, per cui morì assassinato il 26 marzo 1854. Suo figlio Roberto I, nato il 9 luglio 1848, gli successe sotto la reggenza della madre Maria Luisa di Borbone, sorella del conte di Chambord, che governò fra non lievi difficoltà sino allo scoppio della guerra del '59. Allora i Parmigiani chiesero di nuovo l'annessione al Piemonte. La reggente dovette ritirarsi a Mantova con il figlio. Quando però venne nominato un governo provvisorio in nome di Vittorio Emanuele II, un pronunciamento delle truppe impose il richiamo della duchessa (4 maggio). Ma dopo Magenta la reggente sciolse i soldati dal giuramento di fedeltà, e partì definitivamente dal ducato (9 giugno). Fu allora nominata una commissione governativa per preparare l'unione al Piemonte. Intanto si adottava la bandiera tricolore e si offriva la sovranità a Vittorio Emanuele.
Un governatore piemontese, il conte Diodato Pallieri, arrivò il 16 giugno e, efficacemente aiutato dal conte Girolamo Cantelli, continuò con senno l'opera iniziata dalla commissione. Il governo fu poi assunto dall'avv. Giuseppe Manfredi (8 agosto), che convocò i comizî per il plebiscito in favore dell'unione al Piemonte e preparò la temporanea fusione degli stati parmensi con quelli di Reggio e Modena, sotto Luigi Carlo Farini, dittatore delle Provincie parmensi e modenesi (18 agosto). L'unione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II fu approvata con 63.403 voti contro 506. Col decreto del 8 marzo 1860 Parma e Piacenza furono definitivamente annesse al regno di Sardegna, prossimo a diventare regno d'Italia.
Bibl.: C. Capasso, Paolo III, voll. 2, Messina 1923-24; N. Grimaldi, Le origini del ducato farnesiano di Parma e Piacenza, Parma 1926; E. Loevinson, Stirpe Farnesiana, spirito italiano. La quintessenza di una dinastia, in Aurea Parma, XI (1933), fasc. 3-4; G. Coggiola, I Farnesi e il ducato di Parma e Piacenza, in Arch. stor. parm., n. s., III (1905); R. Massignan, Il primo duca di Parma e Piacenza e la congiura del 1547, in Arch. stor. parm., n. s., VII (1907); W. Cesarini Sforza, Le classi popolari nello stato farnesiano, in Aurea Parma, 1912 (dicembre); id., Per la storia delle relazioni fra Stato e Chiesa nel ducato farnesiano di Parma e Piacenza, in Arch. stor. ital., s. 5ª, XLIX (1912); U. Benassi, Per la storia della politica italiana di Luigi XIV, in Aurea Parma, 1915, pp. 76-94; E. Nasalli-Rocca, Il Supremo consiglio di giustizia e grazia di Piacenza, Piacenza 1922; E. Casa, Memorie storiche di Parma (1731-49), in Arch. stor. per le prov. parm., II (1895); U. Benassi, Guglielmo Du Tillot. Un ministro riformatore del secolo XVIII (Contributo alla storia dell'epoca delle riforme), in Arch. stor. per le prov. parm., n. s., XV-XXV (1915-1925); H. Bedarida, Parma et la France de 1748 à 1789, Parigi 1928; id., Les premiers Bourbons de Parme et l'Espagne (1731-1802), ivi 1928; id., Parma dans la politique franåaise au XVIIIe siècle, ivi 1930; O. Masnovo, Parma e la Francia nella seconda metà del sec. XVIII, in Nuova rivista storica, XIV, fascicoli 1-2; L. Montagna, I ducati parmensi nella diplomazia europea, Piacenza 1907; U. Benassi, Il gen. Bonaparte e il duca e i giacobini di Parma e Piacenza, in Arch. stor. parm., n. s., XII (1912); A. Curti, Alta polizia, censura e spirito pubblico nei ducati parmensi (1816-1829), in Arch. stor. parm., 1922; E. Casa, I Carbonari parmigiani e guastallesi cospiratori nel 1821, Parma 1904; C. Di Palma, Piacenza durante gli avvenimenti del 1848-49, Roma, Uff. stor. d. Com. di S. M., 1932; G. Lombardi, Il ducato di Parma nella storia del Risorgimento italiano, Parma 1911. V. anche parma: Storia; piacenza: Storia.