PARISIO da Cerea
PARISIO da Cerea (Paride da Cerea). – Figlio del notaio Lanceto di «magister Ianni Ceretensis», nacque con tutta probabilità a Cerea (Verona) attorno al 1200. Notaio e cronista, fu autore del Chronicon Veronense, la più importante fonte narrativa medievale relativa alla città veneta.
Quanto alla forma del nome, appare preferibile adottare Parisio, ricalcato sulla forma da lui stesso costantemente usata nelle sottoscrizioni notarili («Ego Parisius de Cereta filius Lanceti Ceretensis sacri palacii notarius» ecc.), piuttosto che Paride invalso nella storiografia recente.
Si ha notizia di un fratello, «Domafolle filius Lanceti notarii», teste a un atto da lui rogato (1242). È incerta, ma non del tutto da escludere, una parentela della famiglia di Parisio con la famiglia «de Lantiis» che esprime un paio di podestà di Cerea (Martino giudice nel 1228 e 1260, Pietro nel 1261).
L’importante castello della pianura veronese, già soggetto all’autorità del conte di San Bonifacio e successivamente del capitolo della cattedrale di Verona, ospitava un cospicuo gruppo di milites rurali, coinvolti dai primi del Duecento nelle lotte di parte, e aveva stretti rapporti con il mondo urbano. Con queste casate la famiglia di Parisio era in contatto, e ciò spiega perché il notaio Lanceto (il nome compare anche nella forma «Lanceta» o «Lanteus» o «Lancius») roghi anche nel palazzo comunale di Verona (nel 1201 un atto relativo al miles rurale Bericino, inurbatosi, e nel 1205), oltre che a Cerea. Con tutta probabilità, il padre di Parisio fu podestà di Cerea nel 1205 e nel 1217; passò a miglior vita nel 1244, come ricorda il figlio nel Chronicon, in una delle pochissime aperture al privato che spezzano l’algido schema annalistico del suo testo («eo anno dominus Lanceta de Cereta obiit VIII iulii»).
Un modesto numero di documenti notarili, occasionalmente sopravvissuti in archivi veronesi (privati ed ecclesiastici), consente di seguire la carriera di Parisio: un notaio rurale, che fu prevalentemente attivo nel borgo d’origine e nei dintorni, ma compare anche in città; e segue infatti attentamente (non senza personale partecipazione) le tormentate vicende politiche di Verona e del suo territorio nella prima metà del Duecento.
Nel marzo 1224 era presente a Casaleone, nella pianura veronese; nel giugno 1230 era a Cerea. Nel 1233 – un anno cruciale per la politica veronese e veneta, con la pacificazione di Paquara (nel luglio) tra tutte le città della Marca, Mantova compresa, e il successivo esperimento del rettorato cittadino di fra Giovanni da Schio (nel settembre): tutte vicende diffusamente narrate nel Chronicon – due impegnative missioni dimostrano il prestigio professionale che Parisio aveva raggiunto. In terza persona, egli scrive infatti «eo anno Parisius notarius de Cereta… ivit Romam in servitio ecclesie Ceretane»: è questa la sola notizia che egli da di sé nell’intero testo. Nel dicembre 1233, insieme con il padre, fu poi presente a Mantova a una sentenza arbitrale data dal canonico Azzone Busso, delegato a ciò dal vescovo e dal papa. Nel maggio 1237 ricompare in Verona, in veste di testimone a una compravendita tra due abitanti di Cerea; alla data 1238 segnala nel Chronicon il soggiorno a Cerea (a spese del comune locale e di quello di Legnago) di Selvaggia, figlia illegittima di Federico II e destinata sposa a Ezzelino III. Ivi lo mostrano ancora due documenti più tardi (ottobre 1242 e luglio 1247).
Come hanno osservato tutti gli studiosi del Chronicon Veronense, in primo luogo Girolamo Arnaldi (1963, pp. 22, 25), il centro psicologico dei suoi interessi resta dunque (oltre alla città e alla sua vita politica) Cerea, come conferma la sistematica menzione dei podestà o rettori di quel borgo nei notamenti annuali – sempre aperti dal nome del podestà di Verona – che strutturano la narrazione. Non è da trascurare tuttavia l’attenzione a Mantova e all’area mantovana, certo indotta dalla contiguità geografica con Cerea ma forse anche dal fatto che la città lombarda fu per tutto il trentennio ezzeliniano (1230 circa - 1260 circa) la base della pars Comitum, il partito guelfo dei San Bonifacio (ostile al da Romano), per il quale sicuramente Parisio ebbe propensione.
Due argomenti, peraltro alquanto deboli, hanno consentito (già a Georg Heinrich Pertz, il primo editore moderno del Chronicon) di sospettare il 'guelfismo' di Parisio. Uno, ex silentio, è il fatto che per gli oltre vent’anni nei quali Ezzelino III dominò Verona egli non compare mai nella documentazione riguardante la città di Verona, che non è così scarsa, il che fa sospettare che sia rimasto costantemente a Cerea; un altro, in positivo, è costituito dalla notarile scrupolosità con la quale Parisio annota banditi, giustiziati e in genere vittime veronesi (e non solo) della tirannide di quel dominus. Ma a chiarire ex post la sua scelta politica (o quanto meno, la sua scelta politica degli anni Cinquanta-Sessanta) giungono le due ultime notizie documentate su Parisio. Nel luglio 1264, e poi nel dicembre 1265, egli è infatti presente a Lendinara (in Polesine, non lontano dal confine con Verona), che in quegli anni – dopo la precaria riconciliazione tra le partes cittadine del 1259-60 – era ricettacolo del fuoruscitismo veronese legato alla pars Comitum, nel quale aveva una parte considerevole appunto la famiglia da Lendinara. Il fatto che Parisio si trovi in quel castello e roghi per una importante famiglia guelfa come i Sommariva, costituisce una testimonianza inequivocabile.
Parisio dovette morire di lì a poco. Non si hanno notizie di suoi discendenti.
Gli annali da lui redatti (Cronica Verone nei mss., Chronicon Veronense nell’edizione muratoriana, Annales Veronenses nell’edizione Pertz che arditamente mise in sinossi le prime annotazioni di Paride con altri brevi testi annalistici locali pertinenti al XII secolo) raccolgono una modesta serie di notizie dal 1115-17 sino agli inizi del Duecento; prendono successivamente consistenza, e per un tratto di tempo non lunghissimo (a un dipresso, gli anni Trenta-Cinquanta) sono sorretti dalla diretta conoscenza e dalla contiguità dell’autore rispetto ai fatti narrati. Costituiscono l’unico testo narrativo concernente Verona in età comunale, e ben rientrano nel cliché delle cronache notarili, così tipiche dell’Italia duecentesca. Ma ovviamente la scheletrica asciuttezza di queste disadorne annotazioni non regge il confronto con le maestose narrazioni prodotte da giudici e notai delle altre città della Marca (Gerardo Maurisio, Rolandino da Padova), alle quali la storiografia (a partire dal capitale saggio di Arnaldi, 1963) l’ha pur giustamente apparentata.
I limiti della cronaca parisiana sono stati paradossalmente all’origine della sua fortuna, che è stata anche sfortuna dal punto di vista editoriale. La sua elementare struttura annalistica ha infatti facilitato per tutta l’età scaligera (1277-1387) e visconteo-veneziana (dal 1387 e poi dal 1405) una stratificazione incessante di addizioni e di continuazioni, proseguita sino al Cinquecento, quando la cultura cittadina produsse (con Saraina e Della Corte) una nuova tipologia di narrazione della vicenda politica di Verona. Ma nell’arco di oltre due secoli si venne via via creando una situazione testuale estremamente complessa, attestata oggi da alcune decine di testimoni manoscritti (nessuno dei quali anteriore al 1450).
Su questo immenso materiale ha lavorato l’erudizione (locale e non locale) dal Settecento in poi (dopo l’edizione muratoriana). È stata individuata una prima continuazione del Chronicon dal 1260 (anno nel quale Parisio depose la penna) al 1277; una seconda (definita 'continuazione scaligera') dal 1278 al 1375; una terza ('continuazione veneziana', con riferimento alla dominazione sulla città dal 1405) dal 1376 al 1446; e una serie ulteriore di prosecuzioni oltre questa data, sino ai primi del Cinquecento (le definizioni sono di Vaccari, 2014). Queste due ultime continuazioni sono state anche volgarizzate, e hanno a loro volta circolato in modo autonomo con aggiunte, postille, interpolazioni. Tale stato di cose ha impedito a lungo – dopo che Muratori pubblicò il solo Chronicon originario sulla base del codice detto Estense, e dopo la ripresa del Pertz nel vol. XIX dei Monumenta Germanicae historiae – una riedizione moderna, nonostante si sia applicata al problema la migliore erudizione otto-novecentesca veronese, veneta e non solo (Cipolla, Hampe, Güterbock, Cessi, Simeoni). Una recentissima edizione ha fatto compiere un decisivo passo avanti, proponendo l’edizione del testo originario del Chronicon sulla base del ms. Oxford, Bodleian Library, Canoniciano 288 (segnalando le varianti dei mss. principali), e pubblicando sistematicamente aggiunte e volgarizzamenti (Vaccari, 2014).
Edizioni: Chronicon Veronense ab anno 1117 ad annum usque 1278…, in R.I.S., VIII, Milano 1726, coll. 617-660; Annales Veronenses, a cura di G.H. Pertz, in Monumenta Germanicae historiae, Scriptores, XIX, Hannoverae 1866, pp. 1-18; Il «Chronicon Veronense» di Paride da Cerea e dei suoi continuatori, a cura di R. Vaccari, Legnago (Verona) 2014 (in quattro volumi, con esaustiva bibliografia e descrizione sistematica dei codici, in particolare I, 1, pp. 17-80; 2, pp. 11-78).
Fonti e Bibl.: G. Arnaldi, Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, Roma 1963 (rist. anast., con postfazione di M. Zabbia, Roma 1998), pp. 7-25; W. Hagemann, Nuovi documenti su P. da C. e la sua famiglia, in Studi ezzeliniani, a cura di G. Fasoli, Roma 1963, pp. 145-171; R. Vaccari, Notizie su Paride da Cerea, in Il «Chronicon Veronense» di Paride da Cerea, I, t. 1, Legnago 2014, pp. 111-116; G.M. Varanini, La tradizione manoscritta del «Chronicon Veronense» nella seconda metà del Quattrocento e il contesto politico-culturale veronese, ibid., pp. III-XX.