SUZZARA VERDI, Paride
– Nacque a San Giorgio, provincia di Mantova, il 1° aprile 1826 da Carlo Suzzara e da Matilde Dall’Acqua.
Ebbe cinque fratelli: Angelica, Annibale, Teodoro, Tullio (o Tullo), Ciro, nati rispettivamente nel 1824, 1827, 1828, 1829, 1834. La famiglia compare per la prima volta con il cognome Suzzara Verdi in una nota del 1834 del Registro delle anime della parrocchia di Frassino (ora frazione di Mantova); ciò, si può presumere, in seguito all’adozione di Carlo da parte di Luigi Verdi (1771 o 1772-1849). Il legame tra i due risaliva peraltro molto indietro nel tempo. Nel 1823 Verdi aveva infatti reso comproprietario Carlo della corte Olmo che aveva acquistato nel 1814. Si trattava di una tenuta di più di 20 ettari ubicata a San Giorgio, nella fertile pianura risicola; qui Carlo visse con la sua famiglia, collaborando con Verdi alla conduzione dell’azienda.
Non si conoscono i moventi originari della dilezione di Verdi per Carlo Suzzara. Certo è che il legame affettivo si tradusse in un sodalizio non solo economico, ma anche politico. Verdi fu tra i patrioti più attivi del triennio democratico 1796-99. Al ritorno degli austriaci, giudicato «patriota acerrimo, sprezzatore dell’augusto Sovrano e religione, de’ primi ad alzar l’Albero in Mantova» in un elenco di deportati politici (Giusti, 1963, p. 105), fu arrestato il 31 luglio 1799 e l’anno seguente deportato a Petervaradino. Ristabilito il dominio francese, rientrò a Mantova ed entrò a far parte come impiegato dell’amministrazione napoleonica. Affiliato alla massoneria, nei decenni della Restaurazione fu attivo nella cospirazione e continuò a essere sorvegliato dalla polizia.
Nel 1834 Verdi e Carlo Suzzara furono inquisiti e detenuti come adepti della Giovine Italia. Un rapporto della polizia del 1853, in cui Carlo Suzzara era definito «bestemmiatore irreligioso» e «dedito alle risse ed anche ai ferimenti», informava che sin dal 1831 egli aveva frequentato «gli più spiegati liberali» e che nel 1848 era stato «caldo partitante della rivolta» (Giusti, 1966, pp. 173 s.). Accanto a lui erano scesi in campo nel Quarantotto tutti i suoi figli, che le relative note di polizia (pp. 174 s.) presentavano fuorviati dalle massime del padre. Tutti i fratelli, annotava la polizia, avevano preso parte alla guerra contro l’Austria in formazioni di volontari. La vicenda dei Suzzara Verdi è dunque uno dei documenti più significativi, per quanto riguarda il Mantovano, del rapporto di continuità fra il triennio democratico e la rivoluzione di metà Ottocento.
Dopo la sconfitta, Tullio prima e Ciro poi emigrarono negli Stati Uniti d’America dove divennero medici stimati. Paride si laureò invece in giurisprudenza all’Università di Pavia nel 1851 con una tesi sulla pena di morte. Poco tempo prima, nel novembre del 1850, era stato tra i promotori della cospirazione mazziniana nota come congiura di Belfiore, ma non fu tra i perseguiti. I suoi primi scritti editi risalgono agli anni immediatamente successivi alla tragedia di Belfiore. Nel Cantico a Israele (Mantova 1854), da annoverare tra i documenti della rilevanza sociale e culturale che i rapporti tra ebrei e non ebrei ebbero a Mantova nell’Ottocento, si diceva persuaso che il popolo ebraico avrebbe potuto guardare con rinnovata fiducia all’avvenire se si fosse rivolto a Cristo.
Che fosse un invito a convertirsi alla religione dominante, non è certo. Per Paride, educato alla critica delle religioni, l’evangelismo doveva rappresentare già a quest’epoca una fede laica imperniata sul valore della fraternità: un credo non diverso, si può supporre, dalla religione dell’umanità che due anni prima, nel dramma Emanuele, l’amico suo Ippolito Nievo aveva proposto, al di fuori di ogni logica conversionistica, come terreno d’incontro tra ebrei e non ebrei.
Decisamente influenzato dalle odi politiche manzoniane per quanto riguardava il metro, il ritmo e il lessico, il poemetto se ne distingueva sotto altri profili: all’analogia tra il popolo ebraico e la nazione italiana, che era uno dei motivi di Marzo 1821, l’autore del Cantico preferiva il parallelismo con le classi popolari. Le polemiche suscitate dal cantico (e documentate dal suo Panegirico a Don Tonino, Brescia 1854) segnalano come già a quest’epoca all’acceso patriottismo si accompagnassero in Suzzara Verdi un vivo interesse per la questione sociale e una speciale sollecitudine nei confronti delle classi popolari e dei contadini in particolare.
Furono questo interesse e questa sollecitudine a improntare La Lucciola. Gazzettino del contado, vivace settimanale che Suzzara Verdi fondò e diresse tra il 1855 e il 1857 in collaborazione con Luigi Boldrini, un altro esponente di spicco della borghesia rurale mantovana. Impressionati dal banditismo contadino che imperversò nelle campagne mantovane nei primi anni Cinquanta, Suzzara Verdi e Boldrini si proponevano di concorrere al superamento della frattura tra città e campagna e a un miglioramento della condizione materiale e morale dei lavoratori delle campagne che confidavano potesse essere conseguito in virtù del progresso dell’agricoltura e dello sviluppo dell’istruzione. L’uguaglianza degli esseri umani costituiva il principale punto di riferimento ideale dei redattori della Lucciola, ben fermi peraltro nella difesa del diritto di proprietà.
Agli anni della Lucciola appartiene l’ampio saggio Del progresso. Bozze di dottrina civile (Mantova 1857), in cui Suzzara Verdi si diceva convinto che gli uomini fossero naturalmente propensi alla socialità e che indubitabili, se pur non lineari, fossero i progressi compiuti dall’umanità. Il cammino dell’Italia era ripercorso, con frequenti riferimenti ai foscoliani Sepolcri, attraverso una rassegna dei suoi letterati e artisti, giudicati in ragione dell’energia civile delle loro opere: in quest’ottica la palma era attribuita a Dante, grazie al quale, secondo l’autore, il volgare italiano era divenuto fattore potente di unificazione nazionale.
Nel 1859 Suzzara Verdi fu tra quanti incoraggiarono la partecipazione dei democratici alla guerra contro l’Austria, come si evince anche dal carme Mantova a Re Vittorio (s.l. s.d., ma 1866). L’anno successivo fu con Garibaldi in Sicilia. Nel 1861 apparve, a Milano, la sua opera più famosa, il romanzo Patria e cuore. Fatti di Mantova, in cui raccontò del giovane Paolo che, infiammato d’un amor patrio che don Enrico Tazzoli aveva contribuito ad accendere, prendeva parte attiva, insieme all’amata Giulia, alle principali vicende del Risorgimento.
Sebbene di chiara ispirazione autobiografica, Patria e cuore si apprezza per la rappresentazione partecipe e insieme critica delle passioni collettive che animarono gli anni più fervidi del Risorgimento mantovano.
Nel 1860, dopo la presa di Palermo, Suzzara Verdi era stato nominato ispettore delle scuole del collegio Garibaldi. Fu sulla scorta di questa e di precedenti esperienze d’insegnamento che mise a punto le sue innovative opinioni in materia di educazione, esposte in convegni pedagogici e raccolte nello scritto Appunti sulla istruzione pubblica (Milano 1862): l’apprendimento della lingua secondo il metodo materno; il suo studio basato non su definizioni, ma sull’esame del parlato; il bando al latino e al greco e quindi alle scuole classiche in favore di scuole tecniche in cui si insegnassero le «scienze reali», la «filosofia positiva», la storia contemporanea e il diritto a cominciare dallo Statuto. E questa istruzione estesa agli adulti e alle donne.
Dopo che, in seguito alla guerra del 1866, Mantova fu unita al Regno d’Italia, Suzzara Verdi si batté immediatamente per un’integrale ricomposizione della provincia, che era stata smembrata in forza del trattato di Zurigo del 1859 (Sulla vita di Mantova, Mantova 1866). Si fece inoltre appassionato alfiere della memoria di Belfiore (Discorso pronunciato sulla Fosse di Belfiore da Paride Suzzara Verdi la sera dell’11 ottobre, Mantova 1866), promuovendo in particolare la costituzione di un comitato per l’erezione di un monumento.
Nel 1866 il patriota mantovano fondò infine La Favilla, che nei decenni immediatamente seguenti l’unità rappresentò uno dei più importanti giornali della democrazia italiana di orientamento repubblicano. La redenzione degli umili e degli oppressi fu la stella polare del foglio, che si adoperò a favore dell’associazionismo operaio e si batté per l’allargamento del suffragio sia maschile sia femminile, per lo sviluppo dell’istruzione pubblica e per l’affermazione delle libertà democratiche.
Dopo la Comune di Parigi, di cui prese le difese, La Favilla si distaccò decisamente da Giuseppe Mazzini e si orientò verso il socialismo, schierandosi con l’Internazionale. Alla fine del 1872, dopo che Suzzara Verdi aveva rappresentato le associazioni operaie mantovane al congresso di Rimini, il giornale divenne organo dell’Internazionale di Michail A. Bakunin. In questo clima si colloca l’audace sua sortita in occasione dell’inaugurazione del monumento ai martiri di Belfiore, il 7 dicembre 1872: in polemica con il liberale moderato Giuseppe Finzi, che nella sua orazione ufficiale aveva taciuto dell’orientamento mazziniano della congiura, il battagliero direttore della Favilla sostenne che i congiurati del 1850 non avevano inteso «barattare [...] la tirannia forestiera nella domestica» (Discorso letto al popolo per l’inaugurazione del monumento ai Martiri di Belfiore da Paride Suzzara Verdi, Poschiavo 1873, p. 3), bensì volevano «una libertà senza maschere, un’eguaglianza senza padroni, una fratellanza senza impostori [...]; volevano in una parola la repubblica» (pp. 7 s.).
Alla fine del 1873, fattosi persuaso che non fossero mature le condizioni per l’affermazione del socialismo, Suzzara Verdi aderì alla Lega democratica veneto-mantovana, mentre La Favilla tornava alle battaglie tradizionalmente care al suo direttore, che sedette altresì nel Consiglio comunale di Mantova dal 1866 al 1874. I sentimenti e le idee che lo animarono nell’ultimo scorcio della sua vita sono testimoniati dal discorso che tenne il 4 maggio 1879 alla liberal-radicale Società democratica di Mantova (I tempi e la democrazia, Mantova 1879): dopo aver deplorato che la Sinistra al potere non avesse corrisposto alle aspettative a causa della mancanza di «un vero concetto direttivo», Suzzara Verdi esortava a prendere atto, sulla scorta di un’osservazione scientifica della realtà (si proclamava seguace di Pietro Pomponazzi e di Roberto Ardigò), che «le moltitudini [...] possono dare il tono alla musica» e che dunque, a voler evitare la deflagrazione rivoluzionaria preconizzata da Giuseppe Ferrari, altra via non si sarebbe potuto battere se non quella del suffragio universale coniugato all’istruzione e al lavoro.
Morì a Mantova di lì a pochi mesi, il 7 agosto 1879.
Opere. Ai testi citati si deve aggiungere almeno la raccolta postuma delle Poesie (Mantova 1880).
Fonti e Bibl.: Le notizie anagrafiche della famiglia sono desunte dai registri dell’Archivio della parrocchia di Frassine. Per le sue proprietà: Archivio di Stato di Mantova, Archivio del Catasto, Libri partitari del comune di San Giorgio, regg. 1411 e 1412. Su Luigi Verdi: R. Giusti, La deportazione dei patrioti mantovani nelle “Memorie” di Carlo Craici, in Studi sulla dominazione francese e austriaca nel Mantovano (1797-1817), a cura di R. Giusti, Mantova 1963, pp. 95-123; su Carlo e Paride Suzzara Verdi: R. Giusti, Dalla presa di Mantova (1797) alla prima guerra d’indipendenza (1848-49), in Mantova. La storia, III, Da Guglielmo III duca alla fine della seconda guerra mondiale, a cura di L. Mazzoldi - R. Giusti - R. Salvadori, Mantova 1963, ad indicem. Gli elenchi e i rapporti di polizia citati sono in Compromessi politici nel Mantovano 1848-1866, a cura di R. Giusti, Mantova 1966; G.L. Fruci, La politica al municipio. Elezioni e consiglio comunale nella Mantova liberale, 1866-1914, Mantova 2005, pp. 16 s., 32 s., 36-38, 41 s., 46, 48, 53, 92, 200, 207, 224. Sui fratelli medici di Paride: G. Scuderi, Tullio e Ciro Suzzara Verdi, due mantovani in America, in Quadrante Padano, III (1982), 4, pp. 38 s. Sulle vicende del monumento ai martiri di Belfiore: M. Bertolotti, Mantova. Il monumento ai martiri di Belfiore, in La memoria in piazza. Monumenti risorgimentali nelle città lombarde tra identità locale e nazionale, a cura di M. Tesoro, Milano 2012, pp. 81-93.