pareggio
In contabilità, l’uguaglianza dei totali delle due sezioni di un conto o prospetto contabile (situazione, bilancio ecc.).
Il p. fra le entrate e le spese ordinarie (ricavato per analogia dall’economia familiare e dell’impresa, in cui generalmente si accetta che le spese correnti debbano essere finanziate con entrate correnti) era, nell’impostazione classica della scienza delle finanze, la regola indiscussa cui doveva ispirarsi la politica del bilancio statale. Si presumeva, infatti, che la piena occupazione delle risorse produttive disponibili fosse assicurata dallo spontaneo gioco del mercato, senza bisogno di interventi, e che lo Stato e gli altri enti pubblici dovessero limitarsi a fornire i servizi necessari all’ordinato svolgimento dell’attività produttiva, coprendo le relative spese con entrate tributarie. Avanzi e disavanzi di bilancio erano quindi ritenuti deprecabili in quanto significavano, rispettivamente, eccessiva sottrazione di risorse al mercato e gravoso ricorso all’indebitamento. Abbandonata la fiducia nei meccanismi che automaticamente avrebbero dovuto ripristinare l’equilibrio tra domanda e offerta al livello di piena occupazione delle risorse disponibili, è radicalmente mutata anche la concezione dell’attività finanziaria dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, considerata ormai soprattutto in funzione anticiclica e redistributiva. ● Nella moderna finanza funzionale, il concetto di p. annuo del bilancio non ha più questo significato; le imposte, più che come copertura di spese, vanno considerate come strumenti regolatori del potere d’acquisto dei privati, quindi della domanda effettiva, e il deficit spending mira, attraverso il moltiplicatore (➔), a fare crescere il reddito nazionale. Il p. viene tuttavia considerato obiettivo da perseguire, ma definito lungo l’intero ciclo e non necessariamente anno per anno (➔ patto di stabilità e crescita; patto di stabilità interno; fiscal compact).
Nell’economia aziendale, situazione di equilibrio in cui i ricavi delle vendite coprono interamente i costi di produzione (➔ break-even, analysis). Per determinare il prezzo di vendita che consente di raggiungere il punto d’equilibrio occorre quantificare i costi fissi (per es., per locali e macchinari), stimare i costi variabili per un livello produttivo (consumi energetici, deprezzamento macchinari, fattore lavoro impiegato). Dividendo i costi totali per la quantità prodotta si ottiene il prezzo d’equilibrio. Da osservare come all’aumentare del volume prodotto i costi variabili, inizialmente decrescenti, tendano poi ad aumentare.
Tecnica di massimizzazione del profitto in ragione dei volumi produttivi. Per individuare il livello di massimo guadagno, occorre determinare il costo marginale di ogni incremento produttivo e conseguentemente aumentare o ridurre la produzione fino a dove il costo marginale in crescita uguaglia il costo medio. Se il costo così individuato è inferiore al prezzo di mercato del bene, l’impresa è in utile e il volume di produzione è sostenibile.