PARALISI e PARESI (dal gr. παράλυσις "rilasciatnento" e poi "paralisi" e dal gr. πάρεσις "rilasciamento")
Affinché un movimento volontario possa compiersi in modo perfetto e completamente consono allo scopo da raggiungere, occorre l'azione concorde di parecchi fattori. Il movimento elementare, risultante dell'impulso che parte dal sistema motorio piramidale, viene regolato dal tono muscolare, che mantiene contratto nella giusta misura il muscolo, e dai dati forniti dalle varie forme di sensibilità, soprattutto profonde, per ćui è controllata in ogni movimento la posizione dei varî segmenti del corpo. Oltre a ciò occorre che dai centri cerebrali il movimento elementare venga esattamente regolato nelle varie successioni necessarie perché esso si trasformi in atto (euprassia). Quando uno di questi, che sono i principali componenti dell'atto volontario, viene a mancare, l'atto stesso è eseguito in modo scorretto o non eseguito affatto. Se fa difetto il componente più semplice e più importante, cioè il movimento elementare, si ha la paralisi, quando la motilità è completamente abolita; la paresi quando vi è solo una limitazione del movimento stesso. Nel concetto di paralisi è perciò insita la rappresentazione di un disturbo della motilità, ed è da considerarsi come scorretta la locuzione, spesso usata, di paralisi di senso quando sono lese le vie sensitive. Il vocabolo paralisi, rispettivamente paresi, implica il concetto di abolizione o di limitazione della motilità elementare di un muscolo o di un gruppo di muscoli: si tratta insomma di disturbi quantitativi di diversa intensità della motilità volontaria elementare. Le paralisi si distinguono, riguardo alla patogenesi, in organiche e in funzionali, secondo che siano dovute o no a lesioni anatomiche constatabili. Possono essere centrali o periferiche. Le prime sono prodotte da una lesione del neurone motore centrale, che si origina dalle cellule piramidali della corteccia cerebrale per trasmettere gl'impulsi motori alle cellule motrici del lato opposto. Le seconde sono prodotte, invece, dalla lesione del neurone motore periferico, che si origina dalle cellule motrici bulbari o spinali per trasmettere gl'impulsi motori corticali ai muscoli del lato corrispondente del corpo. Nelle paralisi periferiche sono da considerarsi anche le paralisi non dovute a lesione del secondo neurone motore ma a lesioni proprie dei muscoli (paralisi miopatiche). Nelle paralisi dovute a lesioni del neurone motore centrale non vi sono atrofie gravi dei muscoli paretici e l'atrofia non presenta mai, all'esame elettrico, il carattere degenerativo; nelle paralisi, invece, dovute a lesione del neurone motore periferico vi è grave e precoce atrofia dei muscoli paretici e l'atrofia presenta i caratteri degenerativi, che sono rivelati dalla reazione elettrica che porta appunto questo nome. Riguardo alla distribuzione, le paralisi si distinguono in paraplegia, quando la paralisi colpisce i due arti inferiori; diplegia, quando la paralisi colpisce i due arti superiori (alcuni autori parlano di paraplegia cervicale e paraplegia crurale); tetraplegia, quando la paralisi ha colpito tutti e quattro gli arti; monoplegia, quando la paralisi ha colpito un arto solo; emiplegia, quando la paralisi riguarda i muscoli di una metà del corpo. Si parla di emiplegia totale quando alla paralisi degli arti si unisce la paralisi del facciale. Si dice prosoplegia la paralisi della faccia, glossoplegia la paralisi della lingua, oftalmoplegia la paralisi dei muscoli oculari.
Le paraplegie sono la conseguenza di lesioni sia del neurone motorio periferico, sia di quello centrale. Alla prima categoria appartengono quelle dovute alla poliomielite, alla polinevrite, alle lesioni delle radici spinali lombo-sacrali. Le paraplegie per lesione del neurone centrale possono invece esser dovute: all'interruzione completa della continuità midollare (traumi); a fenomeni di compressione midollare causati da: a) meningiti, b) tumori del midollo, delle sue guaine e delle vertebre, c) carie e d) lussazioni vertebrali; all'ematomielia; alla siringomielia; alla mielite; alla sclerosi multipla; alla sclerosi laterale amiotrofica; alle affezioni sistematiche (tabe, m. di Friedreich) e pseudosistematiche (m. di Lichteim) del midollo. Esistono poi, ma sono molto rare, le paraplegie di origine cerebrale: di queste va ricordata la malattia di Little (v.) che può manifestarsi soltanto con una paraplegia, ma che molto più spesso è la causa di una tetraplegia. Per la "paralisi spinale spastica" v. più sotto.
Nelle paraplegie il disturbo motorio non è quasi mai isolato, ma a esso si accompagnano, secondo il tipo e la sede delle lesioni, disturbi a carico degli sfinteri, della sfera genitale, della sensibilità.
Le monoplegie sono causate da lesioni della corteccia cerebrale o immediatamente sottocorticali, situate, cioè, in regioni dove la disposizione non stipata dei fasci motori permette l'interessamento delle fibre destinate a un solo arto; oppure da lesioni periferiche, localizzate sia nel corno anteriore di un solo lato del midollo spinale (poliomielite) sia nelle radici nervose, nei plessi o nei nervi.
Le paralisi funzionali sono quelle in cui, come si è detto, la sindrome non presenta segni obiettivi di lesione organica (a cui corrisponde perciò una lesione anatomica constatabile con gli odierni mezzi d'indagine) dei centri o delle vie nervose. Si riscontrano soprattutto nell'isteria, in cui generalmente sono legate, sia per il loro presentarsi che per la loro scomparsa, a fenomeni di suggestione.
Le paralisi possono essere spastiche, quando i muscoli paralizzati presentano aumento del tono, che può arrivare fino alla contrattura (la contrattura può essere in flessione o in estensione); flaccide, quando i muscoli paralizzati presentano diminuzione del tono, fatto che si rileva facilmente con i movimenti passivi, ai quali non si nota alcuna resistenza; atrofiche, quando si osserva una diminuzione della massa muscolare negli arti paretici. Le paresi spastiche sono caratterizzate dall'aumento dei riflessi tendinei, dall'andatura spastica; le paresi flaccide, invece, presentano i riflessi tendinei aboliti o diminuiti e la deambulazione, quando questa è possibile, steppante.
Negli arti colpiti da paresi insorgono di frequente disturbi trofici varî (escare, desquamazioni, ecc.), alterazioni vaso-motorie (edemi, abbassamenti della pressione sanguigna, diminuzione della temperatura locale).
Per l'emiplegia v. emiplegia.
Chirurgia. - Paralisi flaccide. - Prendiamo come prototipo la paralisi infantile o poliomielite anteriore acuta. I bambini vengono presentati all'ortopedico quando ogni fenomeno acuto è terminato e la paralisi è divenuta permanente. Si distingue un trattamento incruento e uno cruento. Il trattamento incruento consiste nell'applicazione di apparecchi ortopedici (doccie di celluloide, scarpe adatte, apparecchi a tiranti di caucciù) che hanno lo scopo di evitare deformazioni incipienti, di correggere atteggiamenti cattivi, di sostituire muscoli mancanti (v. fasciature e apparecchi). Un tempo tutta la terapia delle paralisi consisteva nell'uso di questi apparecchi dei quali la moderna chirurgia ortopedica ha limitato l'impiego. Tra i mezzi incruenti va ricordato il raddrizzamento, che si pratica in anestesia generale e consiste nella correzione manuale o strumentale di atteggiamenti deformi, soprattutto del piede. I metodi cruenti sono molto differenti da caso a caso, variando a seconda della gravità della paralisi, dell'età del malato, della possibilità di poter continuare le cure più o meno a lungo. Le operazioni di cui il chirurgo ortopedico può giovarsi sono le tenotomie, gli allungamenti e gli accorciamenti dei tendini (per es., la tenotomia del tendine di Achille nel piede equino). Nelle articolazioni ciondolanti, che hanno perduto cioè ogni funzione attiva, si può ricorrere all'artrodesi, cioè alla fissazione delle superficie articolari, mediante decorticazione della cartilagine d'incrostazione. Per limitare un movimento articolare eccessivo si può utilizzare la fissazione tendinea, proposta da A. Codivilla nel 1903, oppure si può costituire una specie di arresto osseo con l'artrorisi (R. Toupet e V. Putti). L'operazione più importante è quella conosciuta sotto il nome di trapianto tendineo: consiste nel prendere il tendine di un muscolo sano e nel portarlo al posto di uno paralizzato, fissandolo al punto di attacco di quest'ultimo sullo scheletro. In tal modo si riesce il più delle volte a riportare un equilibrio funzionale che consente non solo la correzione di deformità, ma anche il ripristino del movimento. Per poter ottenere buoni risultati occorrono cure lunghe e attente poiché è facile perdere, se non si seguono i malati, ciò che in un primo tempo si era riusciti a ottenere. Di solito un solo tipo di intervento non basta, ma occorre caso per caso servirsi tanto di apparecchi, quanto di cure incruente e di operazioni diverse. Se si ha il modo di seguire a lungo questi malati e di poterli rieducare, si ottengono risultati in alcuni casi assolutamente insperati. Invece la chirurgia e l'ortopedia sono assolutamente impotenti nella cura delle paralisi totali degli arti inferiori da sezione del midollo, poiché non si tratta della sola paralisi di moto, ma si unisce quella di senso, con tutte le complicanze a carico della pelle e degli sfinteri (distrofie, edemi, piaghe, infezioni). Un tipo di paralisi flaccida nella quale l'opera del chirurgo ortopedico è necessaria, è quella dell'arto superiore consecutiva a disturbi inerenti al parto. Quando l'arto ciondola alla spalla, ma la scapola ha mantenuto la funzione e può essere abbassata ed elevata, con una semplice artrodesi si riesce a trasportare sull'omero i movimenti attivi della scapola. Un altro campo di azione per l'ortopedia è quello dato dalle paralisi del radiale consecutive a ferita del plesso brachiale o del tronco lungo il suo decorso nel braccio. In questi casi si ricorre al trapianto tendineo di alcuni muscoli flessori (grande palmare, piccolo palmare, cubitale anteriore) al posto dei muscoli estensori paralizzati. Si possono ottenere risultati eccellenti. In questi casi se si riesce a ritrovare i capi nervosi sezionati si pratica la neurorrafia o sutura nervosa che però, com'è facile intendere, non sempre riesce. Nel campo delle paralisi il maggior numero d'interventi veramente utili è riserbato all'arto inferiore. Dato il grande numero di paralisi consecutive a poliomielite, anche dal punto di vista sociale, l'importanza di queste cure è notevole.
Paralisi spastiche. - Perché le cure ortopediche riescano utili occorre rivolgersi soltanto a quelle nelle quali la paralisi ha carattere permanente. Così, p. es., sarebbe un errore tentare di correggere le contratture e l'ipertonia degli arti inferiori quando fossero in dipendenza di una compressione del midollo. In tali casi si cerca di vincere la malattia principale e non i sintomi. L'affezione tipicamente suscettibile di trattamento chirurgico ortopedico è fra tutte il morbo di Little. Nelle forme lievi si può ottenere grande vantaggio dalle cure fisioterapiche, dall'applicazione di apparecchi ortopedici che correggono gli atteggiamenti viziati, oppure da interventi cruenti assai semplici, quali le tenotomie e le miotomie. Con la sezione o con l'allungamento tendineo si possono correggere tanto l'adduzione delle anche quanto l'equinismo del piede. Nelle forme più gravi, quando v'è anche una flessione delle ginocchia e delle cosce sul bacino si può ricorrere con vantaggio alle osteotomie. Merita di essere ricordata l'operazione proposta da A. Stoffel consistente nel taglio di una parte dei rami di un nervo di moto, allo scopo di paralizzare parzialmente i muscoli ipertonici ripristinando l'equilibrio con gli antagonisti. In casi gravissimi può riuscire utile l'operazione di D. Foerster (taglio di alcune radici posteriori del midollo), ma purtroppo i vantaggi che si ottengono non compensano i pericoli. Altro metodo che non ha dato i risultati sperati è quello della sezione dei rami comunicanti, che mettono in comunicazione i ganglî della catena simpatica con i plessi brachiale o lombo-sacrale. Da quanto si è detto risulta che l'ortopedia è meglio armata per combattere le paralisi flaccide che non le spastiche.
Paralisi bulbare progressiva.
Malattia di eziologia incerta, causata da alterazioni a carattere degenerativo dei nuclei dei nervi facciale, glosso-faringeo, vago, accessorio e ipoglosso.
Spesso la degenerazione si estende ai fasci nervosi della via motrice piramidale, tanto che, secondo i concetti più moderni, la malattia in parola non viene più considerata come entità morbosa a sé, ma rappresenta la forma bulbare della sclerosi laterale amiotrofica, malattia del midollo spinale che, secondo le ultime ricerche, ha con la paralisi bulbare progressiva parecchi aspetti simili, sia clinici sia anatomici.
Non è una malattia frequente: colpisce gli adulti fra i 30 e i 60 anni. Comincia lentamente e subdolamente: il primo segno è dato dai disturbi della pronunzia, per cui tutte le lettere, per pronunziare le quali è necessaria la partecipazione della lingua, vengono articolate difettosamente. La lingua a poco a poco diventa atrofica, qualche volta pendente fuori della bocca. Sono paralizzate anche le labbra e il malato non può soffiare né fischiare. A malattia avanzata le labbra sono atrofiche, invase da tremori fibrillari e non possono più serrarsi, tanto che il malato perde la saliva. La deglutizione, sia dei liquidi che dei solidi, è difficilissima: spesso i liquidi escono dal naso. La voce si fa nasale, la respirazione difficile, tanto che il malato corre spesso il rischio di rimanere soffocato, il polso è rapido. I riflessi tendinei e periostei sono aumentati. A malattia avanzata il viso del malato ha cambiato completamente fisionomia per la grande atrofia di tutti i muscoli della faccia. La reazione elettrica è soltanto parzialmente degenerativa. Il decorso è cronico (2-5 anni). La prognosi è sempre infausta. La morte avviene quasi sempre per malattie polmonari o per paralisi cardiaca.
Paralisi pseudobulbare.
Sindrome morbosa che insorge in seguito a ripetuti e non gravi ictus, i quali sono l'espressione di una lesione bilaterale delle vie motorie destinate ai nervi cranici bulbari, nel loro decorso fra i centri della corteccia cerebrale e i nuclei dei nervi suddetti, con esclusione dei nuclei stessi. Si tratta quasi sempre, dal punto di vista etiologico, di piccoli focolai di rammollimento, consecutivi a una lesione arteriosa, generalmente di natura arteriosclerotica, talvolta anche sifilitica. Anche altre lesioni (tumori, encefaliti, ecc.) possono provocare la sindrome in questione, ma l'enorme maggioranza dei casi di paralisi pseudobulbare è dovuta, come s'è detto, ad arteriosclerosi delle piccole arterie cerebrali. Poiché i nervi bulbari hanno con la corteccia cerebrale un collegamento bilaterale, un piccolo focolaio di rammollimento unilaterale non provoca disturbi in detto territorio, per la funzione di compenso esercitata dall'innervazione bilaterale. I sintomi morbosi compaiono invece quando un secondo rammollimento simmetrico, nel lato opposto, rende impossibile qualunque azione di compenso. I successivi ictus, naturalmente, non fanno che aggravare le condizioni del paziente. Anatomicamente il reperto è dato da focolai di malacia di piccole dimensioni, o da particolari cavità situate attorno a piccoli vasi alterati, dette lacune di disintegrazione. Queste alterazioni possono trovarsi in tutto íl percorso sopranucleare, dalla corteccia cerebrale al midollo allungato, delle vie nervose destinate ai nuclei dei nervi cranici bulbari. I nuclei rimangono invece indenni. Secondo alcuni autori, una lesione bilaterale del corpo striato sarebbe sufficiente a far insorgere una sindrome pseudobulbare.
Sintomatologia: Facies inespressiva, ebete; mimica soppressa. Bocca abitualmente semiaperta: perdita di saliva. Disturbi gravi della deglutizione, causati dall'insufficienza o addirittura dalla mancanza di movimenti della lingua e del velopendolo: i cibi solidi rimangono nella cavità boccale, i liquidi rifluiscono per il naso. La saliva cade dalla bocca semiaperta appunto perché il paziente non può né inghiottirla né sputarla. Le labbra, la lingua, il velopendolo sono immobili o quasi: ne risultano gravi disturbi della fonazione e dell'articolazione delle parole tanto che nei casi gravi la loquela del paziente è assolutamente inintelligibile. Oltre a ciò si notano scoppî irrefrenabili di riso o di pianto, causati da ragioni insignificanti, o addirittura senza ragione (pianto e riso spastico). La psiche è raramente illesa: si possono notare tutti i gradi del decadimento mentale, dalla presenza di scarsi e lievi disturbi mnemonici allo stato demenziale conclamato. Se le lesioni hanno colpito, oltre alle vie corticobulbari, anche le vie motorie destinate agli arti, si possono notare, in questi, disturbi consistenti in paresi più o meno gravi con ipertono notevole. Frequente nei pseudobulbari è l'andatura a piccoli passi, col tronco leggermente flesso in avanti e gli arti superiori addotti al torace. I muscoli non sono atrofici, manca la reazione degenerativa e mancano le contrazioni fibrillari. Questi ultimi tre sintomi, la presenza di un' arteriosclerosi, il ripetersi di insulti apoplettici a cui possono seguire emiparesi o paraparesi spastiche, i disturbi psichici sono i caratteri per i quali la paralisi pseudobulbare si differenzia dalla paralisi bulbare progressiva (paralisi labio-glosso-laringea).
Il decorso è cronico. La terapia da tentare è la stessa dell'arteriosclerosi, ma la prognosi è infausta.
Paralisi spinale spastica.
Malattia rara del midollo spinale, che consiste in una degenerazione primaria dei soli cordoni laterali, e più specialmente dei fasci piramidali crociati. La forma pura è estremamente rara, trovandosi quasi sempre accanto alla degenerazione dei cordoni laterali, lesioni di cordoni anteriori. Istologicamente, il processo consiste in una distruzione delle fibre mieliniche e proliferazione della glia; come in tutte le lesioni degenerative del sistema nervoso, è difficile poter dire se la proliferazione gliale sia la causa della degenerazione delle fibre o se avvenga successivamente a essa, per un processo di riparazione.
Clinicamente, la forma pura della malattia è rappresentata dalla paralisi spastica degli arti inferiori, con esagerazione dei riflessi profondi, clono del piede e della rotula, riflesso di Babinski. Comincia di solito con un senso di stanchezza negli arti inferiori e di tensione e rigidità dei rispettivi muscoli, rigidità che va lentamente e progressivamente aumentando e che spesso si accentua anche più, a ogni tentativo di compiere movimenti volontarî. Nella forma pura manca qualsiasi disturbo della sensibilità e del trofismo. Nell'enorme maggioranza dei casi, però, la paralisi spinale spastica va semplicemente considerata come una sindrome, sintomatica delle più svariate malattie.
Naturalmente allora non si tratta più di un semplice disturbo motorio associato puramente a spasmo e a esageraziorie dei riflessi. Altri sintomi intervengono a complicare il quadro clinico, a seconda della malattia di cui si tratta: sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, morbo di Pott, tumori del midollo, siringomielia.
Si associano allora al sintoma fondamentale: disturbi della sensibilità, disturbi trofici, disfunzioni degli sfinteri midollari, oltre agli eventuali sintomi cerebrali.
Va ricordato che un quadro molto simile alla paralisi spinale spastica, ma arricchita da sintomi cerebrali, può essere dato dalla paralisi pseudobulbare e dalla sindrome di Little. Menzioniamo in ultimo la forma familiare ed ereditaria, descritta nel 1880 da A. v. Strümpell.
Per la paralisi agitante, v. parkinson; per la paralisi infantile, v. poliomielite.