Paradiso terrestre
terrestre. Nel concetto di D. il P. terrestre si configura, secondo la tradizione biblica, quale luogo di delizie in un originario stato primitivo di purezza e di felicità, cui si contrappone la condizione dell'umanità dopo il peccato originale. In tal senso va inteso il richiamo in VE I VII 2 (Num fuerat satis ad tui correptionem quod per primam praevaricationem eliminata, delitiarum exulabas a patria?) ovvero quello tipico del P. terrestre rappresentato come un giardino (Pd XXVI 110-111 ne l'eccelso giardino, ove costei / a così lunga scala ti dispuose), creato da Dio per sede delle generazioni umane (Pg XXVIII 77-78 in questo luogo eletto / a l'umana natura per suo nido). In questi termini, del resto, si delinea tutto il dramma dell'uomo sortito dall'amore del suo creatore al godimento di un regno di bellezza e di bene corrispondente, per analogia, al suo stato di bontà e d'innocenza naturale e di tale felicità (nello stato e nel luogo) colpevolmente privatosi per effetto della caduta originaria, cioè del cedimento peccaminoso alla tentazione demoniaca.
Se nel P. terrestre si rimpiange il bene perduto (XXVIII 142 Qui fu innocenze l'umana radice), naturalmente se ne rievoca anche l'alto valore, tanto più intensamente esaltato e celebrato, in quanto su di esso pesa con la delusione della colpa anche la conseguente nostalgia dell'umano, acuita dalla commiserazione delle conseguenze prodotte dall'atto per effetto del quale Adamo ed Eva furono cacciati dalla primitiva sede loro assegnata e privati di tutti i beni che tale stato comportava (XXVIII 91-96 Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace, / fé l'uom buono e a bene, e questo loco / diede per arr'a lui d'etterna pace. / Per sua difalta qui dimorò poco; / per sua difalta in pianto e in affanno / cambiò onesto riso e dolce gioco).
Nell'ordine della Commedia il P. terrestre è collocato alla sommità della montagna del Purgatorio che taluni appunto intenderebbero preferibilmente chiamare la montagna del P. terrestre e nell'economia della seconda cantica occupa gli ultimi canti (XXVIII-XXXIII), costituendo la meta finale, sia pure ovviamente provvisoria, di questa prima parte del viaggio dantesco, inteso a un impegno che consenta la conquista della divina foresta e del prato fiorito (VIII 114 quant'è mestiere infino al sommo smalto), ove con l'avvento di Beatrice il poeta ritroverà all'incontro con la sua donna il conforto del viatico necessario all'ultima ascesa. La descrizione del paesaggio del P. terrestre sembra intenzionalmente accompagnare, e quasi commentare, lo stato d'animo di D. pellegrino.
Prevale all'inizio il rilievo dato al proiettarsi dell'ombra della foresta - che si pone in netta antitesi alla selva oscura del peccato di If I nella prospettiva del nuovo giorno - nella quale il poeta, dopo il congedo da Virgilio che ne aveva consacrato la raggiunta capacità di muovere da solo verso la grazia rappresentata da Beatrice, prende a inoltrarsi, senza indugio, per inusitato cammino (XXVIII 1-6 Vago già di cercar dentro e dintorno / la divina foresta spessa e viva, / ch'a li occhi temperava il novo giorno, / sanza più aspettar, lasciai la riva, / prendendo la campagna lento lento / su per lo suol che d'ogne parte auliva). Il lieve vento che leggermente percorre la divina foresta e percuote la fronte di D. contribuisce a suscitare nella scenografia nuova e fin qui inaudita un'impressione di soavità e di dolcezza, cui concorre in un concerto armonioso di grazia il canto degli uccelli che nella mirabile vaghezza del luogo e dell'ora, nell'incanto fascinoso dell'ambiente non tralasciano di modulare le loro note (vv. 7-18). In questo quadro il richiamo, realistico e familiare al poeta, della pineta di Classe presso Ravenna ('l lito di Chiassi, XXVIII 20) riconduce il senso della faticosa esperienza oltremondana a un dato concreto, quotidianamente verificabile in sede sperimentale, che sembra avvicinare di più, oltre che alla sensibilità del protagonista anche a quella del lettore il paesaggio dell'Eden, naturalmente riscoperto e riconquistato al termine del processo penitenziale sviluppato per il regno del Purgatorio.
Inoltratosi nella foresta tanto da non riuscire più a distinguere il punto dell'entrata, D. si trova il cammino improvvisamente interrotto e impedito da un fiume che piega verso sinistra con le sue acque limpidissime che pon trovano in terra alcun elemento di confronto per limpidità e purezza, nonostante che nel P. terrestre il rivo scorra tra la fitta selva che non lascia passare raggio alcuno di luce, né diurna né notturna (vv. 28-33).
Viva è la sorpresa del poeta, perché la presenza qui dell'acqua e del vento sembra contrastare nettamente con le parole di Stazio (XXI 43-57), secondo le quali oltre la porta del Purgatorio custodita dall'angelo che ha impresso sulla fronte di D. i sette P penitenziali non hanno più luogo fenomeni metereologici. Tocca a Matelda, la donna che, dall'altra parte del fiume, soccorre e guida D. con il suo amoroso e luminoso sorriso, dare di ciò la spiegazione (XXVIII 85-90). In primo luogo viene addotta la ragione dello stato di privilegio accordato al P. terrestre che è sottratto all'influsso delle variazioni atmosferiche e in particolare all'influsso prodotto dal fenomeno dell'evaporazione (vv. 97-102).
Il fatto che la sommità della montagna si elevi verso il cielo richiama su di essa, mentre analogicamente sottolinea la spinta tendenziale verso Dio, l'influsso dell'armonioso movimento delle sfere celesti, donde derivano il percuotere dell'aria che scuote la foresta (vv. 103-108) e la conseguente fecondazione spontanea del terreno (vv. 109-114). Il prodigio, quindi, secondo Matelda, è tale soltanto in un ordine di considerazioni puramente terrene, mentre tale, ovviamente, non è da considerarsi, ove si abbia presente la natura del P. terrestre, la quale, come non può non intendersi dal senso di queste parole, partecipa, pertanto, sia pure mediatamente, delle condizioni e, almeno in relazione alla situazione terrestre, dei privilegi che sono propri del Paradiso (vv. 115-120 Non parrebbe di là poi maraviglia, / udito questo, quando alcuna pianta / sanza seme palese vi s'appiglia. / E saper dei che la campagna santa / dove tu se', d'ogne semenza è piena, / e frutto ha in sé che di là non si schianta).
Anche per ciò che concerne i fiumi del P. terrestre la spiegazione offerta da Matelda insiste in modo particolare nel porre in evidenza come essi sfuggano alle ragioni di carattere naturalistico, e quindi umano e terreno, in quanto trovano il fondamento e il principio della loro esistenza nell'atto creativo e provvidenziale di Dio, che li colloca qui, nel contesto del paesaggio edenico, e con una funzione che diventerà strumentale eppure necessaria per significare compiutamente, dopo l'incontro con Beatrice al centro della mistica processione e la rappresentazione dei riti simbolici che ne contrappuntano il primo novello insegnamento a D., nel duplice lavacro in Lete e in Eunoè, il momento risolutivo della riconquista di quella vocazione di grazia che rende D. veramente puro e disposto a salire a le stelle (XXXIII l45).
L'insistenza didattica di Matelda è puntuale e calzante, ricca nell'immagine figurativa di aperture luminose in prospettiva ascendente e discendente al tempo stesso, quasi a raffigurare nell'esattezza concettuale déll'espressione il sublime dono divino che si partecipa alle creature e nel caso esistenziale alla creatura D. nell'iter oltremondano che per grazia gli è dato di percorrere. Da questo dono viene la dimenticanza del peccato, cioè del male compiuto, e successivamente il recupero della memoria del bene operato nella vita terrena, l'una e l'altro configurati come stadi successivi del processo psicologico, intellettuale e morale tipico dell'esame di coscienza (XXVIII 121-133). In una dichiarazione o presentazione sintetica del P. terrestre Matelda richiama il mito edenico, proprio della tradizione cristiana, a quello pagano dell'età dell'oro celebrata e cantata dagli antichi poeti. Di essa l'attributo o, se si vuole, la connotazione qualificante viene individuata nello stato d'innocenza di cui godeva la natura umana, in un contesto di doni e di privilegi che afferiscono tanto alle condizioni fisiche dell'ambiente e del paesaggio, quanto alla possibilità per l'uomo di prelibarne i dolci frutti, quasi in un'anticipazione della felicità eterna, cui è sortito, secondo i piani dell'amorosa Provvidenza divina (XXVIII 139-144 Quelli ch'anticamente poetaro / l'età de l'oro e suo stato felice, / forse in Parnaso erto loco sognaro. / Qui fu innocente l'umana radice; / qui primavera sempre e ogne frutto; / nettare è questo di che ciascun dice).
Che cosa, del resto, significhi figurativamente il P. terrestre nel concetto dantesco è detto in Mn III XV 7, ove appunto esso s'identifica con lo stato di felicità raggiungibile nella vita terrena mediante l'uso delle virtù morali, mentre nel Paradiso celeste è espresso lo stato di felicità che attinge, con l'ausilio della grazia, la contemplazione beatificante di Dio (Duos igitur fines providentia illa inenarrabilis homini proposuit intendendos: beatitudinem scilicet huius vitae, quae in operatione propriae virtutis consistit et per terrestrem paradisum figuratur; et beatitudinem vitae aecternae, quae consistit in fruitione divini aspectus ad quam propria virtus ascendere non potest, nisi lumine divino adiuta, quae per paradisum coelestem intelligi datur). Nel P. terrestre ha luogo la processione mistica (v.), attraverso la quale è figurata la storia ideale dell'umanità dopo il peccato originale, tanto in relazione al rinnovamento dell'individuo attraverso i carismi sacramentali, la rivelazione e la redenzione, quanto attraverso l'ordinamento politico e morale che deve caratterizzare l'umana società. La processione mistica ha i suoi due momenti centrali nell'apparizione di Beatrice dinanzi a D. e nel dispogliamento dell'albero del bene e del male, simboleggiante il realizzarsi del diritto umano nella Monarchia universale (l'albero, infine, si unisce al carro, e cioè la legge naturale si fonde con la legge di grazia, l'Impero, dunque, con la Chiesa).
Il concetto del P. terrestre si fonda sull'Antico Testamento e sulla letteratura patristica e scolastica, principalmente sulla modulazione tematica, ricorrente e alternantesi, di paradiso perduto e di paradiso ritrovato, come luogo o stato inteso a indicare, nell'accezione emblematica della liturgia biblica, il mito della pienezza felice accordata all'uomo insieme con il ricordo, il rimpianto e la nostalgia della sua caduta, e quindi del bene sommo, del quale con il peccato di Adamo egli venne a privarsi.
In Gen. 2, 8-15 (" Plantaverat autem Dominus Deus paradisum voluptatis a principio, in quo posuit hominem quem formaverat. Produxitque Dominus Deus de humo omne lignum pulchrum visu, et ad vescendum suave: lignum etiam vitae in medio paradisi lignumque scientiae boni et mali. Et fluvius egrediebatur de loco voluptatis ad irrigandum paradisum, qui inde dividitur in quattuor capita. Nomen uni Phison: ipse est qui circuit omnem terram Hevilath, ubi nascitur aurum; et aurum terrae illius optimum est... Et nomen fluvii secundi Gehon: ipse est qui circumit omnem terram Aethiopiae. Nomen vero fluminis tertii Tigris: ipse vadit contra Assyrios. Fluvius autem quartus, ipse est Euphrates. Tulit ergo Dominus Deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis, ut operaretur et custodiret illum "), sono poste le condizioni istituzionali del P. terrestre. S. Tommaso (Sum. theol. I 102) ne sviluppa con ampiezza di considerazioni e di riflessione il concetto, richiamando la tradizione testuale precedente e discutendo particolarmente alcuni punti, e cioè se il P. terrestre sia un luogo corporeo, se esso fosse luogo adatto come dimora per l'uomo e se l'uomo vi fu collocato per lavorarlo e custodirlo, per concludere, in ordine allo stato di natura originale: " Respondeo dicendum quod Paradisus fuit locus congruus habitationi humanae, quantum ad incorruptionem primi status. Incorruptio autem illa non erat hominis secundum naturam, sed ex supernaturali Dei dono. Ut ergo hoc gratiae Dei imputaretur, non humanae naturae, Deus hominem extra Paradisum fecit, et postea ipsum in Paradiso posuit ut habitaret ibi toto tempore animalis vitae, postmodum, cum spiritualem vitam adeptus esset, transferendus in caelum ".
Anche Pietro Lombardo (Sent. II 17) insiste sul fatto che il P. terrestre è diviso dalla terra abitata " et in alto situs, usque ad lunarem circulum pertingens ". D., peraltro, pur raccogliendo i moduli tematici essenziali, non ripete rigorosamente le correnti opinioni dei teologi, in quanto colloca il P. terrestre agli antipodi di Gerusalemme, avvicina il Purgatorio all'Eden, che, per via della contiguità ascendente, ne rappresenta il coronamento e la conclusione. È facile arguire che il poeta, come ha dimostrato il Nardi, ha tenuto particolarmente conto della tradizione popolare, già studiata dal Graf, e dell'esegesi dei padri orientali, inserendovi chiaramente di suo il concetto teologico di contrapposizione morale tra il peccato originale e la redenzione, tra l'uomo antico e l'uomo nuovo, tra il male e il bene, come emerge con vigore di concetto e intensità di figurazione poetica nei riti simbolici e in particolare nella processione mistica, che costituisce, all'interno del contesto episodico conclusivo della seconda cantica, il fulcro più significativo e valido per la storia analogica dell'itinerario oltremondano di D. pellegrino. Perciò la realtà-simbolo, se da un lato ci consente di ricostruire la storia dell'Eden nella situazione esistenziale che è propria della storia della società e in essa di ogni uomo, dall'altro apre indubbiamente come preludio paradisiaco verso l'ultima ascesa, ove l'esaltazione e il perfezionamento del rinnovarsi interiore operato dalla grazia recuperano e celebrano in pieno i valori di gloria e di felicità spirituale, che rappresentano il culmine dell'esperienza umana. Non bisogna dimenticare, peraltro, che verosimilmente, in conformità alla sua poetica, D., nel concetto e nella figurazione del P. terrestre, ha certamente tenuto presente l'Eliso virgiliano, componendo insieme tradizione classica e tradizione cristiana. Così, al centro della visione illuminante che si presenta nel P. terrestre, l'avvento di Beatrice, nel segno della giustizia e della grazia, ripropone l'analogia di Cristo, della sua redenzione e giustificazione per la redenzione e la giustificazione dell'umanità.
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