paradigmi
Un paradigma è l’insieme delle forme di una parola (tecnicamente, un lessema). Sono esempi di paradigma le forme che prende un verbo nella coniugazione, un pronome, un aggettivo e un nome nella declinazione.
I paradigmi possono essere rappresentati sotto forma di tabelle, le cui celle contengono le diverse forme che può assumere un lessema a seconda del contesto in cui viene impiegato. Le variazioni di forma dipendono normalmente dal numero delle categorie flessive esistenti nella lingua (per es., tempo, modo, persona, numero, genere) e dal numero dei valori che ciascuna di esse può prendere (➔ flessione), ma possono dipendere anche dai contesti fonologici (per es., uomo bello → bell’uomo, un momento bello → un bel momento; ➔ troncamento). Ad es., in italiano, la flessione degli aggettivi ha le categorie di ➔ genere e ➔ numero, che hanno rispettivamente i valori ➔ maschile o ➔ femminile, singolare o ➔ plurale. Di conseguenza, il paradigma degli aggettivi dell’italiano è rappresentato dallo schema seguente, contenente come esempio le forme flesse del lessema buono:
numero
genere sing. pl.
masch. buono buoni
femm. buona buone
Il paradigma dei nomi riguarda solo la variazione della categoria di numero, in quanto per i nomi il genere è di norma predeterminato, cioè ciascun nome è o maschile o femminile (➔ morfologia; ➔ parole ambigeneri). Il paradigma dei nomi dell’italiano è quello dello schema seguente, contenente come esempio le forme flesse di mela:
numero
sing. pl.
mela mele
Tutte le parole appartenenti a una determinata parte del discorso hanno paradigmi con la stessa struttura. Il numero delle categorie flessive e dei rispettivi valori dipende dalle caratteristiche di una lingua. Ad es., in inglese gli aggettivi sono invariabili; il paradigma degli aggettivi del latino invece comprende, oltre alla categoria di numero, anche quella di caso, e distingue tre valori per il genere (maschile, femminile, ➔ neutro). Nella tab. 1, contenente le forme flesse del lessema bonus, è rappresentato il paradigma dell’aggettivo in latino, che ha una struttura più articolata di quella dell’italiano.
Le forme che i lessemi possono assumere secondo i diversi valori delle categorie flessive possono indurre ad articolare il paradigma in diverse classi. L’esempio più ovvio per quanto riguarda l’italiano è la distinzione dei verbi in tre coniugazioni (➔ coniugazione verbale), distinte secondo le terminazioni dell’infinito (-are, -ere, -ire). Il paradigma della flessione del presente indicativo dei verbi tradizionalmente indicati come appartenenti alla prima, seconda e terza coniugazione ha un’unica struttura:
numero
persona sing. pl.
I -o -iamo
II -i -te
III -a -no
Come si può vedere, le forme flesse dei verbi delle diverse coniugazioni hanno alcune caratteristiche distinte per i medesimi valori flessivi: in particolare, le coniugazioni si distinguono per la vocale tematica della II persona plurale, e la coniugazione in -are si differenzia dalle altre due per la forma della III persona singolare e plurale:
numero
pers. sing. pl. sing. pl. sing. pl.
I àm-o am-iàmo prènd-o prend-iàmo àpr-o apr-iàmo
II àm-i am-à-te prènd-i prend-é-te àpr-i apr-ì-te
III àm-a àm-ano prènd-e prènd-ono àpr-e àpr-ono
La combinazione di coppie di terminazioni per i valori singolare e plurale dei nomi dell’italiano permette di identificare più classi di flessione anche per i nomi. Nella proposta di classificazione di D’Achille & Thornton (2003) si distinguono sei classi: le prime cinque comprendono i lessemi che hanno la stessa coppia di terminazioni per il singolare e per il plurale, la sesta classe comprende tutti i nomi invariabili, indipendentemente dalla terminazione (cfr. tab. 2).
Nel suo significato di base, il termine paradigma fa dunque riferimento alla rappresentazione in forma schematica delle conoscenze che i parlanti hanno a proposito delle forme di una parola e delle loro relazioni. I parlanti nativi di una lingua sono in grado di ricondurre le diverse forme impiegate nel discorso al lessema di cui sono manifestazione, e anche di produrre tutte le forme flesse regolari di un lessema mai incontrato prima. Sono, ad es., in grado di coniugare un verbo derivato con il suffisso -izzare a partire da un qualsiasi nome proprio: la prima persona dell’imperfetto indicativo del verbo berlusconizzare (formato a partire dal cognome del politico-imprenditore Silvio Berlusconi) sarà berlusconizzavo, la terza singolare del passato remoto belusconizzò, ecc. Ciò è possibile grazie alla struttura della flessione, che prevede per ciascuna parola l’espressione obbligatoria di determinati valori, che si realizza tramite un numero ristretto di elementi ripetuti in numerose parole, legati fra loro da rapporti di mutua esclusione.
L’insegnamento delle lingue classiche utilizza ampiamente la nozione di paradigma. Ad es., la memorizzazione delle forme flesse dei nomi rappresentativi delle classi flessive del latino (per es., sing. rosă, rosae, rosae, rosăm, rosă, rosā, pl. rosae, rosārum, rosīs, rosās, rosae, rosīs; sing. lupŭs, lupī, lupō, lupŭm, lupĕ, lupō, pl. lupī, lupōrum, lupīs, lupōs, lupī, lupīs) permette di riconoscere e di produrre le forme flesse di nomi con caratteristiche simili. Ad es., il dativo plurale di un lessema le cui forme del nominativo e del genitivo singolare sono tabulă e tabulae sarà tabulīs (così come rosīs), mentre il genitivo plurale di un lessema le cui forme del nominativo e del genitivo singolare sono amicŭs e amicī, sarà amicōrum (così come lupōrum).
La possibilità di indicare in modo economico l’insieme delle forme di un lessema, assai utilizzata nelle grammatiche e nei dizionari, ha prodotto un’accezione derivata del termine paradigma. Invece che la struttura completa delle forme flesse di un lemma, questo termine può indicare anche l’insieme di un numero limitato di forme, la cui conoscenza permette di ottenere tutte le forme flesse di una parola. Nel caso del verbo latino, il paradigma è composto da cinque forme: prima e seconda persona singolare dell’indicativo presente, prima persona dell’indicativo perfetto, supino, infinito presente. Quindi, ad es., il paradigma di amare comprende le forme amo, amas, amavi, amatum, amare. Lo stesso accade per verbi irregolari come ferre «portare»: ferō, fers, tuli, lātum, ferre.
Altre lingue, la cui flessione è meno articolata, ricorrono a paradigmi solo per indicare la flessione dei verbi irregolari. Così l’inglese, il cui paradigma comprende tre forme: infinito senza la particella to, passato semplice, participio passato; ad es., il paradigma del verbo to see «vedere» è see, saw, seen. Anche il tedesco adotta una strategia simile: il paradigma del verbo gehen «andare» è gehen, ging, gegangen. A partire da queste tre forme è possibile ricostruire tutte le forme del verbo.
L’organizzazione in paradigmi si rivela particolarmente utile per la descrizione e la comprensione del funzionamento delle lingue del tipo fusivo, a cui appartiene anche l’italiano (cfr. Iacobini 20062; ➔ latino e italiano; ➔ lingue romanze e italiano). In queste lingue gli affissi tendono a cumulare più funzioni; i valori delle categorie grammaticali sono espressi da diverse classi flessive; l’estensione dei paradigmi tende a essere molto ampia per numero di forme e di categorie grammaticali espresse; c’è una diffusa omonimia e sinonimia all’interno fra gli affissi; i fenomeni di allomorfia (➔ allomorfi) sono molto diffusi, come pure i casi di ➔ suppletivismo. In ragione di queste caratteristiche, segmentare in unità distinte di forma e contenuto le parole morfologicamente complesse è difficile e non sempre possibile.
Come si può notare nello schema, che riporta il paradigma del presente indicativo del verbo italiano delle tre principali coniugazioni (cfr. § 1), anche le forme dei verbi più comuni e regolari dell’italiano presentano molte caratteristiche flessive: nelle forme ama, prende, apre non è infatti possibile distinguere quali siano gli elementi corrispondenti ai valori indicativo, presente, terza persona, singolare. Ma anche in forme più lunghe, come la terza persona plurale del condizionale presente (per es., amerebbero, prenderebbero, aprirebbero), la terminazione -rebbero non può essere scomposta in elementi dotati di autonomo significato, quali modo condizionale, tempo presente, plurale, terza persona (cfr. Matthews 1970).
La disposizione in paradigmi permette invece di attribuire valore alle forme flesse per la posizione che hanno nel sistema della flessione, e anche di cogliere sistematicità nella distribuzione di fenomeni che altrimenti verrebbero trascurate. Nella tab. 3 sono riportati in trascrizione fonetica dati tratti da Pirrelli & Battista (2000), inerenti esempi di coniugazione irregolare disposti lungo un continuum che va da modifiche fonologiche parziali al suppletivismo della radice. Possiamo notare che, benché le alterazioni delle forme flesse rispetto ai modelli regolari dipendano da fenomeni di tipo diverso, la distribuzione delle alternanze della radice del verbo italiano rispetta uno schema ricorrente (prima, seconda, terza persona singolare e terza plurale da una parte, prima e seconda persona plurale dall’altra), che corrisponde anche alla distribuzione della posizione dell’accento nella coniugazione regolare (cfr. § 1). I fenomeni fonologici ai quali si devono le variazioni allomorfiche riportate in tab. 3 sono non più produttivi e di natura eterogenea: essi consistono nella palatalizzazione di fronte a vocale anteriore (nascere), nella modificazione della vocale della radice (udire), nella sua dittongazione (sedere), nell’inserimento dell’infisso -isc- e palatalizzazione della consonante velare (finire), nella modificazione della vocale della radice, labializzazione e allungamento della consonante finale (dovere), nel suppletivismo della radice (andare).
È possibile individuare una distribuzione ricorrente, anche se secondo uno schema diverso (prima e terza persona singolare e terza plurale da una parte, seconda persona singolare, prima e seconda plurale dall’altra), anche nella coniugazione del passato remoto (cfr. tab. 4). In questo caso, le alterazioni di forma più frequenti riguardano l’allungamento della consonante finale della base (venire), la sostituzione della consonante finale con /s/ (perdere → persi) e altri fenomeni più complessi come la modificazione della vocale della radice, l’inserzione o la cancellazione di consonanti (fondere → fuso). Sebbene la maggioranza delle forme irregolari possa essere spiegata come effetto di fenomeni fonologici, l’improduttività di tali fenomeni e soprattutto la regolarità di distribuzione delle forme irregolari lascia pensare che la loro distribuzione sia condizionata dall’organizzazione dei paradigmi.
D’Achille, Paolo & Thornton, Anna M. (2003), La flessione del nome dall’italiano antico all’italiano contemporaneo, in Italia linguistica anno Mille, Italia linguistica anno Duemila. Atti del XXXIV congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Firenze, 19-21 ottobre 2000), a cura di N. Maraschio et al., Roma, Bulzoni, pp. 211-230.
Iacobini, Claudio (20062), Italian as fusional language, in Encyclopedia of language and linguistics, editor-in-chief K. Brown, Boston - Oxford, Elsevier, 14 voll., vol. 6º, pp. 64-69.
Matthews, Peter H. (1970), Recent developments in morphology, in New horizons in linguistics, edited by J. Lyons, Harmondsworth, Penguin, pp. 97-114.
Pirrelli, Vito & Battista, Marco (2000), The paradigmatic dimension of stem allomorphy in Italian verb inflection, «Rivista di linguistica» 12, 2, pp. 307-380.