PARACLETO da Corneto
PARACLETO da Corneto. – Nacque nel 1408 a Corneto, l’odierna Tarquinia, discendente, forse non legittimo, di un membro della famiglia Malvezzi di Bologna, motivo per cui in alcuni documenti ufficiali gli è attribuito il cognome de Malvetiis.
Nulla è noto della sua educazione né si sa quando vestì l’abito degli eremitani di sant’Agostino. Alcune sue elegie amorose dedicate a una donna senese fanno pensare che abbia studiato a Siena. A Bologna fece parte del Collegio di sacra teologia: fu lettore straordinario nel 1454, magister nel 1456 e lettore ordinario di filosofia per gli anni 1458-59 e 1459-60. L’8 marzo 1460 fu nominato vescovo di Acerno da papa Pio II. Due successivi documenti papali del maggio dello stesso anno (redatti entrambi a Siena) confermano la nomina e l’attribuzione dei benefici. Nel recarsi presso la sua diocesi fece tappa nella città natale, dove tornò in visita ufficiale nel novembre 1475. Dalla lettura di alcuni manoscritti si ricava, inoltre, che in veste di rappresentante dell’Ordine era stato a Venezia (Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. Lat. 598, ff. 145r-148v), a Padova (Norimberga, Stadtbibliothek, Cent. V App. 15, f. 334r) e a Tolentino nel maggio del 1459 (Yale, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, 188, cc. 104r-110r).
La sua produzione in versi e in prosa latina è quasi del tutto sconosciuta e inedita. Nel 1458 indirizzò al neoeletto Pio II Piccolomini un Carmen de vita Christi (Biblioteca apostolica Vaticana, Chigi I.VI.231), che in una nota apposta dal bibliotecario è definito «nec editum nec editione dignum».
In verità, pur riconoscendo la scarsa qualità dei versi di Paracleto e la vena esclusivamente encomiastica della sua Musa, quest’opera si offre come uno dei primi esperimenti di poema latino sacro del Quattrocento (Calisti, 1926, pp. 18 s.). Un anno dopo, il 26 ottobre 1459, Iacopus Macharius realizzò la copia di dedica del Bucolicum carmen, sempre indirizzato al papa che, dopo aver indetto il concilio di Mantova, si preparava a lasciare Roma.
Si tratta di sei egloghe, in cui Enea Silvio Piccolomini è cantato ora come nuovo papa, ora come umanista e poeta, ora come l’organizzatore della crociata contro i turchi. L’opera ebbe una discreta fortuna: è tramandata, oltre che dal manoscritto di dedica (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, K.VIII.61), dai codici della Biblioteca apostolica Vaticana, Reg. Lat. 643 (incompleto); Modena, Biblioteca Estense universitaria, Lat. 676; Troyes, Bibliothèque de l’Agglomération, 2471; Bruxelles, Bibliothèque royale de Belgique, II.65 (incompleto).
Al periodo acernese risale il poema epico Tarentina, scritto a ridosso dell’evento cruciale con il quale si conclude, ovvero la morte, avvenuta il 15 novembre 1463, del principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini, primo tra i baroni che cospirarono contro Ferrante, fautore nonché ricchissimo finanziatore della guerra di successione al trono di Napoli, che vide Pio II schierato con l’Aragonese.
Il poema, un racconto surreale dell’intera vicenda e d’impronta marcatamente partigiana, fu dedicato al cardinale legato nel Regno, Bartolomeo Roverella (Bologna, Biblioteca Universitaria, 2696); una copia di lusso fu realizzata anche per il cardinale Giovanni d’Aragona (Paris, Bibliothèque nationale de France, 8374).
A un periodo successivo è da ascrivere la composizione di Satyrae, che Giovanni Martucci dichiara di aver lette in un «fondo di cartaccia» recuperato da una «bottega di un rivendugliolo di libri» (Martucci, 1899, p. XXXI). In verità non è possibile oggi rinvenire testimoni dell’opera, a eccezione forse di un codice un tempo appartenuto al conte Giacomo Manzoni (Berlino, Staatsbibliothek-Preusslischer Kulturbesitz, Lat. Qu. 434), che contiene un carme In voraginosum usurae monstrum attribuito a Paracleto.
L’ultima sua opera nota è il De bono mortis, un trattato in quattro libri indirizzati a Roberto Sanseverino (1471): il manoscritto di dedica, un tempo conservato presso la Biblioteca reale di Torino, è andato quasi completamente distrutto durante l’incendio del 1904 (pochi frammenti sono segnati K.IV.4; ne fu fatta una copia parziale da Costanzo Gazzera nell’Ottocento (Torino, Accademia delle scienze, Fondo Gazzera, 1365), ma un’altra copia del trattato (Milano, Biblioteca nazionale Braidense, AD. XII 49) aspetta le attenzioni degli studiosi.
Presso la Staats- und Stadtbibliothek di Augsburg si conserva inoltre una raccolta di elegie d’amore per una senese dal nome Fulvia (ms. 2° 219), attribuita a un Fuschus, all’interno della quale si allude a Corneto come patria dell’autore.
Fu Vittorio Rossi a suggerire l’identificazione con Paracleto, a causa del soprannome Fuscus, che egli riserva per sé anche nel Buccolicum carmen (Hartmann, 1908, p. 473). Potrebbe trattarsi della medesima opera conservata in Savignano sul Rubicone, Biblioteca dell’Accademia Rubiconia dei Filopatridi, 14.
Morì l’11 aprile 1487 ad Acerno e lì fu sepolto.
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