PARACCA, Giovanni Giacomo
di Antonio
– Nacque in Valsolda, come suggerisce il soprannome con cui fu noto, o più probabilmente in Val d’Intelvi verso il 1546 (Giometti, 2012, p. 319); operò prevalentemente a Genova nella seconda metà del Cinquecento.
Fu probabilmente membro di una famiglia di marmorari ticinesi trapiantati in città e attestati fin dal 1459 (Podestà, 1913, pp. 118 s.); del suo catalogo fittamente documentato (Archivio di Stato di Genova, Notai) si conservano poco meno di una decina di opere.
La prima menzione dello scultore si deve all’erudito Raffaele Soprani, a detta del quale «Giacomo Valsoldi lombardo scultore» eseguì su disegno di Luca Cambiaso «quattro [statue] […] lavorate per la fontana del signor Gaspare Bracelli, fabricata per delitia della sua villa di Bisagno», già «al presente molto maltrattata e logorata dal tempo» (Soprani, 1674, p. 45). Tali figure, di cui ignoriamo il soggetto, essendo andate «per vari accidenti affatto distrutte» fin dal XVIII secolo (Soprani - Ratti, 1768, p. 89), furono messe in opera entro il 1552, se, come tutto lascia credere, il committente va identificato in quel doge Bracelli, congiunto di Nicoletta Grimaldi, deceduto proprio in quell’anno (Levati, 1930).
La documentazione coeva attesta il pieno coinvolgimento di Paracca nel circuito delle commissioni pubbliche cittadine. Il 12 luglio del 1552 lo scultore fu incaricato dall’Ufficio di San Giorgio di eseguire una statua commemorativa dedicata all’insigne concittadino Dario Vivaldi, ultimata solo nel 1560 dopo numerose traversie, tra cui il temporaneo affidamento (1553-54) a Giovan Giacomo della Porta (Alizeri, 1877). Sistemata nell’atrio della Sala del Capitano del Popolo in palazzo S. Giorgio tra il 1890 e il 1905, l’opera faceva parte di un ciclo scultoreo di ‘uomini illustri’ genovesi, per il quale, tra il 1538 e il 1663, furono coinvolte alcune delle personalità artistiche più in vista in città (Giacomo Della Porta, Giovan Battista Perolli, Bernardino di Novo e Taddeo Carlone); Paracca fu nuovamente interpellato nel 1583 per la statua di Giulio da Passano, oggi nella Sala delle Congreghe o delle Compere (Parma Armani - Pesenti - López Torrijos, 1987, p. 311).
Nel 1553 i Padri del Comune richiesero al Valsoldo una lapide di marmo (consegnata nel 1555) per celebrare la bonifica e la messa in funzione dopo un lungo abbandono di una cisterna pubblica, già aperta in piazza del Molo nel 1428; la targa fu poi murata nel portico del palazzo di Andrea, Giorgio e Galeotto Spinola (Podestà, 1913, pp. 160, 184 n. 9). Gli stessi Padri del Comune, nel 1589, assegnarono allo scultore una Sirena per la fonte in piazza Soziglia, progettata da Taddeo Carlone nel 1578 e andata distrutta verso il 1723 (Merli - Belgrano, 1874, p. 58; Pastorino, 1968).
La conoscenza attuale di Paracca si lega principalmente alla statuaria funebre gentilizia. Nel 1560 Annibale Gentile gli commissionò il sepolcro, completato e datato nel 1562, della consorte Flaminia Salvago nel santuario di Nostra Signora del Monte.
L’opera, inserita in una nicchia nella parete, consta di un sarcofago su cui poggia il gisant della donna dormiente su morbidi cuscini; il progetto originario, di cui abbiamo conoscenza grazie a un disegno preparatorio allegato al rogito conservato presso l’Archivio di Stato di Genova (in Alfonso, 1985, p. 305 e n. 4) prevedeva in aggiunta un altare, un Eterno benedicente a rilievo entro un’edicola, e la rappresentazione della defunta semisdraiata, con la testa sorretta da una mano.
Nel 1564 lo scultore attese alle figure della Speranza e della Carità per il sepolcro dei coniugi Lercari-De Marini nella cappella del Ss. Sacramento della cattedrale di S. Lorenzo (all’impresa collaborarono Giovan Battista Castello detto il Bergamasco, Luca Cambiaso e Giovan Battista Perolli).
Sebbene le statue siano apparse egualmente «frettolose com’egli [il Paracca] soleva spesso, e da piacere anzi pel concetto che pel lavoro» (Alizeri, 1875, pp. 14 s.), le connotazioni formali precipue della Speranza, che si propone per blocchi con forti squadri e voluminosi scorrimenti, hanno suggerito l’ipotesi di un prolungamento dei lavori di circa un ventennio (Pesenti, 2003 pp. 13 s.).
Alla mano del Valsoldo sono stati avvicinati anche i sepolcri degli arcivescovi Agostino Salvago (morto nel 1567) e Cipriano Pallavicino (1575), sistemati ai lati dell’altare dei Ss. Pietro e Paolo nella cappella di S. Giovanni Battista in cattedrale (Parma Armani - Pesenti - López Torrijos, 1987, p. 317; Giometti, 2012, pp. 307 s., 312 s.), e il gruppo marmoreo della Crocifissione tra la Vergine e l’Evangelista, sul portale architravato della cappella del doge Giovan Battista Lercari nell’abbazia di S. Niccolò del Boschetto a Cornigliano (Parma Armani - Pesenti - López Torrijos, 1987, p. 335).
Nel 1574 Paracca fu incaricato, insieme a Bernardino di Novo e all’esordiente Taddeo Carlone (rappresentato agli atti dal padre Giovanni), dell’esecuzione del sepolcro di Ceva Doria nella chiesa di S. Maria della Cella a Sampierdarena, ubicato nel presbiterio, alle spalle dell’altare maggiore. A Paracca si sogliono riferire in particolare la bellissima allegoria della Meditazione sulla morte, elegantemente assisa sulla voluta destra del sarcofago, e il busto-ritratto del titolare.
Nel 1584 l’artista lavorò al monumento funebre di Giovanni Agostino Centurione, priore di S. Vittore, nella chiesa di Genova oggi nota con il titolo dei Ss. Vittore e Carlo.
La sepoltura, originariamente soprelevata su gradini, recava un’urna affiancata da putti tedofori e cariatidi, su cui sedeva il defunto, ed era inquadrata da una nicchia con timpano sovrapposto e lesene con telamoni a rilievo (Alizeri, 1875, p. 434); dell’intero monumento si conserva la sola effigie pensosa del Centurione, ricollocata a capo di una rampa laterale di accesso alla chiesa, visibilmente corrotta dagli agenti atmosferici e dall’incuria.
Non sono state finora rintracciate le due tombe eseguite da Paracca nel 1576 e nel 1583, rispettivamente per la chiesa abbaziale di S. Gerolamo al Monte di Portofino (conosciuta come abbazia della Cervara) e per quella di S. Martino di Cornigliano.
Il Valsoldo alternò l’attività di scultore di figura a quella più prevalente, ma meno conservata, di «marmorarius», specializzato soprattutto nella decorazione di portali di palazzi nobiliari, camini, fontane per giardino.
Il 18 luglio 1558 s’impegnò con il cardinale Stefano Cicala a scolpire il portale del suo palazzo (Poleggi, 1968, p. 448); nel 1560 affidò alcuni lavori al «picapetrum» Giovanni Antonio Moncino di Arosio (Alfonso, 1985, p. 305); nel 1562 Tobia Pallavicino gli commissionò alcune opere imprecisate, sotto la direzione del Bergamasco, per la villa di S. Bartolomeo degli Armeni (Poleggi, 1968, p. 126). Proprio una lite con il Bergamasco (Alizeri, 1875, p. 193) attesta indirettamente l’attività svolta da Paracca nel 1564 per l’ornamentazione del superstite camino nel palazzo di Gianbattista Spinola (poi Doria) in Strada Nuova, dotato di marmi policromi figurati, putti con cornucopie, erme in forma di Ercole e un rilievo rappresentante la storia di Muzio Scevola (Parma Armani - Pesenti - López Torrijos, 1987, p. 283). Insieme a Pietro Maria di Novo, lo stesso anno, eseguì dei vasi per una fontana nel palazzo di Angelo Giovanni e Giulio Spinola (Poleggi, 1968, pp. 174, 183 n. 22), oggi sede della Deutsche Bank al numero civico 5 di Via Garibaldi (già Strada Nuova); nel 1565 collaborò con Bernardino di Novo alla decorazione di un portale nel palazzo del capitano Rodrigo Pagano, reggitore di Murcia (López Torrijos, 1997, pp. 249-255); nel 1568 stipulò un contratto con Baldassarre Lomellino per l’esecuzione di un camino marmoreo (andato perduto) destinato al palazzo in Strada Nuova, poi Campanella (Poleggi, 1968, p. 196).
Nel 1570 Paracca delegò al marmoraro Antonio Carabio di Filippo la realizzazione di tre teste marmoree raffiguranti Annibale e gli imperatori Nerone e Galba (Alfonso, 1985, p. 305), e nel 1576 s’impegnò a scolpire «rastellum unum marmoreum Carrare» – ovvero un cancello di marmo bianco – «ad usum cappelle Sancte Barbare in Sancto Marco» (ibid.).
Nel 1581 gli fu commissionato un Satiro per palazzo Doria a Fassolo (Merli - Belgrano, 1874, p. 57 e n. 2; Parma Armani - Pesenti - López Torrijos, 1987, pp. 304 s.); nel 1587 don Pedro da Mendoza, consigliere di Filippo II di Spagna e suo oratore presso la Repubblica genovese, affidò al Valsoldo più lavori per la ornamentazione marmorea del palazzo reale di Messina, in collaborazione con Taddeo Carlone, per un totale di 1772 scudi (Alfonso, 1985, pp. 306-308); nel 1590 Paracca demandò la finitura di un capitello, simile a quelli della chiesa di S. Francesco, al marmoraro Giovan Giacomo di Novo (ibid.).
Non sono stati identificati i «marmi e scolture» di Paracca in palazzo Spinola-Farruggia, al cui cantiere Soprani legò l’aneddoto dell’irriverente raffigurazione del maestro con i suoi garzoni, «in atto di tirare un carro», sulla perduta facciata dipinta dal pittore Ottavio Semino, che volle così canzonare il ripetuto rifiuto del collega, eccessivamente ligio al dovere, di condividere osterie e bagordi (Soprani, 1674, p. 63).
Alcuni documenti attestano a più riprese la presenza del Valsoldo a Carrara. Il 17 aprile 1558, mediante il procuratore Pietro Aprile da Carona, lo scultore saldò il prezzo di certi marmi comprati da Giovanni Andrea Pelliccia da Bedizzano; il 25 giugno del 1562 pattuì con Pellegrino Pelliccia l’acquisto di marmo bianco dalla cava del Finocchioso presso Miseglia, del valore di 44 scudi d’oro; nel settembre del 1568 tenne a battesimo, a nome del pittore Andrea Semino, una figlia dello scultore Simone Moschino; nel 1587, infine, donò alla Confraternita carrarese del Corpo di Cristo un credito di 13 scudi d’oro maturato nei confronti degli eredi di Francesco Tedeschi da Serravezza (Campori, 1873, p. 353).
Va scartata la possibilità di identificare in Paracca quel «Giacomo Bargnola da Valsolda», spesso indicato come «Giacomo Paracca», che tra il 1588 e il 1589 allestì di statue in terracotta policroma la cappella della Strage degli Innocenti al Sacro Monte di Varallo, su commissione del duca di Savoia Carlo Emanuele II. Tanto le connotazioni formali dei personaggi scolpiti, quanto la drammaticità «strangosciata» della scena (Testori, 1969), stridono non poco con il più tipico, elegante e pausato stile del Valsoldo.
Verso il 1588 Paracca fu aggregato alla nobiltà, come si apprende da una supplica della città di Genova al re Filippo II in favore della comunità lombarda.
Morì a Genova nel 1597, come attestato da un atto di vendita di una casa a lui appartenuta, «in contrada de Mollinis apud regionem Lomellinorum» (Alfonso, 1985, pp. 308 s.).
Fonti e Bibl.: R. Soprani, Le vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi..., Genova 1674, pp. 45, 63; R. Soprani - C.G. Ratti, Vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi..., I, 1768, pp. 68, 89 s.; G. Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ec. nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa..., Modena 1873, p. 353; A. Merli - L.T. Belgrano, Il palazzo del Principe d’Oria a Fassolo in Genova, Genova 1874, pp. 57 e n. 2, 58; F. Alizeri, Guida illustrata del cittadino e del forestiero per la città di Genova e sue adiacenze, Genova 1875, pp. 14 s., 193, 434; Id., Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI, V, Scultura, Genova 1877, pp. 239 n. 1, 240 n. 1; F. Podestà, Il porto di Genova, Genova 1913, pp. 118 s., 160, 184 n. 9; L.M. Levati, Dogi biennali di Genova, I, Genova 1930, pp. 58-63; T. Pastorino, Dizionario delle strade di Genova, I, Genova 1968, pp. 26 s.; E. Poleggi, Strada Nuova. Una lottizzazione del Cinquecento a Genova, Genova 1968, pp. 126, 174, 183 n. 22, 196, 448; G. Testori, La Cappella della Strage, Vercelli 1969, pp. 13-15; U. Macciò, Madonna del Monte. Dal secolo X al secolo XVI, Genova 1973; E. Parma Armani, Santuario di Nostra Signora del Monte, Genova 1979, p. 23; L. Alfonso, Tomaso Orsolino e altri artisti di “Natione Lombarda” a Genova e in Liguria dal sec. XIV al XIX, Genova 1985, pp. 305-309; E. Parma Armani - F.R. Pesenti - R. López Torrijos, Il secolo d’oro dei genovesi. Il Cinquecento, in La scultura a Genova e in Liguria. Dalle origini al Cinquecento, Genova 1987, pp. 283, 304 s., 311-313, 317, 332-336, 385; V. Belloni, Gio. Giacomo Parraca (1525?/1597), scultore non Cambiaso-dipedente, in La Squilla, LXVI (1990), 2, pp. 29-31; R. López Torrijos, Obras, autores y familias genovesas en España, in Archivio español de arte, LXX (1997), 279, pp. 247-256; A. Dagnino, San Lorenzo. Cattedrale, Genova 2000, p. 23; E. Parma Armani, Una proposta per Gio. Giacomo Paracca da Valsoldo e iconografie Doria, in Studi di Storia dell’arte. Numero speciale in onore di Ezia Gavazza, Genova 2003, pp. 103-116; F.R. Pesenti, Dal Valsoldo a Taddeo Carlone. Sculture a Genova nel secondo Cinquecento, in Trasparenze, XX (2003), pp. 3-28; La Cattedrale di San Lorenzo a Genova, a cura di A.R. Calderoni Masetti - G. Wolf - Gianluca Ameri (Mirabilia Italiæ, 18), Modena 2012 (in partic. C. Giometti, pp. 307-310, 312 s., 318 s.).
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Antonio