PARACCA, Giovanni Antonio, detto il Valsoldo
PARACCA, Giovanni Antonio, detto il Valsoldo. – Nacque in Valsolda da «Alessandro Peracco milanese», come attestano nuovi documenti (Di Giammaria, 2012, p. 239 doc. 1), forse tra il 1545 e il 1550.
Lungamente confusa dalla critica otto-novecentesca con quella dell’omonimo ma più giovane «Valsoldino» (Cressogno 1558/61-Roma 1646), la personalità di Paracca senior fu ben inquadrata e distinta nel secondo quarto del Seicento da Giovanni Baglione, il quale dedicò allo scultore una biografia. L’appellativo «milanese», cui fanno spesso riferimento i documenti, trova ragionevole spiegazione nell’appartenenza della Valsolda all’Arcidiocesi di Milano, così nel Cinquecento come tuttora (Barrera, 1864).
Secondo il biografo romano, Paracca «venne a Roma giovane», all’epoca del pontificato di papa Gregorio XIII Boncompagni (1572-85), «e diedesi anch’esso a restaurare […] assai cose antiche, nelle quali fece buona pratica e vi prese ottimo gusto, talché, in breve, eccellente scultore divenne» (Baglione, I, 1642, 1995, p. 79). Di tale attività antiquaria sono giunte sporadiche testimonianze: il 29 maggio 1590 «Antonio Peracha milanese» fece richiesta alla Congregazione cistercense di S. Bernardo di acquistare alcuni torsi di statue antiche trovati nella vigna del monastero di S. Susanna, già di proprietà dei Caetani (Di Giammaria, 2012, p. 227 n. 18); tra il 1594 e il 1597 ricevette complessivamente 450 scudi dal cardinale Odoardo Farnese per il restauro «del gigante de uno delli cavalli de Campidoglio» (Pecchiai, 1950, p. 61), ovvero di uno dei due Dioscuri stanti ai lati della scalinata capitolina (plausibilmente quello di sinistra), «tolto dalle rovine del Teatro di Pompeo» o, più verosimilmente, rinvenuto con l’altro presso il tempio di Castore e Polluce nella «piazzetta delli Cenci», nelle adiacenze dell’odierna via del Progresso (Pietrangeli, 1952). L’identificazione della mano di Paracca nel restauro del Dioscuro capitolino è purtroppo compromessa da un intervento del marmoraro Angelo Gualdini negli anni 1600-01, successivamente alla morte dello scultore (Pecchiai, 1950, p. 62).
Al Valsoldo è stato ascritto il restauro di una Dextrarum iunctio in rilievo marmoreo, conservata nel cortile di palazzo Mattei (Donati, 2010, p. 76 n. 8).
Ancora troppo poco si conosce dell’attività d’esordio come scultore ‘di figura’ (anni Settanta - primi anni Ottanta del Cinquecento), in assenza di documentazione e di omogeneità stilistica tra le attribuzioni. Alla mano di Paracca sono state riferite le tombe con busto del cardinale Arcangelo Bianchi nella basilica di S. Sabina (morto nel 1580), del cardinale Stanislao Osio in S. Maria in Trastevere (1585 circa) e del cardinale Guglielmo Sirleto nella cappella di S. Chiara in S. Lorenzo in Panisperna (1585-86 circa). La controversa attribuzione del sepolcro (o di parte di esso) di Roberto Altemps in S. Maria in Trastevere (1588-89) sembra confermata sia dal rinvenimento presso l’archivio familiare degli Altemps di alcuni mandati di pagamento senza causale a favore di Paracca (Ciardi, 2007), sia da una precisazione documentaria «a bon conto [del] monumento che va a Santa Maria di Trastevere» (Di Giammaria, 2010, appendice). Le statue della Fede e della Prudenza, che sormontano il monumento funebre di Ranuccio Farnese in S. Giovanni in Laterano, sono autografe (all’epoca dei restauri seicenteschi della basilica, Francesco Borromini poté leggere sotto il calice della Fede la firma «Antonius Petrarcha Mediolanensis faciebat»; Baglione, III, 1642, 1995, p. 579), sebbene non concordemente datate dagli studiosi (1581-99).
Nonostante gli inequivocabili punti di congiunzione formale con l’opera del coetaneo Leonardo Sormani da Sarzana, allo stato attuale degli studi non è possibile certificare che Paracca sia stato allievo o collaboratore del ligure, il quale lo avrebbe introdotto nella professione (Strinati, 1992).
Nell’Urbe, fu decisiva per il Valsoldo la conoscenza di Domenico Fontana, architetto ticinese di fiducia del pontefice Sisto V, che affidò allo scultore delle commissioni di notevolissima importanza. Tra il 1588 e il 1590 Paracca eseguì l’imponente effigie sepolcrale genuflessa di Sisto V, destinata all’erigenda cappella del Ss. Presepe (detta cappella Sistina) in S. Maria Maggiore, per la quale ottenne un compenso di ben 900 scudi (Bertolotti, 1881, p. 222). Il prestigioso incarico, il più importante all’interno del vano, costituisce il perno su cui poggia la conoscenza dell’autore tanto attraverso le fonti – ricordato in particolare nella periegetica locale (Baglione, I, 1642, 1995, p. 79) – quanto attraverso lo stile affatto inconfondibile, che indugia con «minuzia lombarda» sugli «spiccati […] tratti realistici del volto, i piccoli occhi scrutatori sotto l’arco teso delle sopracciglia, la bocca sottile, […] i fiocchi delle stole, […] gli ornamenti della tiara, […] l’epidermide delle mani» (Venturi, 1937).
All’attività per la cappella Liberiana vanno riferiti anche il famoso riquadro a rilievo marmoreo delle Opere di fede e carità di Sisto V, già assegnatogli da Baglione (1639, 1990, p. 175), e la statua eretta a tutto tondo entro una nicchia del S. Pietro Martire (1587-88), riconosciuta dalla critica antica e moderna come capolavoro del sacello e massimo raggiungimento nel percorso artistico dello scultore, tanto da suscitare in Adolfo Venturi il malizioso sospetto di un’esecuzione ispirata «sotto l’impressione di qualche opera del Mariani» (Venturi, 1937).
Va invece espunto dal catalogo del Paracca il rilievo con l’Incoronazione di Sisto V, sovrapposto alla tomba pontificia (ibid.; Riccoboni, 1942, p. 118), da riferirsi più verosimilmente al fiammingo Egidio della Riviera (Baglione, 1639, 1990, p. 175 n. 68).
Nel maggio del 1591 Paracca promise a monsignor Angelo Cesi, vescovo di Todi, «di fare due statue di marmo, una di San Paolo, e l’altra di San Pietro, alte palmi 10 l’una, per la cappella di detto monsignore nella chiesa di Santa Maria e San Gregorio alla Vallicella, al prezzo di scudi 300» (Bertolotti, 1881, p. 223). Le due statue (1591-92 circa), già menzionate da Baglione, sono ancora conservate nella cappella della Presentazione di Maria al Tempio, attigua alla sagrestia. È probabile che allo scultore fossero affidati anche gli stucchi della volta (Baglione, III, 1642, 1995, p. 595). Non permane traccia, invece, dell’altrimenti sconosciuta «sepultura et ritratto che fu preso a fare in Santa Susanna per il nepote de monsignor Moretto», per la quale Paracca ricevette più pagamenti alla fine del 1591 (Bertolotti, 1881, p. 223; Di Giammaria, 2012, pp. 240 s. docc. 5-8).
Tra il 1591 e il 1597 Paracca attese all’esecuzione del sepolcro del cardinale Giovan Gerolamo Albani (morto nel 1591) in S. Maria del Popolo.
In parte legato ai modi distintivi della tomba sistina, il monumento rivela una sintomatica apertura alle novità della nuova generazione di scultori clementini, e segnatamente del francese Nicolas Cordier, al quale la tomba è stata pure riferita in passato (Riccoboni, 1942, p. 123).
Deve forse identificarsi ancora con Paracca quel «Giovan Antonio scultore» che tra il 1595 e il 1597 ricevette pagamenti, insieme a Gabriele Buzio, per l’esecuzione di una Venere e di una Minerva per due fontane in palazzo Colonna presso i Ss. Apostoli (Di Giammaria, 2013, p. 294).
Alcuni documenti del fondo Cistercensi di S. Susanna (Di Giammaria, 2012, p. 228 n. 25) hanno recentemente precisato un’antica attribuzione (Titi, 1674-1763, 1987; Riccoboni, 1942, pp. 120 s.) di alcune statue in stucco in S. Susanna, raffiguranti i profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, eretti su pilastri lungo le pareti della navata, i Ss. Pietro e Paolo ai lati dell’altare maggiore, le figure della Fede e della Religione sugli spioventi del timpano del medesimo altare. Il Valsoldo ricevette la commissione verso la metà del 1596 dal cardinale Girolamo Rusticucci, vicario apostolico generale di Sisto V, grazie alla più che probabile intermediazione di Domenico Fontana, che aveva sovrinteso ai lavori del palazzo del porporato in Borgo Nuovo (Hibbard, 2001).
Non sembrano attendibili le indicazioni dell’erudito Giuseppe Merzario (1893), secondo il quale, poco prima di giungere a Roma, Paracca «calò dalla alpestre patria a Milano, e da qui a Genova» – o Ferrara, secondo un’altra versione (Mambretti, 1953) – «ove ei si die’ a vedere [vivere] verso il 1558. Era a Carrara dieci anni dopo, intento con parecchi de’ suoi a scavare e preparar marmi specialmente per la Spagna» (Merzario, 1893). È assai probabile che Merzario confonda Giovanni Antonio Paracca con il quasi omonimo Giovan Giacomo Paracca da Valsoldo, scultore e marmoraro attivo principalmente a Genova nella seconda metà del Cinquecento, e attestato proprio a Carrara negli anni 1558, 1562 e 1587 (Campori, 1873). Allo stesso modo non v’è possibilità di identificare nel Valsoldo quel «Jo.ga. Antonio Peracaso scultore» che nel 1594 ricevette «quatordici scudi di moneta» per una «Madona […] di marmo» (Faraglia, 1885, p. 435), ancora sulla balaustra del chiostro principale della Certosa di S. Martino in Napoli. L’opera, di evidente fattura toscana, sembra riconducibile piuttosto ai modi di Giovanni Caccini o di Pietro Bernini (H.-U. Kessler, 2005).
Morì a Roma nell’ospedale di S. Maria della Consolazione, il 29 ottobre 1599 (Di Giammaria, 2012, p. 239 doc. 1), «nel più bel fiore del suo operare, […] pieno di mal francese e privo di monete, giunto ad estrema miseria» (Baglione, I, 1642, 1995, p. 80).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le nove chiese di Roma (1639), a cura di L. Barroero, Roma 1990, pp. 133, 175 s., 178; Id., Le vite de’ pittori, scultori et architetti... (1642), a cura di J. Hess - H. Röttgen, I, Città del Vaticano 1995, pp. 79 s., III, 1995, pp. 579, 595; F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma (1674-1763), a cura di B. Contardi - S. Romano, I, Firenze 1987, p. 157 n. F1695; C. Barrera, Storia della Valsolda con documenti e statuti, Pinerolo 1864, pp. 19, 23; G. Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ec. nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa..., Modena 1873, p. 353; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI e XVII: studi e ricerche negli archivi romani, I, Milano 1881, pp. 222 s.; N.F. Faraglia, Notizie di alcuni artisti che lavorarono nella chiesa di San Martino e nel Tesoro di San Gennaro, in Archivio storico per le province napoletane, X (1885), pp. 435-461; G. Merzario, I maestri comacini. Storia artistica di mille duecento anni (600-1800), II, Milano 1893, p. 485 n. 15; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, X, La scultura del Cinquecento. Parte III, Milano 1937, p. 593; O. Morisani, Saggi sulla scultura napoletana del Cinquecento, Napoli 1941, pp. 74 s.; A. Riccoboni, Roma nell’arte: la scultura nell’evo moderno, dal Quattrocento ad oggi, Roma 1942, pp. 117-124; P. Pecchiai, Il Campidoglio nel Cinquecento. Sulla scorta dei documenti, Roma 1950, pp. 61 s.; D. Severin, Artisti comaschi a Roma nel Cinque e Seicento, Como 1951, pp. 44 s.; C. Pietrangeli, I dioscuri capitolini, in Capitolium, XXVII (1952), pp. 41-45; H. Mambretti, Rassegna delle opere d’arte degli artisti comaschi e ticinesi in Roma nei secoli XVI e XVII, Como 1953, p. 193; S. Pressouyre, Nicolas Cordier. Recherches sur la sculpture à Rome autour de 1600, Roma 1984, pp. 441-443; G. Curcio, L. Spezzaferro, Fabbriche e architetti ticinesi nella Roma barocca..., Milano 1989, pp. 442 s., 450-452; C. Strinati, La scultura a Roma nel Cinquecento, in D. Gallavotti Cavallero et al., L’Arte in Roma nel secolo XVI, II, La pittura e la scultura, Bologna 1992, p. 416; S. Lombadi, G.A. P. (Peracca), detto il Valsoldo, in Roma di Sisto V. Le arti e la cultura, a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, p. 562; H. Hibbard, Carlo Maderno, a cura di A. Scotti Tosini, Milano 2001, p. 121; H.-U. Kessler, Pietro Bernini (1562-1629), Münich 2005, pp. 57-59; G. Ciardi, La scultura del Cinquecento nelle chiese di Roma, in Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Storia dell’Arte, Scultura del Cinquecento, collana di studi diretta da M. Calvesi - S. Valeri, I, Napoli 2007, p. 52; G. Mollisi, Di alcuni artisti sistini del lago di Lugano:precisazionie scoperte, in Arte & storia…, XXXV (2007), pp. 66-73; P. Di Giammaria, G.A. P. il Valsoldo e Giovanni Antonio Paracca il giovane detto il Valsoldino: due scultori omonimi nella Roma di fine Cinquecento, tesi di dottorato, Università degli studi La Sapienza, Roma 2010; A. Donati, Tre ritratti del Valsoldo: riflessi dal Sisto V, in Quaderni della biblioteca del convento francescano di Dongo, LIX (2010), pp. 59-81; P. Di Giammaria, L’attività di G.A. P., detto il Valsoldo, nella chiesa di Santa Susanna alle Terme, ed alcuni documenti inediti sul Valsoldo e sul Valsoldino, in Scultura a Roma nella seconda metà del Cinquecento: protagonisti e problemi, a cura di W. Cupperi - G. Extermann - G. Ioele, San Casciano Val di Pesa 2012, pp. 225, 227 s., 239-241; Ead., G.A. P. il Valsoldo: nuove notizie sulla biografia e una proposta attributiva, in APPACuVI (Associazione Protezione Patrimonio Artistico e Culturale Valle Intelvi), Artisti dei laghi (www.appacuvi.org/joomla/it/artisti-dei-laghi), II (2013), pp. 292-317.