DELLA ROVERE (Rouere, Pellizzonus), Papiniano
Appartenente ad una nobile famiglia, nacque a Torino verso la metà del sec. XIII. In un documento del 1271 è indicato con il cognome Pellizzoni; e con il medesimo cognome risultano lo zio paterno, Tommaso, in un atto del 1296, e il fratello, Tolomeo, in un documento del 1311. L'uso di tale cognome può derivare dai legami di parentela tra il ramo della famiglia Della Rovere cui il D. apparteneva e la nobile famiglia torinese dei Pellizzoni (Briacca, 1968, p.64); non si può comunque escludere che i fratelli del D. siano stati adottati dall'altra famiglia.
Presi gli ordini sacri in data a noi ignota, il D. venne investito del beneficio prepositurale di S. Donato in Pinerolo, della chiesa rurale de Guncenio e del canonicato della chiesa cattedrale. Nell'atto del 1271, sopra ricordato, risulta canonico del duomo di Torino. Il 4 febbr. 1296 venne eletto vescovo di Novara: il 26 febbraio Bonifacio VIII lo consacrò dopo che Enrico Maggi, arciprete della Chiesa novarese e Matteo Visconti, nipote dell'arcivescovo di Milano, Ottone, avevano rinunciato alla loro elezione e avevano rimesso al papa la soluzione della vertenza.
Il D. avviò subito un programma di riforma ecclesiastica e civile. Le prime cure furono dedicate al monastero benedettino di S. Lorenzo, la cui disciplina ed amministrazione patrimoniale erano deplorevolmente decadute; provvide con speciale autorizzazione papale al conferimento di benefici canonicali e di prebende sia del capitolo della chiesa cattedrale, sia delle collegiate della città e della diocesi. Il 27 giugno promulgò per i canonici di S. Maria la costituzione Ad augmentum cultus,documento di rilevante interesse per la conoscenza della peculiarità liturgica e giuridica del riformatore, e nel settembre promulgò norme analoghe per i canonici del capitolo di S. Gaudenzio di Novara. Poco dopo, nell'ottobre, si recò nell'Ossola superiore, su cui il vescovo novarese esercitava anche la giurisdizione comitale fin dal 1014. In questa occasione il D. a Domodossola, nella chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio, promulgò alcune norme per le Comunità della valle, ordinò la compilazione di elenchi dei beni mobili e immobili di ciascun abitante della valle medesima, ottenne la prestazione dell'omaggio feudale da parte dei rappresentanti delle Comunità.
Nel novembre 1297 nel borgo di Omegna sul lago d'Orta, anch'esso soggetto alla giurisdizione comitale del vescovo novarese, il D. intimò a tutti, sotto pena di scomunica, di rispettare il divieto di pesca nel lago; proibì l'uso di imbarcazioni e ne ordinò la rimozione entro il termine di sette giorni; vietò l'uso dei corsi d'acqua della zona; chiese, infine, spiegazioni sul perché i consoli avessero trattenuto le decime e continuassero a raccoglierle.
Successivi atti di governo ed incontri con la popolazione del territorio novarese consentirono al vescovo conte l'acquisizione diretta degli elementi essenziali per una valutazione adeguata dello stato religioso e civile della diocesi. Il 26 apr. 1298 accolse nel duomo i secolari ed i regolari del clero novarese ed in loro presenza promulgò gli statuti sinodali, distribuiti in due parti: Instructiones et monitiones, sintesi di dottrina teologica e liturgica, corredata del testo dell'ordinario proprio della cappella papale; Constitutiones, una silloge di norme canoniche sulla vita degli ecclesiastici, sul loro ministero parrocchiale, sui molteplici rapporti con la società civile, secondo lo spirito bonifaciano della bolla Clericis laicos. Un mese dopo aggiunse d'autorità altre due costituzioni, la prima intesa a distogliere con maggiore rigore il clero da ogni compromesso sui benefici, la seconda diretta a ribadire il divieto assoluto per gli ecclesiastici di partecipare alle lotte di parte nelle due fazioni cittadine dei sanguigni e dei rotondi.
La sollecitudine pastorale del D. si estese anche al di là dei confini diocesani: per incarico del papa promosse la riforma nel monastero di S. Genuario di Lucedio nella limitrofa diocesi di Vercelli; attese all'ufficio di collettore pontificio delle decime nelle province ecclesiastiche di Milano e di Genova fino a quando Bonifacio VIII lo chiamò a reggere la Chiesa di Parma il 3 giugno 1300, vacante dal marzo per la morte di Giffredo da Vezzano. Il D. differì l'entrata solenne in città fino ad agosto, sia per compiere il pellegrinaggio giubilare a Roma, sia per evitare d'incontrarsi con i Visconti: Galeazzo, infatti, stava per sposarsi con Beatrice d'Este, sorella del marchese Azzo VIII, e lungo il viaggio di andata e di ritorno sarebbe stato ospitato nel palazzo vescovile di Parma. Come già a Novara, anche nella Chiesa parmense il D. convocò un sinodo ed indisse la visita pastorale. L'assise sinodale si tenne nel tardo autunno dello stesso anno 1300: le costituzioni, sperimentate con efficacia nel Novarese, furono estese al clero ed ai fedeli parmensi con gli opportuni adattamenti e l'inserimento di nuove norme. La visita, invece, fu espletata dai prevosti del battistero di S. Giovanni Battista e di Borgo San Donnino, espressamente incaricati dal vescovo, il quale dovette assentarsi da Parma e ritornare a Roma per assumere un altro incarico: Bonifacio VIII lo aveva invitato a dirigere la Cancelleria apostolica.
Il D. è ricordato come vicecancelliere di S. Romana Chiesa a partire dal maggio 1301. Le frequenti assenze, tuttavia, non gli impedirono di seguire la situazione della diocesi ove erano insorti contrasti tra i canonici del duomo e religiosi titolari di antichi privilegi da un canto e i visitatori episcopali dall'altro, mentre andava prendendo corpo l'opposizione del governo cittadino contro le immunità ecclesiastiche. Nel 1302 il Comune deliberò l'estimo dei beni immobili della Comunità cittadina. La commissione incaricata di fissare la stima dei beni e l'ammontare dell'imposta, riunitasi nel palazzo vescovile, cercò di estendere il tributo alle terre ecclesiastiche. L'opposizione del clero portò ad un aperto conflitto con l'autorità cittadina, conflitto in cui intervenne lo stesso Bonifacio VIII per imporre al governo comunale il rispetto delle libertà ecclesiastiche. Il contrasto si sanò solo nel 1303 grazie alla mediazione di Giberto da Correggio.
Il D. venne confermato nella carica di vicecancelliere apostolico dal successore di Bonifacio VIII, Benedetto XI: egli continuò, comunque, ad occuparsi ancora della sua diocesi, dove in questo periodo favorì in modo particolare i domenicani, i cisterciensi e i benedettini. Tenne la carica curiale anche nel lungo periodo di sede vacante successivo alla morte di Benedetto XI (7 luglio 1304). Il nuovo pontefice Clemente V (eletto il 5 giugno 1305) lo invitò, con lettera del 26 agosto, a recarsi in Francia presso la Curia. Il D. fu presente all'incoronazone pontificia avvenuta a Lione nel novembre, ma non venne confermato nella carica di vicecancelliere, nella quale fu sostituito dal cardinale Pierre Arnaud, parente del nuovo papa.
Fece allora ritorno a Parma e trovò la città turbata da accese lotte di fazione. Poco dopo il suo arrivo in città, una rivolta popolare espulse dal Comune, Giberto da Correggio e i suoi sostenitori, ma non mise fine.ai contrasti poiché gli esuli cercarono ripetutamente di rientrare. Solo nel giugno 1308 fu possibile giungere ad una pace stabile: l'anno successivo, poi, grazie all'intervento del D., fu risolta anche la sanguinosa discordia tra i Parmensi e gli abitanti di Borgo San Donnino.
Nel 1310 il metropolita di Ravenna convocò i vescovi suffraganei, tra cui il D., al concilio provinciale in preparazione all'assise ecumenica di Vienne, al fine di redigere rapporti sulla riforma e sui bisogni della Chiesa. Il D. non intervenne di persona: si fece rappresentare da due procuratori perché era impegnato in incontri con gli ambasciatori di Enrico VII, i quali il 4 agosto erano già sulla via del ritorno.
Ai legati imperiali il D. dichiarò la propria disponibilità a collaborare fattivamente per l'attuazione del programma di pace di Enrico VII. In seguito mantenne la promessa fatta, adoperandosi largamente a favore di Enrico VII, come risulta da numerosi atti concernenti il giuramento di fedeltà, ratificato a Casale Monferrato, ad Asti, a Vercelli, a Novara, a Palestro. Fu presente all'opera di rappacificazione dei cittadini di Milano ed alle dichiarazioni di fedeltà all'imperatore; assistette agli incontri con i procuratori dei Comuni di Pavia, di Cremona, di Reggio, di Piacenza, di Lodi, che resero omaggio a Enrico VII. Nella nomina dei suoi vicari l'imperatore accolse la presentazione del fratello del D., Tolomeo Pellizzoni, che fu insediato in Borgo San Donnino. Mentre il D. si conservò leale verso l'imperatore, Giberto da Coreggio curò il consolidamento del proprio potere a Parma, intavolò trattative segrete con Firenze e Bologna, proclamò apertamente l'adesione allo schieramento antimperiale ed attaccò di sorpresa Borgo San Donnino, da cui espulse il vicario imperiale.
Il D. intanto si accingeva a partire per Roma al seguito di Enrico VII: dovette, invece, dirigersi a Vienne. Il 3 genn. 1312 Clemente V aveva infatti pregato l'imperatore di revocare l'invito ad alcuni vescovi ad assistere alla cerimonia dell'incoronazione: era desiderio del papa che i prelati intervenissero alle sessioni conciliari. In Francia il D. partecipò anche alla vita della Curia pontificia: prestò servizio presso la Sede apostolica, assistette alla morte di Clemente V ed all'elezione di Giovanni XXII il 7 ag. 1316.
Finalmente si apprestò a partire per l'Italia, ma la morte lo colse il 14 ag. 1316: fu sepolto in Avignone. L'ultimo ricordo di lui si conserva nel testamento del cardinale Guglielmo Longhi, redatto in Lione il 18 sett. 1316. Possedendo una biblioteca rispettabile, il porporato aveva spartito minutamente i suoi libri ai molti eredi: tra i volumi erano elencati un S. Gregorio ed un S. Agostino, acquistati dagli esecutori testamentari del defunto vescovo di Parma.
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