Pape Satàn, pape Satàn aleppe
Satàn, pape Satàn aleppe. Il verso presenta una delle più discusse cruces dantesche: sono le parole di Pluto (If VII 1), nel quarto cerchio, al giungere di D. e Virgilio. L'esplorazione dei codici non può offrire alcun aiuto alla soluzione, non presentando essi varietà interessanti (Petrocchi). Per dare un quadro complessivo e chiaro delle proposte e delle soluzioni sarà utile vedere anzitutto l'intenzione con cui queste parole possono essere state pronunciate; vedere a quale persona siano rivolte; vedere infine la possibile interpretazione linguistico-letterale.
Quanto allo spirito con cui le parole vengono pronunciate, le proposte fondamentali sono cinque: si tratta di un grido di meraviglia; di dolore; d'invocazione a Satana; d'ira; di minaccia. Molti tra gli antichi commentatori e non pochi tra i moderni vedono in pape (papae) un termine latino, noto ai lessici medievali, già proprio del linguaggio comico classico, e analogo a forma greca: una interiectio admirantis, un'interiezione di meraviglia equivalente a un " oh ! ". Così, tra gli altri, Graziolo, le Chiose Selmi, Lana, Pietro, il Campi, oggi il Sapegno. Come osserva il Petrocchi, anche se non si possa avere la certezza dell'interpretazione, non esistono interpretazioni " altrettanto soddisfacenti ".
Per altri interpreti, prevale nelle parole il senso del dolore, e il centro di esse sarebbe aleppe, giudicato una interiectio dolentis; derivato dall'ebraico aleph (volgarizzato in aleppe, come Ioseph in Giuseppe): grido con cui iniziano le lamentazioni di Geremia, ben noto ai tempi di D. e ricordato anche da Arrigo da Settimello (I 1). Anche questa interpretazione ebbe molti sostenitori: Guido da Pisa, Boccaccio, Benvenuto, Buti, Serravalle, Landino, Daniello, Vellutello, Gelli, Volpi.
Altri ancora vede piuttosto predominante nel verso il senso dell'invocazione a Satana: confortati nella tesi dalla facile e in certo senso indiscutibile identificazione tra Satàn e il re dell'Inferno, al quale ben si rivolgerebbe il degradato re dell'Inferno pagano (Chimenz); e confortati anche dalla possibile identificazione di aleppe con aleph, prima lettera dell'alfabeto ebraico e simboleggiante, secondo l'uso medievale, il primo, il principe, il dio: il principe dunque dei demoni, una forte e significativa ripetizione. Tali le interpretazioni di Iacopo, Pietro, Chiose Cassinesi, Chiose Vernon, G. Barzizza, Lombardi; e ancora: Andreoli, Tommaseo, Guerri, Biagioli, Pietrobono. Il Pagliaro dà un'interpretazione analoga di aleph, ma la documenta con il Lessico di Papia: " aleph, apud nos a deo interpretatur ": significherebbe " ah, Dio ", da una pseudo-etimologia in cui a iniziale equivale all'esclamazione ah!, e leph equivale a deus. Una più intensa variante all'interpretazione è data da coloro che vedono nell'invocazione Satàn una richiesta di aiuto (ad esempio, tra i recenti, il Fallani) o persino una dichiarazione di fede in Satana stesso (Vallone).
Altri infine vede nell'esclamazione un grido d'ira e di minaccia: ira (Castelveltro, Guerri, Sapegno), rabbia intimidatrice (Chimenz), ordine di allontanarsi (Monti), grido d'intimidazione (Scartazzini), invocazione e minaccia (Montanari).
Anche più suggestive le interpretazioni miste, che vedono nell'esclamazione sentimenti diversi, di meraviglia, di dolore, una richiesta di aiuto (Ottimo, Guido da Pisa, Buti, Boccaccio, Anonimo, Benvenuto), o di ammirazione e di dolore soltanto (Gelli, Daniello, Volpi, Venturi, Lombardi), di meraviglia e di furore (Torraca).
Come conseguenza diretta dell'interpretazione, le parole di Pluto potranno essere rivolte a Satana, a D. (Porena), a D. e a Virgilio, o non essere rivolte ad alcuno, se si tratta di una semplice esclamazione di meraviglia e d'ira.
Il testo adunque e la situazione narrativa offrono come possibili tali interpretazioni. L'interpretazione linguistico-letterale non serve a favorire più l'una che l'altra, perché l'acume dei commentatori ha reso giustificabili non poche interpretazioni, e proprio facendo forza sul dato linguistico.
Molti commentatori sono favorevoli a vedere nell'espressione l'uso della lingua ebraica: " Splendi, aspetto di Satana, splendi, aspetto di Satana primaio " (Lanci); " Qui qui, Satana è imperatore " (Venturi, Cesari); " Vomita:, bocca di Satana, fiamme di fuoco " (Schier).
Per altri si tratta di lingua greca, sin da Benvenuto (aleph è greco, per vide): " Ah, ah, Satan, ah, ah, Satan invitto " (Olivieri); " Poffardio, Satana, dei vagabondi s'inoltrano a questa volta " (Fraticelli, Walter); " Oh, ribelle, oh, ribelle, ah ! vattene via " (Monti); " Come, o Satanasso, come, o Satanasso, principe dell'Inferno, un audace mortale osa penetrare qua entro? " (Puccianti).
Altri dicono si tratti di espressione in lingua araba, o in ogni caso di lingua semitica: " La porta dell'Inferno ha vinto " (Scarafoni); " È la porta di Satana, è la porta di Satana, fermati " (Troni); " Sì, la porta di Satana, sì, la porta di Satana ha vinto " (Barbera): similmente il Tini, l'abate Marta e parecchi altri.
Per un ristretto gruppo di studiosi, si tratterebbe di un'espressione dialettale (si è visto in essa anche il dialetto modenese): " Oh ribelle, oh ribelle, oh leppa " (Monti); " Sorgi, Satana, aiutami, affrettami alleppare " (Torquati; ‛ alleppare ' significherebbe " fuggire ", da radice di origine greca λείπω); " Satanasso, alleppate, alleppate, andatevene al diavolo " (Amari, citato dal Vaccalluzzo).
Per altri si tratta invece di lingua inglese (help, " aiuto ": Valgimigli) o persino di dialetto maltese (Giglio, Manara). Numerosi i sostenitori di un'espressione in lingua francese, che avrebbe significato una battuta polemica contro l'ingordigia della casa di Francia (e per il Dionisi Pluto sarebbe allora Filippo il Bello): così sin dalla nota interpretazione del Cellini (" Paix, paix, Satan, paix, paix, Satan, allez! paix ", Vita Il 27), seguito poi dal Perazzini e dal Dionisi; il Vigliecca: " Pas paix, allez, pas paix "; lo Scolari e il Ventura: " Paix Satan, paix Satan, à l'épée "; il Fantoni: " Paix Satan, paix Satan, à l'épais " (al sodo); il Coltelli: " Paye ça tant, allez, paye ".
La scelta di un'interpretazione puntualmente linguistica non offre, come si vedrebbe ancor meglio se si riferissero tutte le sottili osservazioni degl'interpreti, una possibilità d'interpretazione esclusiva, aumenta anzi l'area delle incertezze. Non più convincenti in questo caso neppure le tesi che propongono un eventuale linguaggio misto, bilingue, greco-ebraico, francese-arabo (Mignon), latino-ebraico (Rossetti, Pietrobono), o trilingue (Sarolli).
A rendere ancor più complesso il quadro ermeneutico, si aggiungono poi le interpretazioni più originali e personali, che in questo come in casi consimili non sono certo meno numerose delle più documentate: " Al papa Satanno, al papa Satanno, aiuto " (Rossetti); " Oh, un nemico, un grande nemico ! " (Di Cesare: ma non si può precisare se il nemico sia Virgilio o D.); " Padre Satana, ali ai piedi " (Ravazzini); " Pesa, pesa tante pene al papa " (Picci); " Olà nemico, olà nemico, oh! " (Scherillo); " Al Papa nemico, al Papa nemico primo " (Porena: D. sarebbe nemico di Bonifacio, che è carissimo invece a Pluto, dio della ricchezza: tesi ripresa da Bertha Marti); " Oh capo Satana assente ", " O Padre, tu sei Dio " (Perrone-Capano). Per altri infine si tratta di una congerie di nomi di demoni, che Pluto chiama a raccolta (Cardona).
È inutile dire che ogni saggio è ricco di osservazioni parziali intelligenti e a volte anche stringenti, in alcuni casi (si pensi al Perrone-Capano) con precisi riferimenti anche di carattere paleografico oltre che linguistico. L'inquietante ricchezza di proposte ha dunque fatto sì che tra alcuni moderni prevalesse una tesi scettica: si tratta di parole senza un preciso comprensibile significato, o perché appartenenti a un linguaggio demonico, o perché dovute allo sconvolgimento dell'ira: così sostengono ad esempio il Grabher, il Momigliano, il Montanari, il Malagoli.
L'aiuto per cercar di dare una risposta al problema si può dunque ricevere ritornando ancora una volta al contesto. Dal contesto ad esempio appare chiaro che quelle parole qualcosa dovevano significare, e che Virgilio le comprese. Se si dovesse proporre una prima indicazione, si potrebbe osservare anzitutto che le parole sono rivolte quasi sicuramente a Satana, come si ricava dal contesto in via diretta (Satàn) e in via indiretta (Virgilio oppone a Satana Michele: e Satana è per Pluto quello che l'albero per la vela). Data poi la costante coerenza psicologica del personaggio dantesco con sé stesso e con le condizioni della propria vita, è inutile pensare che una divinità della mitologia greca (la questione se si tratti di Pluto o di Plutone in questo caso non ha rilievo) parli altra lingua che non la propria, il greco: pape latino in realtà può derivare benissimo dal greco παπαί, come si è detto, e aleppe può ricollegarsi, anche paleograficamente, al greco, poiché può derivare da aleph, metatesi per alpha, " il primo " (Perrone-Capano). La proposta d'interpretare letteralmente il verso: " Oh Satana, oh Satana Dio ", come voleva il Guerri, e secondo l'interpretazione di gran numero di commentatori, sembra convincente. Che Pluto usi invece un linguaggio misto, greco, latino, ebraico, meno convince, perché la mistione di ebraico e latino di Pd VII 1-3 citata dal Pietrobono si giustifica come formula del linguaggio liturgico nel Paradiso, non nell'Inferno. Nell'Inferno il linguaggio è ancora quello dell'uomo antico, non dell'uomo nuovo, e tanto più tra custodi infernali.
Quanto al significato dell'intera esclamazione, non sembra assurdo pensare siano espressi qui due movimenti diversi dell'animo, dapprima la meraviglia (non diremmo l'amirazione: né la derivazione da noi accolta di pape dal linguaggio comico la giustificherebbe), quindi l'invocazione a Satana; ma Satana è invocato per rabbia, per richiesta d'aiuto, per minaccia quindi indirettamente: l'ira, il bisogno di aiuto, la minaccia sono tutte realtà in nuce nelle parole di Pluto. Soprattutto, per analogia con altri incontri infernali, l'ira.
L'analisi più estesa della situazione narrativa confermata dall'analisi linguistica del testo sembra dunque confluire a sostegno della proposta già avanzata dal Guerri e oggi, con nuove attestazioni, dal Pagliaro. È evidente che il verso rimane aperto a ogni interpretazione, e pure tra i problemi della crittografia dantesca non solo questo non sembra il più grave ma neppure quello la cui soluzione risulti, in base a precisi elementi di razionalità, particolarmente ardua. Si accetti l'interpretazione dei familiari D., quella del Guerri o quella del Pagliaro, ognuna di esse induce a ogni modo a dare al verso una sola possibilità di trascrizione ermeneutica, che sembra poi più criticamente giustificata.
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