PAPARESCHI
– In passato alcuni storici hanno sostenuto che il casato romano dei Papareschi, o de Papa, costituì un lignaggio di rilievo già nei secoli X e XI (Marchetti Longhi, 1947, pp. 5 s.), tuttavia ricerche più recenti e accurate hanno dimostrato che le origini della fortuna della famiglia, e forse il suo stesso enuclearsi come casato ben distinto, vadano attribuite all’azione del suo esponente di maggior spicco, ovvero a Gregorio, cardinale diacono del titolo di S. Angelo in Pescheria (almeno dal 1116) e papa con il nome di Innocenzo II dal 1130 al 1143 (Carocci, 1999, pp. 26 s.; di Carpegna Falconieri, 2004, p. 410).
La biografia di Innocenzo II contenuta nel Liber pontificalis indica solamente che egli era figlio di un non meglio specificato Giovanni residente nel rione romano di Trastevere («Innocentius II, natione romanus, de regione Trans Tyberim, ex patre Iohanne»; Le Liber Pontificalis, II, p. 379). Sembra chiaro, dunque, che il casato di Giovanni non fosse ancora contraddistinto dal nome di famiglia de Papa o Papareschi, che porterà in seguito, e che questo derivi proprio dalla persona e dalla funzione del suo più illustre esponente. D’altra parte i membri del lignaggio nel corso del Medioevo non smisero mai di rivendicare con orgoglio la loro origine pontificia; come fece ad esempio il chierico Cinzio di Pietro Papareschi (morto nel 1305) il quale fece apporre un’epigrafe (ora perduta) sul leggio della chiesa trasteverina di S. Giacomo in Settimiano dove egli veniva celebrato non solo come «moribus et vita, nobili de sanguine natus», ma pure in quanto: «originem sumpsit de stirpe pontificatus, en fuit nepos Innocentii papae secundi» (Forcella, Iscrizioni, p. 323) – dove ovviamente il termine nepos è da intendere nell’accezione più ampia di discendente. Il radicamento del lignaggio, anche nelle sue molteplici successive ramificazioni, nel rione di Trastevere si mantenne inalterato nel tempo. D’altra parte Innocenzo II fu particolarmente legato alla chiesa di S. Maria in Trastevere, che fece ricostruire dalle fondamenta e decorare con splendidi mosaici.
Tralasciando la storia del cardinalato e del pontificato di Innocenzo II, già ampiamente trattata (di Carpegna Falconieri, 2004), va notato che il pontefice contribuì ampiamente al primo sviluppo delle fortune dei suoi congiunti e che dopo la sua scomparsa il casato appare ormai connotato da un deciso rilievo sociale, che si rileva anche da alcune alleanze matrimoniali di grande prestigio come quella con il potente lignaggio dei Prefetti, raggiunta con il matrimonio di Purpura, nipote di Innocenzo II, con Pietro prefetto di Roma. Tra gli altri nipoti del pontefice si devono ricordare almeno Guido e Romano, non a caso entrambi denominati de Papa, e Giovanni Saraceno, sostenuti fortemente dallo zio che ne determinò una potente ascesa sociale ed economica. L’elevato profilo assunto dal lignaggio nell’ambito della società romana nel corso della seconda metà del secolo XII è messo certamente in grande rilievo dalla carica di senatore di Roma ricoperta nel 1188 da Giovanni di Guido de Papa. È molto probabile che fratello di quest’ultimo fosse Cencio de Papa, padre del chierico Guido, nominato cardinale prete del titolo di S. Maria in Trastevere nel 1190 (scelta per nulla casuale) e promosso a cardinale vescovo di Palestrina nel 1221.
Con i discendenti di Giovanni e di Cencio, all’inizio del Duecento, il casato si scisse in due rami nettamente separati e destinati a un differente successo nel corso del Duecento. Il primo mantenne l’ormai consolidato nome familiare di de Papa o Papareschi, il secondo, fu denominato de Cardinale (o anche in seguito Romani, Bonaventura e Venturini).
Mentre il primo dei due rami, pur mantenendo una elevata dignità sociale, non riuscì a porsi sullo stesso piano degli emergenti casati baronali romani, il secondo entrò a pieno titolo in quel ristretto manipolo di potentissimi casati.
Il soprannome de Cardinale evocava certamente la figura di uno dei due cardinali membri di quel ramo familiare, Guido di Cencio, del quale si è detto poco sopra, e suo nipote Romano di Bonaventura, creato cardinale diacono del titolo di S. Angelo in Pescheria nel 1216 e morto nel 1243. È probabile in ogni caso che il riferimento sia proprio al secondo, poiché il nome de Cardinale appare utilizzato soltanto dai suoi fratelli e dai suoi nipoti a partire dal 1234.
Le fonti documentarie sul casato non sono abbondanti, soprattutto in relazione al ramo che mantenne il nome di Papareschi. Il radicamento fondiario di quest’ultimo ramo nel territorio romano appare complessivamente importante, ma piuttosto modesto. Poco fuori Porta Portese i Papareschi, grazie a un primo determinante intervento di Innocenzo II, acquisirono progressivamente il possesso di un’ampia tenuta fondiaria situata nella località denominata Campo Merlo, dove in seguito verrà fondata un’azienda agricola. Vari esponenti del casato nell’ultimo decennio del XII secolo figurano tra i copossessori di Civita Castellana, avuta in pegno dalla Chiesa.
Almeno nei primi decenni del Duecento i Papareschi vantarono diritti signorili sul castrum di Torricella (Torricella di Gallese), situato a una ventina di chilometri da Civita Castellana, e nella medesima area possedettero anche il castrum di Torrasa. Nel 1257 i de Papa risultano possessori del castrum di S. Onesto, nel territorio a est di Roma.
Quanto meno ancora a fine Duecento la famiglia – o più precisamente dieci esponenti del ramo definito «genealogia quondam Petri Cinthii Guidonis» e ventuno «de genealogia quondam domini Iohannis Guidonis de Papa» – risultavano ancora titolari della concessione degli importanti diritti di pesca nel vastissimo stagno costiero di Maccarese, allora denominato stagnum Maius, insieme a vari altri esponenti di una organizzazione appositamente costituita per lo sfruttamento della risorse ittiche di quell’importante bacino, la Schola piscatorum Stagni.
Taluni esponenti del casato si distinsero per gli incarichi pubblici di grande rilievo ricoperti in alcune città comunali italiane. Giovanni di Guido de Papa, il quale, tra l’altro, si fregiava del titolo di Romanorum consul e poteva esser definito «vir sapiens, providus, egregius contionator et in omnibus negotiis mundanis astutus» (Boncompagno da Signa, Boncompagnus, libro VI, cap. 10, par. 3), fu podestà di Perugia nel 1205, di Viterbo nel 1207 e nel 1212, di Todi nel 1208 e nel 1213-14, di Firenze nel 1209 e nel 1226, di Grosseto nel 1216, di Faenza nel 1221, di Orte nel 1233. Suo figlio Guido ricoprì il medesimo ufficio ad Assisi nel 1228. Bonaventura de Papareschis, Romanorum proconsul, fu podestà di Viterbo nel 1255.
Da menzionare anche l’incarico di iustitiarius del Comune capitolino ricoperto nel 1235 da Cinzio di Enrico de Papa. Il figlio di quest’ultimo, Giovanni, votato alla carriera ecclesiastica risulta essere stato cappellano papale nella seconda metà del Duecento.
Per quanto riguarda il ramo dei de Cardinale, secondo quelle che erano allora le normali strategie di rafforzamento dei casati baronali romani, i cardinali Guido e Romano attuarono con pieno successo una decisa politica di rafforzamento delle ricchezze e del prestigio dei propri più stretti congiunti, a volte anche molto spregiudicata, come nel caso della cessione allo stesso cardinale Romano e ai suoi parenti del castello di Santa Severa da parte dell’abbazia romana di S. Paolo fuori le mura. In breve i de Cardinale acquisirono il pieno controllo della vasta porzione del territorio romano compresa tra la costa tirrenica e il lago di Bracciano, impadronendosi di tutti i castelli della zona, di alcuni dei quali essi stessi dovettero promuoverne la fondazione, tra i quali si possono ricordare Cerveteri, Torricella, Santa Severa, Carcari, Castel Giuliano, Sasso, Rocca di Sasso, Montetosto, Sambuco, Cubita, Rocca di Tingiano. Se dopo la scomparsa del cardinale Romano nel 1243 le dominazioni familiari rimasero per qualche anno indivise, anteriormente al 1254 Bonaventura di Bonaventura e suo nipote Pietro Romani stipularono una convenzione per dividere i castelli che gli appartenevano. Questa divisione era la conseguenza di un contrasto interfamiliare del quale si conoscono ben pochi particolari, ma che divenne ben presto non più ricomponibile e in conseguenza del quale il casato dei de Cardinale si scisse in due rami nettamente distinti destinati a prendere come nome di famiglia rispettivamente quello di Bonaventura (trasformatosi nel pieno Trecento in quello di Venturini) e quello di Romani.
Quest’ultimo ramo sembra essersi estinto assai rapidamente. Pietro Romani, esponente di spicco del ghibellinismo romano, morì a causa delle ferite riportate nel corso della battaglia di Tagliacozzo del 1268, lasciando un unico figlio maschio, nato dal matrimonio con Adelasia figlia del potente Alberto Normanni, Giovanni. Di quest’ultimo si conosce solamente il testamento dettato in punto di morte nel 1285, dal quale egli risulta avere allora soltanto un figlio maschio, Giacomello, mai più citato dalle fonti.
I due principali castelli appartenenti a questo ramo familiare, Cerveteri e Torricella, passarono al ramo dei Bonaventura, che nel frattempo si articolò in due sottorami. Il primo, quello di Giovanni Bonaventura (morto anteriormente al 1293) e dei suoi discendenti, rimase unito fino alla sua estinzione, avvenuta alla metà del secolo XIV. Da ricordare tra i suoi esponenti Francesco Bonaventura, vicario regio in Roma negli anni 1324 e 1326, la cui lunga vita fu caratterizzata da una serie interminabile di atti di violenza (assalti, rapine, furti), che egli ricordò minutamente nel testamento del 1348 e nel codicillo testamentario dell’anno seguente. Più longevo fu invece l’altro sottoramo, costituito dai discendenti di Giacomo Bonaventura (ricordato come ormai defunto nel 1290), anche se la ricchezza e il prestigio dei suoi esponenti andò via via scemando nel corso del Trecento.
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