PAPAFAVA DEI CARRARESI, Novello
– Nacque a Padova il 1° giugno 1899 da Francesco e da Maria Meniconi Bracceschi, secondogenito dopo Margherita.
Conservando la sua famiglia, fin dai tempi di Firenze capitale, l’abitudine ai lunghi soggiorni nel capoluogo toscano, egli frequentò il ginnasio e la prima classe liceale presso il fiorentino liceo Michelangiolo, trasferendo l’iscrizione a Padova nel 1915. Al Michelangiolo divenne amico di Gualtiero Cividalli e Nello Rosselli, del quale frequentò la casa conoscendone la madre Amelia e i fratelli Aldo e Carlo. A Firenze il padre animò un «cenacolo di studiosi», trasformando «la sua villa [...] in una specie di dotta università privata», alcuni frequentatori della quale, Gaetano Salvemini e Giovanni Amendola, parteciparono all’istruzione dei due rampolli Papafava, mentre Eva Kühn dava lezioni di inglese alla contessa Maria e alla figlia Margherita (Benzoni, 1985, pp. 39 s.). Il palazzo padovano, tra «salotto rosso» e «biblioteca verde», non era meno intensamente frequentato da intellettuali, politici, giornalisti e militari (Mogavero, 2010, pp. 59 s.).
Fondamentale fu il rapporto con il pensoso liberalismo e interventismo democratico di Lucangelo Bracci Testasecca, il patrizio toscano che aveva preso a frequentare i Papafava sul finire degli anni Dieci, quando era ufficiale del reggimento Genova Cavalleria allora di stanza a Padova, e che, congedatosi nel 1912, l’anno dopo sposò Margherita Papafava. Il rapporto di grande afflato intellettuale e morale che unì Papafava, Lucangelo e Margherita costituì un asse portante e insostituibile della loro vita affettiva e degli orientamenti politici e culturali che li avrebbero accomunati lungo tutta la loro esistenza.
Nella guerra contro l’Austria il giovanissimo Papafava vide il necessario compimento del processo risorgimentale. Il 20 maggio 1916 si arruolò volontario, ma non fu mobilitato per ragioni di età. Conseguita la licenza liceale (1916), fu avviato al corso per allievi ufficiali a Torino. Cercò gli amici del padre, soprattutto Vilfredo Pareto e Salvemini, ai quali confidò letture e dubbi e pose complessi quesiti su aspetti economico-giuridici della guerra. Arrivato al fronte il 25 ottobre 1917, proprio nei giorni della rotta di Caporetto, momento fondativo dei suoi successivi e duraturi interessi di storico militare, partecipò al ripiegamento dall’Isonzo al Grappa. La guerra trasformò il padovano palazzo di famiglia in un vero e proprio «crocevia del fronte», in cui ogni giorno affluivano aristocratici, intellettuali, giornalisti, politici, generali italiani e missioni militari alleate, esponenti dell’irredentismo cecoslovacco e ungherese, predicatori e principi di casa Savoia. Nella rete fittissima delle consuetudini, amicizie e scambi che ne nacque, il giovane assistette e partecipò al processo di formazione dell’opinione e degli orientamenti di un cospicuo spaccato di classe dirigente rispetto a importanti sviluppi in atto: il rischio della perdita del Veneto, la guerra risorgimentale, il wilsonismo, la questione adriatica, la rivoluzione bolscevica, le clausole del Patto di Londra e la rivendicazione di Fiume.
Con la nascita della rivista di trincea Volontà, finanziata dal cognato, diretta da Vincenzo Torraca e animata e stimolata, non solo organizzativamente, dalla sorella Margherita, il giro delle amicizie e dei dialoghi si estese a Luigi Russo, Piero Calamandrei, Francesco e Niccolò Fancello, Giovanni Marchi, Camillo Bellieni, Piero Jahier, Giani Stuparich. Il 4 ottobre 1918 partecipò all’assalto al monte Pertica; il successivo 29 fu sul Piave, dove meritò una medaglia di bronzo al valor militare. Pochi giorni dopo partecipò alla liberazione di Vittorio Veneto.
Finita la guerra, dal dicembre 1918 al marzo 1919 fu assegnato all’Ufficio armistizio e confini del comando supremo, dove fu alle dipendenze di Ferruccio Parri. Il 21 settembre 1919, mentre era assegnato alla batteria di Voloska, aderì all’occupazione di Fiume, realizzata di fatto da un reparto di granatieri comandato da Carlo Reina, assiduo frequentatore di sua madre e amico di famiglia. Compresa la natura eversiva dei disegni di D’Annunzio, Papafava abbandonò Fiume già a dicembre del 1919. Iniziò un’intensa attività di studio e analisi dei problemi emersi con la guerra e pubblicò su l’Unità di Salvemini, su Volontà e Vita nuova articoli e saggi che spaziavano dai problemi dell’obbedienza e disciplina militari al modello preferibile di esercito, dal rapporto tra esercito e nazione agli effetti di lunga durata della propaganda, dalla rotta di Caporetto, per la quale richiamò le responsabilità del governo e degli alti comandi (Un cittadino veneto, Caporetto, Roma 1920, rifacimento di articoli pubblicati ne l’Unità del 21 agosto 1919), alla battaglia del Piave, dai comportamenti dei vertici militari alla riforma dell’esercito, resa necessaria dall’avvenuta invasione del campo politico da parte delle gerarchie militari, dal combattentismo, arditismo e fiumanesimo come terreno d’incubazione di fermenti eversivi all’«ossessione megalomane nazionalista» (Appunti militari 1919-1921, Ferrara 1921, pp. 146 s.). Dal 1919 ampliò la sua collaborazione con Salvemini fino alla condivisione del progetto di rifondazione della vita politica lanciato dallo storico molfettese con la Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale. Suggerì una sinergia tra Volontà, L’Educazione nazionale di Ernesto Codignola ed Energie nove di Piero Gobetti. Frequentò a Padova i corsi di Carlo Benussi, allievo di Sigmund Freud, dove conobbe Cesare Musatti, di cui divenne amico. Lavorò intensamente a un libro su Fiume, del quale non sono finora emersi i materiali. Prese parte alla battaglia contro l’appropriazione fascista dell’Associazione nazionale combattenti e aderì fin dalle origini a La Rivoluzione liberale di Piero Gobetti, sottoscrivendo una donazione di 300 lire.
Il 10 maggio 1922 si laureò in filosofia con una tesi sulle Antinomie dell’idealismo attuale, probabilmente influenzata dal realismo critico del suo maestro padovano Erminio Troilo, della quale, tuttavia, non essendosi finora ritrovato il testo, è difficile dire quanto sarebbe poi confluito nel volumetto L’idealismo assoluto. Considerazioni (Milano 1930). A luglio del 1922 uscì il suo primo articolo sulla rivista gobettiana, in cui invitò a distinguere il liberalismo come «metodo politico» dal liberalismo come «teoria filosofica», esprimendo la sua preferenza al primo, l’unico che riteneva potesse favorire la concreta e realistica convergenza di liberali e cattolici (Popolari e liberali, in La Rivoluzione liberale, I (1922), 20-21, pp. 75 s.). Il successivo 27 settembre sposò Bianca Emo Capodilista, discendente di un’antica e celebre famiglia dogale, anch’essa frequentatrice del laboratorio di Benussi. Durante il viaggio di nozze, avuta notizia della marcia su Roma, telegrafò a Gobetti la sua disponibilità a «menare le mani». Alla rivista torinese affidò i documenti essenziali del suo riesame di Caporetto, rispetto a cui, diradata «la nebulosa dello sciopero militare», ritenne acquisite le gravi e «ben precise responsabilità di comando» (Caporetto, il 27. Corpo d’Armata, ibid., I (1922), 29, pp. 107-109), nonché la testimonianza della sua netta e drastica opposizione al fascismo. Contestò alla milizia il suo carattere di banda armata e a Mussolini e al re la responsabilità delle gravissime violazioni della legalità costituzionale (La milizia nazionale, ibid., II (1923), 13, p. 534; Il fascismo e la Costituzione, ibid., n. 24, p. 97).
I suoi scritti suscitarono il consenso di Carlo Rosselli, che vide in lui «una delle pochissime persone adatte» a capeggiare l’opposizione (Mogavero, 2010, pp. 358 ss.). La sua «revisione liberale», articolata a puntate (p. 332 n. 60) destinate a confluire nel volumetto gobettiano Fissazioni liberali (Torino 1924), ripropose e approfondì, di fronte al «trionfo del fascismo», la distinzione, entro il liberalismo, di un «credo etico» dal «metodo politico», invitando ad ancorarsi al secondo e alla sua «obbiettiva verità giuridica e sociale», a respingere il primo, potenziale incubatore dello Stato etico. Collaborò a Il Caffè di Parri e Riccardo Bauer e partecipò con numerosi articoli alla battagliera fase antifascista de Il Popolo, diretto da Giuseppe Donati, cui espresse pubblica solidarietà dopo la coraggiosa denuncia parlamentare delle responsabilità di Mussolini e De Bono nell’assassinio di Matteotti (1924). Sostenne il tentativo di Amendola di organizzare l’opposizione costituzionale al fascismo e si schierò apertamente per la difesa del «liberalismo costituzionale» contro il fascismo, «gravato dal peccato originale della marcia su Roma» (Il problema costituzionale, in La Rivoluzione liberale, III (1924), 9, p. 36). Aderì all’associazione antifascista clandestina Italia libera e sottoscrisse la protesta contro il tentativo di appropriazione fascista della memoria di Leonida Bissolati (Il Mondo, 7 novembre 1924). Al convegno costitutivo dell’Unione nazionale fu relatore sul tema della difesa dello Stato di diritto (Democrazia e liberalismo, in La Rivoluzione liberale, IV (1925), 26, p. 105). Firmò il manifesto degli intellettuali antifascisti ed entrò nel mirino dello squadrismo padovano, che più volte assaltò la sua casa. L’ultimo attacco al palazzo avvenne la sera del 31 ottobre 1926, quale locale rappresaglia contro l’attentato di Tito Zaniboni a Mussolini (Mogavero, 2010, pp. 360 ss.).
Dopo il consolidamento della dittatura, la sua opposizione diventò silenziosa, ma senza condiscendenze o compromissioni con il regime. La morte di Amendola e di Gobetti, entrambi vittime di aggressioni squadristiche, l’esilio di Salvemini, Luigi Sturzo, Donati e Carlo Sforza e la persecuzione dei fratelli Carlo e Nello Rosselli lo privarono dei suoi punti di riferimento. Dopo aver lungamente temuto la conciliazione tra fascismo e Chiesa, dette una sostanziale approvazione al Concordato del 1929, limitandosi a rilevare in esso la sussistenza di «alcune interferenze» peraltro attribuite alla particolarità della situazione italiana (Valutazione del Concordato, in Studium, XXV (1929), pp. 121-130).
Negli anni Trenta fu impegnato ad approfondire gli studi psicanalitici e a coltivare indagini di teologia, apologetica e diritto canonico. In parallelo si occupò anche del rapporto tra filosofia e fede (Fede e buonafede, in Archivio di filosofia, VIII (1938), pp. 31-88; Fede e filosofia, ibid., XII (1942), pp. 58-70), emerso dal confronto con Enrico Castelli, del quale condivise parecchie iniziative nel campo degli studi. Partecipò all’esperienza dei convegni di Camaldoli, ispirati da mons. Adriano Bernareggi e culminati, nel 1943, nel Codice di Camaldoli, manifesto del cattolicesimo politico italiano rivolto al dopoguerra, ma pensato sul modello del Codice di Malines, l’insieme di direttive ispirato alle encicliche sociali di Leone XIII e pubblicato nel 1927. Nel 1942 iniziò a collaborare al periodico vaticano Ecclesia, edito a cura dell’Ufficio informazioni della Santa Sede, entrando probabilmente per questa via in rapporti con Alcide De Gasperi, che a Firenze nel 1915 aveva frequentato casa Papafava. Nello stesso anno e sempre a Firenze, in casa del marchese Fossi partecipò a vari incontri di antifascisti, con Ernesto Codignola, Piero Calamandrei e altri. Nel suo palazzo, in un appartamento messo da tempo a disposizione di Concetto Marchesi, nel settembre 1943 nacque il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) regionale veneto. La nascita della RSI (Repubblica Sociale Italiana) lo privò di ogni contatto con l’Italia centromeridionale e lo portò in carcere per circa un mese. Il suo palazzo fu requisito per allocarvi il ministero della Cultura popolare e Papafava si trasferì a Frassanelle, località nel comune di Rovolon.
Nel 1944 riuscì a far avere a De Gasperi il testo delle sue Considerazioni relative ad alcuni punti del Codice di Malines, sul tema della libertà delle coscienze, testo poi confluito nell’opuscolo I cattolici e la libertà (Padova 1945, ora in N. Papafava, I cattolici fra partito unico e libertà di scelta, San Domenico di Fiesole 1994, pp. 23 ss.). Il 29 aprile 1945 assunse l’ufficio di sindaco della sua Rovolon, ricusando la proposta di De Gasperi che lo voleva ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede. Scrisse in difesa della libertà dei cattolici di militare in una pluralità di partiti e per respingere sia l’ipotesi del partito unico dei cattolici sia quella dei partiti costitutivamente cattolici (Partito cattolico, partiti cattolici o cattolici nei partiti?, in Studium, XLI (1945), 6, pp. 157-165; I cattolici tra partito unico e libertà di scelta, cit., in continuità con quanto aveva sostenuto fin dagli anni Venti nella Rivoluzione liberale.
Le sue posizioni influenzarono Giacomo Noventa, che compose la seconda e terza parte del suo Manifesto per un liberalismo cattolico (in Gazzetta del Nord, 14 settembre 1946) utilizzando quasi alla lettera I cattolici e la libertà di Papafava (G. Noventa, Caffè Greco, Firenze 1969, p. 39). A Padova fu nominato commissario della Cassa di risparmio e direttore dell’Istituto tecnico agrario; il 3 febbraio 1946 ospitò nel suo palazzo il congresso provinciale dei partigiani indetto dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e dal CVL (Corpo Volontari della Libertà).
Nel dopoguerra fu impegnato sui problemi della crisi dell’agricoltura, della riforma agraria e della legislazione fondiaria, per la soluzione dei quali svolse una funzione di raccordo tra il mondo agricolo e la DC (Democrazia Cristiana). Fu vicepresidente della Federazione della proprietà fondiaria e candidato del PLI (Partito Liberale Italiano) alle elezioni politiche del 1958. Fu presidente della RAI dal 4 gennaio 1961 all’8 giugno 1964.
Fino all’ultimo, riservò le sue energie agli studi di storia militare e alla difesa degli ideali laici e liberali del Risorgimento, di cui continuò a considerare coronamento la Grande Guerra, spesso in polemica con gli storici più giovani (Il Risorgimento e la coscienza religiosa degli Italiani d’oggi, in Atti e memorie dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, 1961-62, vol. 74, pp. III, 5-23; Da Caporetto a Vittorio Veneto, Milano 1965; Le cause di Caporetto, in Il Risorgimento, XX (1968), 1, pp. 38-52; Nel cinquantenario della battaglia di Vittorio Veneto, in Ateneo Veneto, n.s., 1968, 6, pp. 267-292). Per il cinquantenario di Vittorio Veneto prestò la sua consulenza a vari speciali, compreso il lungometraggio realizzato da Alberto Caldana, Da Caporetto a Vittorio Veneto, uno dei primi a usare immagini non riciclate e inediti provenienti dagli archivi ereditati dalla RAI. Fu presidente dell’Accademia patavina dal 1969 al 1971. Non dismise mai la difesa del valore storico-morale dell’opposizione al fascismo e serbò fedeltà alla memoria e alla battaglia di Piero Gobetti. Mentre era presidente della RAI, una lunga intervista da lui rilasciata per uno speciale proprio su Gobetti fu censurata dall’apparato aziendale, riemergendo postuma solo nel 1976 (Gobetti: le fondamenta della democrazia, in Lettera di compagni, VIII (1976), 3, p. 4).
Morì a Padova il 10 aprile 1973.
Fonti e Bibl.: Frassanelle (Padova), Archivio Antonini Papafava dei Carraresi, Conte Novello; per altre fonti cfr. Mogavero, 2010, passim; G. Salvemini, Carteggio 1914-1920, Roma-Bari 1985; Id., Carteggio 1921-1926, Roma-Bari 1985. E. Barile, Bibliografia degli scritti di N. Papafava, in Atti e memorie dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, LXXXIX (1976-77), pp. III, 49-69.
La seguente bibliografia include anche le ristampe successive al 1975: N. Papafava, in Lucangelo Bracci Testasecca nel ricordo degli amici e nel suo diario di guerra, Roma 1957, pp. 3-16; L. Lazzarini, N. Papafava, in Studia Patavina, XX (1973), pp. 451-454; E. Opocher, N. Papafava, in Atti e memorie dell’Accademia Patavina di scienze, lettere ed arti, LXXXVII (1974-75), pp. 39-43; A.C. Jemolo, Prefazione a N. Papafava, Scelta di scritti 1920/1966, Roma 1975, pp. 3-18; G. Busino, in Rivista storica italiana, LXXXIX (1977), pp. 210-212; M. Isnenghi, Giornali di trincea, Torino 1977; G. Prezzolini, Diario 1900-1941, Milano 1981; J. Justi, N. Papafava, in Società Solferino e San Martino, 1983, n. 5, pp. 27 s.; G. Benzoni, La vita ribelle, Bologna 1985; R. Pertici, Un liberale del nostro tempo: Umberto Morra di Lavriano, in Umberto Morra di Lavriano e l’opposizione etica al fascismo, Pisa 1985, pp. 51-145; N. Bobbio, N. Papafava, in Id., Italia fedele. Il mondo di Gobetti, Firenze 1986, pp. 233-252; G. Noventa, Opere complete, IV, Venezia 1987, pp. 303 ss.; S. Neri Serneri, Democrazia e Stato. L’antifascismo liberaldemocratico e socialista dal 1923 al 1933, Milano 1989; L. Federighi, N. Papafava fra liberalismo e cattolicesimo, Firenze 1991; L. Lazzarini, Ricordo di N. Papafava (1993), in V. Lazzarini - L. Lazzarini, Maestri scolari amici, Trieste 1999, pp. 411-419; M. Gervasoni, L’intellettuale come eroe. Piero Gobetti e le culture del Novecento, Firenze 2000; G. Berti, Da Caporetto a Vittorio Veneto nelle riflessioni di N. Papafava, in Al di qua e al di là del Piave. L’ultimo anno della Grande Guerra, a cura di G. Berti - P. Del Negro, Milano 2001, pp. 519-527; B. Gariglio, Un cattolico-liberale: N. Papafava, in G. Berti, Progettare il postfascismo. Gobetti e i cattolici (1919-1926), Milano 2003, pp. 149-170; F. Papafava, Palazzo Papafava, crocevia del fronte, in L. Bracci Testasecca, Dai Dragoni del Genova ai bersaglieri di Boriani. Il diario di guerra di un intellettuale aristocratico, a cura di M. Bracci Testasecca et al., Udine 2006, pp. 155-183; M. Mondini, Between subversion and coup d’etat: military power and politics after the Great War (1919-1922), in Journal of modern Italian studies, 2006, n. 11, pp. 445-464; G. Berti, N. Papafava. Dal liberalismo cattolico al cattolicesimo liberale, in I liberali italiani dall’antifascismo alla Repubblica, a cura di F. Grassi Orsini - G. Nicolosi, Soveria Mannelli 2008, pp. 595-610; V. Mogavero, N. Papafava tra Grande Guerra, dopoguerra e fascismo. Alle radici di un’opposizione liberale (1915-1930), Sommacampagna 2010; S. Calamandrei, N. Papafava e i suoi amici, in Belfagor, LXI (2011), 393, pp. 319-323; L. Ceva, Postfazione a N. Papafava, Da Caporetto a Vittorio Veneto [1925], Roma 2012, pp. 211-30; M. Polo, Civiltà e libertà. Margherita Papafava e Lucangelo Bracci dalla Grande Guerra alla Repubblica, Firenze 2013; G. Rochat, Postfazione a N. Papafava, Badoglio a Caporetto (1923), Roma 2013, pp. 73-82.