PAPADOPOLI
– Famiglia di origine greca.
I Papadopoulos provenivano dall’isola di Creta, dove ebbero rango nobiliare. Quando Creta passò alla Repubblica di Venezia – con il nome di Ducato di Candia – italianizzarono il loro cognome in Papadopoli – anche se fino al Settecento alcuni di loro utilizzarono la doppia grafia – e in seguito si convertirono dall’originaria fede ortodossa a quella cattolica.
Nel Cinquecento il ramo principale della famiglia si trasferì nell’isola di Corfù, altro territorio greco allora sotto dominio veneziano. Lì investì i propri capitali nel commercio, e accumulò in tal modo ingenti ricchezze.
Un altro ramo rimase invece a Creta. Da esso provennero nel Seicento due personaggi di spicco (cfr. Lombardi, 1832, pp. 13-15; Vincent, 1991, p. 103; Bovo, 2015, p. 59).
Il primo fu Giovanni Papadopoli detto Zuanne (1618-1696?), segretario ducale, notaio e storico dilettante. Nel 1669 – quando Creta cadde nelle mani degli Ottomani – si trasferì a Padova (allora appartenente alla Repubblica di Venezia), dove scrisse, in dialetto veneziano, un libro di memorie, L'occio (L’ozio), che è una delle pochissime fonti dirette esistenti sulla Creta del Seicento (il manoscritto, datato 1696, si trova presso il Museo Correr di Venezia; benché diversi suoi estratti siano stati citati – in particolare nella seconda metà del Novecento – all’interno di saggi storici di altri autori, l’opera è stata pubblicata integralmente solo di recente; cfr. Papadopoli, 2007).
Storico (e di ben maggiore rilievo) fu anche il figlio maggiore di Giovanni, Niccolò Comneno Papadopoli (1655-1740). Nel 1666, all’età di undici anni, fu inviato dal padre a Roma, perché studiasse nel celebre Pontificio collegio greco di Sant’Atanasio, tenuto dai padri gesuiti; diplomatosi in lettere e in teologia, nel 1672 entrò nella Compagnia di Gesù. Soggiornò quindi in Toscana, a Venezia e infine, nel 1680, a Capodistria (allora capitale dell’Istria), dove fu rettore del Collegio dei nobili, anch’esso tenuto dai gesuiti. Nel 1688 si trasferì poi a Padova, dov’era nel frattempo emigrato suo padre (e dove Niccolò sarebbe rimasto sino alla fine della sua vita); in quella università, dal 1688 al 1738 fu docente di Diritto canonico e dal 1707 al 1738 direttore del Collegio Paleocapa per studenti di lingua greca. Scrisse diverse opere di tema giuridico (tra cui primeggiano le Praenotiones mystagogicae ex jure canonico, 1697), ma il libro a cui deve la sua fama è l’Historia gymnasii patavini (1726), che nonostante le sue molte inesattezze è uno strumento ancora oggi imprescindibile per lo studio della vita culturale nella Repubblica di Venezia tra Duecento e Seicento. Con lui si estinse questo ramo della famiglia Papadopoli.
Il ramo principale si trasferì in Italia da Corfù alla fine del Settecento. Nel 1784 i Papadopoli di quell’isola erano Niccolò (da non confondere con il suo lontano parente Niccolò Comneno) – che da Sofia Paramitkioti aveva avuto Angelo (1772-1833) – e il fratello minore Spiridione. In quell’anno, quest’ultimo – affermato avvocato e funzionario pubblico – si recò a Venezia al fine di investire gli ingenti capitali della famiglia nella creazione di una casa commerciale e bancaria; nel viaggio, portò con sé il nipote (Mosconi, 1833; Contarini, 1846, pp. 32-33). Nel 1787 il Senato della Repubblica lo fece tornare a Corfù, allo scopo di ricoprire la carica di ‘avvocato fiscale’ (cioè funzionario-capo delle imposte) dell’intera Provincia del Levante (che comprendeva i domini veneziani del Mediterraneo orientale). Angelo rimase invece a Venezia, dove, oltre a proseguire gli studi, amministrò con abilità – nonostante la giovanissima età – l’azienda fondata da Spiridione, che portò in breve tempo a un grande sviluppo. Nel 1791 ottenne la cittadinanza veneziana, e nello stesso anno, a Corfù, Niccolò e Spiridione vennero ammessi nel locale Consiglio dei nobili.
Ai primi dell’Ottocento Angelo fu raggiunto dal fratello minore, Giovanni (1786-1862), che venne in seguito posto a capo della filiale di Trieste dell’azienda. Angelo aveva in precedenza sposato Maria Mico (?-1827) – anch’essa di famiglia nobile e di origine greca – da cui ebbe cinque figli, solo quattro dei quali superarono l’infanzia: Spiridione (1799-1859), Antonio (1802-1844), Anna (1803-1859) e Sofia (1815-1838).
Nel 1808 i Papadopoli acquistarono a Venezia il loro primo grande edificio, il palazzo Marcello, costruito nel Trecento ma rifatto nel Seicento (a opera soprattutto dell’architetto Baldassare Longhena); Giovanni, che ne fece la sua residenza veneziana, lo fece restaurare e ne fece rifare gli interni secondo lo stile neoclassico. I Papadopoli inaugurarono in tal modo un ciclo di acquisizioni di edifici nobiliari (a Venezia o nelle campagne venete) che nel corso dell’Ottocento fece di questa famiglia il centro di una vasta rete di proprietà immobiliari. A Venezia i Papadopoli acquistarono altri due palazzi, i cinquecenteschi Coccina Tiepolo e Foresti; le loro ville di campagna, numerose, erano invece sparse sull’intero territorio dell’attuale Veneto.
Contestualmente alla funzione di proprietari, i Papadopoli svolsero un importante ruolo di mecenati per architetti, pittori di affreschi, scultori, mobilieri e così via; infatti, così come aveva fatto Giovanni, ogni volta che acquistavano un immobile lo facevano ristrutturare, ridecorare e riarredare secondo il gusto della loro epoca, assumendo così il ruolo di committenti per un ampio stuolo di artisti di vario genere.
Inoltre, per le loro residenze urbane e suburbane i Papadopoli commissionarono nel corso di quel secolo numerosi quadri, spesso di grandi dimensioni, a pittori allora molto in voga; tra di essi si ricordano Pompeo Marino Molmenti e Filippo Palizzi (si vedano le voci su di loro in questo Dizionario).
Il carattere nobile di questo ramo della famiglia Papadopoli fu confermato nel 1821 con una ‘sovrana risoluzione’ dell’imperatore d’Austria Francesco I (Schröder, 1830, p. 103).
Tuttavia, perché venisse attribuito alla famiglia un titolo specifico si dovette attendere il 1858, quando, con un’altra ‘sovrana risoluzione ‘ (questa volta dell’imperatore Francesco Giuseppe I), a Giovanni venne concesso il titolo di conte, trasmissibile per via ereditaria anche a discendenti non diretti.
Intorno al 1830, quella dei Papadopoli era la più grande banca privata di Venezia e una tra le maggiori d’Italia: aveva un patrimonio ingentissimo, che ammontava a oltre 15 milioni di lire austriache e consisteva in immobili, navi e relative merci, crediti esigibili, titoli pubblici e così via (Bernardello, 2015, p. 262).
Nel 1832 Giovanni, per non rischiare di rimanere senza eredi – suo nipote Spiridione non aveva infatti avuto figli – sposò, all'età di cinquantadue anni, la giovanissima contessa fiorentina Maddalena Aldobrandini (1816-1877). I coniugi ebbero tre figli: Nicolò (o Niccolò; 1841-1922) e Angelo (1843-1919), mentre una terza figlia, Sofia, morì all'età di tre anni.
Nel 1833, alla morte dell’allora capofamiglia dei Papadopoli, Angelo, il patrimonio della banca e della casa commerciale venne suddiviso tra Giovanni (che ricevette oltre 8 milioni di lire austriache) e tre dei figli di Angelo, cioè Spiridione (4,5 milioni), Antonio (2 milioni) e Sofia (1,5).
Sofia e sua sorella Anna sposarono due nobili veneziani, Valentino Comello (1798-1864) e Matteo Persico, che si sarebbero distinti nella rivoluzione del marzo del 1848.
I due figli maschi di Angelo non si occuparono, se non marginalmente, dell’azienda di famiglia.
Spiridione – che nel 1831 aveva sposato la contessa veronese Teresa Mosconi (1807-1854), da cui, come detto, non ebbe figli – si occupò certo di affari – tra le altre cose, fu copresidente della principale compagnia di assicurazioni del Veneto, la Società anonima dei veneti assicuratori, e presidente di una compagnia mineraria – ma si dedicò per lo più all’acquisto, alla ristrutturazione e alla gestione di ville di campagna e delle annesse proprietà terriere; le più importanti si trovavano in provincia di Treviso (a Villanova di Motta di Livenza e a San Polo di Piave). Fu inoltre mecenate di molti artisti. Molmenti dipinse su sua richiesta, per le sue ville, numerosi quadri e affreschi. A Francesco Bagnara – scenografo e architetto paesaggista (si veda la voce su di lui in questo Dizionario) – Spiridione commissionò tre grandi opere: a Venezia, un grande parco urbano, detto giardino Papadopoli ai Tolentini (1834-1835), che fu uno dei più celebri della città (oggi, in seguito alle alterazioni e alle riduzioni subite nel 1933, ne sussiste solo una parte); a San Polo (1850 ca.), il rifacimento in stile neomedievale dell’originaria villa quattrocentesca e la progettazione di un vasto parco ‘paesaggistico’ (cioè ‘all’inglese’; Angiolini, 2012). Nonostante queste enormi spese a fondo perduto, Spiridione al momento della morte (1859) possedeva ancora quasi un milione di lire austriache (Bernardello, 2015, p. 262).
Antonio – che morì a soli quarantadue anni – si dedicò fin da ragazzo alla letteratura e alla filologia; per la sua biografia si rimanda alla voce su di lui in questo Dizionario.
Giovanni fu l’unico che portò avanti l’attività di famiglia. Effettuò anche ingenti (ma sfortunati) investimenti in un settore allora pioneristico, quello del trasporto su rotaia; nel 1836, infatti, fu tra i dieci soci fondatori della prima società ferroviaria creata in Italia, la Compagnia per una strada a guide di ferro da Venezia a Milano, che tuttavia conobbe grandi difficoltà tecniche e finanziarie (la linea venne costruita con grande lentezza, e sarebbe stata completata solo nel 1872). Nel 1849 Giovanni, date le gravi perdite subite dalla sua banca, si ritirò da quel settore di attività, limitandosi nel decennio successivo a esercitare la professione di ‘scambista’ (cioè di agente di cambio).
Il figlio maggiore di Giovanni, Nicolò, nel 1859, poiché aveva partecipato a riunioni patriottiche clandestine e aveva fornito aiuto ai fuoriusciti politici veneti, insieme alla madre e al fratello venne costretto all'esilio forzato dalle autorità austriache, e si rifugiò in Piemonte. Lì si arruolò come soldato nel reggimento Lancieri d'Aosta dell’esercito sabaudo, e partecipò a diverse battaglie contro le truppe austriache (Castelnuovo Scrivia, Montebello, Ca’ Sojeta, Peschiera). Tornato a Venezia (che era rimasta nelle mani dell’Impero d’Austria), nel 1866, allo scoppio della Terza guerra d’indipendenza, venne di nuovo espulso; si arruolò come soldato nell’esercito italiano, e per meriti di guerra ricevette il grado di sottotenente; dopo l’annessione all’Italia del Veneto poté tornare a Venezia.
Nel 1880 sposò la baronessa croata Helene Hellenbach de Pacsolay (1862-1939), da cui ebbe le gemelle Vera Clotilde (1883-1946) e Maria Maddalena (1883-1965); la prima sposò il conte Giberto Arrivabene Valenti Gonzaga (1872-1933), la seconda il principe Ludovico Spada Veralli Potenziani (1880-1971).
Nel 1905 Nicolò ottenne il diritto di inserire nel suo cognome anche quello della defunta madre, e di cambiarlo quindi in Papadopoli Aldobrandini.
Nel corso della sua vita, Nicolò si dedicò a molteplici attività.
Fu uno dei maggiori studiosi italiani di numismatica (Saccocci 1986); nell’arco di mezzo secolo (1871-1921) pubblicò quasi cinquanta saggi specialistici (soprattutto sulla Repubblica di Venezia e i suoi possedimenti). Fu inoltre tra i fondatori della Società numismatica italiana (1892), di cui fu il primo presidente.
Appassionato anche di arte, geografia e storia, ricoprì ruoli dirigenti in numerose istituzioni culturali che si occupavano di questi temi: fu vicepresidente (1908-1911) e poi presidente (1911-1913) dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, presidente del comitato direttivo del Museo Correr (1895-1922) – a cui lasciò nel 1920 la sua collezione di monete, una delle più grandi e importanti d’Italia (17.000 pezzi) – presidente della Deputazione di storia patria per le Venezie (1907 e 1921); fu inoltre tra i fondatori della Società geografica italiana (1867).
Come imprenditore, fu membro dei consigli d'amministrazione di diverse aziende (Società veneziana di navigazione a vapore, Società Cellina per lo sfruttamento delle risorse idriche nel Veneto, Società per il porto industriale di Venezia) e del consiglio superiore della Banca nazionale nel Regno d'Italia (dal 1893 Banca d’Italia).
Pur non dedicandosi a un carriera politica vera e propria (al contrario del fratello Angelo), rivestì diverse cariche pubbliche: fu consigliere comunale e assessore a Venezia (1866-1874), deputato (1874-1882), senatore per oltre trent’anni (tra il 1891 e l’anno della sua morte).
Il fratello di Nicolò, Angelo, si laureò in Giurisprudenza all’Università di Padova. Come il fratello, fu espulso dal Veneto sia nel 1859 sia nel 1866; tornò a Venezia dopo l’annessione all’Italia e ricoprì diverse cariche nell’amministrazione comunale (Sandrini, 1919). Si avviò poi alla carriera diplomatica; lavorò nelle ambasciate italiane di Londra e di Copenaghen fino al 1872, anno in cui Marco Minghetti lo volle come suo segretario.
Da allora Angelo si dedicò per lo più alla vita politica. Eletto nei collegi veneti di Adria e poi di Venezia, fu deputato per circa trent’anni (1880-1882 e 1886-1913). Esponente della Destra, era favorevole al liberismo nelle sue forme estreme – radicalmente antistataliste e antisocialiste – e alle dottrine marginaliste; dal 1891 fu tra i membri più attivi dell’Associazione per la libertà economica, uno dei principali gruppi di pressione di quel settore ideologico.
Dedicò inoltre molto denaro e molte energie a lavori di bonifica che eseguì nelle vaste proprietà della sua famiglia situate nel Polesine; più in generale, insieme con il fratello fu tra i massimi sostenitori del riscatto delle terre paludose attraverso azioni di prosciugamento del terreno, che egli riteneva tuttavia dovessero essere condotte dagli stessi proprietari terrieri anziché dalle autorità pubbliche.
Con la morte di Nicolò, nel 1922, la famiglia Papadopoli si estinse.
Fonti e Bibl.: Camera dei deputati, Portale storico, sez. Deputati, schede Nicolò Papadopoli Aldobrandini e Angelo Papadopoli; Senato della Repubblica, Archivio storico, sez. Senatori d'Italia, sottosez. Senatori del Regno (1848-1943), scheda Nicolò Papadopoli Aldobrandini.
F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete, I, Venezia 1830; A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel secolo XVIII, II, t. IV, Venezia 1832; G. Mosconi, Necrologia di Angelo Papadopoli, in Biblioteca italiana, o sia Giornale di letteratura, lettere ed arti, XVIII (1833) pp. 251-253; G.B. Contarini, Menzioni onorifiche de’ defunti scritte nel nostro secolo, Venezia 1846; A. Sandrini, Commemorazione [di Angelo Papadopoli], in Camera dei deputati, Atti parlamentari. Tornata di mercoledì 10 dicembre 1919, pp. 85-86; A. Saccocci, Nicolò Papadopoli studioso di numismatica, in Bollettino dei civici musei veneziani di arte e storia, XXX (1988), pp. 168-171; A. Vincent, Comedy, in Literature and society in Renaissance Crete, ed. D. Holton, Cambridge 1991, pp. 103-128; R. Cuomo, Papadopoli, famiglia, in Regione Lombardia, Beni culturali, Archivi storici, 2000; Z. Papadopoli, L’occio, Istituto ellenico di studi bizantini e postbizantini, ed. critica a cura di A. Vincent, Venezia 2007; N. Angiolini, Il castello Papadopoli Giol ed il parco ‘paesaggistico’ a San Polo di Piave, tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, 2012-13; A. Bernardello, Venezia nel Regno lombardo-veneto, Milano 2015; T. Bovo, Giovanni Cottunio e gli intellettuali greci a Padova nel XVII secolo, tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari, Venezia 2015.