VIGILIO, papa
VIGILIO, papa. – Figlio di Giovanni, consularis della Campania tra il 507 e il 511 e poi prefetto del pretorio e console (The prosopography of the later Roman Empire, a cura di A.H.M. Jones - J.R. Martindale - J. Morris, I-III, Cambridge 1980, II, pp. 609 s.), e di una figlia del senatore Olibrio (Ivi, pp. 795 s.), che fu prefetto del pretorio nel 503, nacque in data imprecisata probabilmente a Roma, forse verso la fine del V secolo.
Vigilio apparteneva a una illustre famiglia di rango senatorio che sotto il governo goto aveva ricoperto importanti incarichi nell’amministrazione della città di Roma e del regno. Il fratello Reparato infatti fu a sua volta prefetto della città nel 527. La prima attestazione di Vigilio nelle fonti risale al 531, anno in cui papa Bonifacio (eletto con il favore del potere goto) lo designò come suo successore in una sinodo riunita a Roma presso S. Pietro (Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, 1886, p. 280, e forse anche un rescritto di Atalarico del 533; Cassiodoro, Varie, IX, 15, 3), scatenando però l’opposizione del clero e del Senato, esautorati di fatto dal processo elettivo del pontefice.
Il Liber pontificalis, che ci descrive sommariamente la questione, riferisce del tentativo del pontefice di far ratificare dal clero la successione di Vigilio attraverso un constitutum – che nel linguaggio della fonte romana indica una decisione normativa presa dal pontefice all’interno di una sinodo. Questo, con una partecipazione anche di parte del Senato, sarebbe insorto, poiché l’azione era stata compiuta contro la norma canonica, costringendo il pontefice a tornare sui suoi passi.
Egli non appare più nella documentazione superstite sino al 536, anno in cui risulta essere a Costantinopoli al tempo della morte di papa Agapito (22 aprile 536). A questa altezza cronologica Vigilio risulta godere del favore della corte imperiale, e viene accostato soprattutto all’imperatrice Teodora. I motivi della sua presenza sul Bosforo, non necessariamente legati alla carica di arcidiacono e apocrisario che soltanto il Liber pontificalis gli attribuisce, sono ignoti: forse ricollegabili alla crisi dei rapporti tra l’élite senatoria romana e il potere goto, e alla conseguente migrazione verso Costantinopoli. Non è fra i chierici romani che partecipano alla sinodo convocata da Giustiniano e presieduta dal nuovo patriarca Menas, che aveva lo scopo di condannare l’ex patriarca Antimo per le sue posizioni monofisite (giugno 536).
Nonostante l’incertezza delle fonti (inquinate dai giudizi postumi, indotti dalle contraddittorie posizioni prese da Vigilio a proposito della questione dei Tre capitoli), il suo legame con la corte bizantina è certo; nelle fonti africane – ostilissime a Vigilio – si fa cenno a un suo accordo segreto con Teodora che gli avrebbe promesso l’elezione in cambio di un rinnegamento del concilio di Calcedonia (Liberatus diaconus, Breviarium..., a cura di E. Schwartz, 1936, XII, vv. 19-21, p. 137). In ogni caso furono Giustiniano e Teodora a supportare la sua candidatura alla successione papale.
Al rientro di Vigilio a Roma (fra il dicembre 536 e il marzo 537) la sede episcopale era già occupata da Silverio, figlio di papa Ormisda, eletto l’8 giugno 536 forse su pressione del nuovo re goto Teodato (secondo il Liber corrotto da un’ingente somma di denaro). Durante l’assedio di Roma Belisario avrebbe arrestato Silverio, accusandolo di collaborazionismo filogoto, e mandandolo in esilio (Procopius, De bello gothico, a cura di J. Haury, 1905, l. I, 25, p. 189).
Alcune fonti (Liberato, ma anche lo stesso Liber pontificalis: cfr. Le Liber pontificalis, cit., pp. 292 s.) non escludono (anzi) un coinvolgimento attivo di Vigilio nella congiura contro il papa regnante orchestrata (tra Roma e Costantinopoli) da Teodora e Antonina, moglie di Belisario; egli avrebbe sollecitato alcuni ufficiali bizantini a fabbricare lettere false, come prove d’accusa contro Silverio. Dopo di che, in presenza di quest’ultimo, del generale e di sua moglie, Silverio fu deposto e inviato nuovamente in esilio, dove, secondo il Liber, morì di stenti per volere del suo antagonista.
Nella narrazione del Liber questa vicenda è costruita per creare un parallelo diretto tra Vigilio e il suo predecessore Silverio (che aveva ricevuto e rifiutato le medesime richieste da parte imperiale), nel tentativo di creare una rappresentazione alternativa dell’azione di Vigilio, rispetto a quelle offerte dagli autori di origine africana (Liberato, Vittore di Tununna) le cui opere erano sicuramente conosciute in ambito italiano (su questo Sotinel, 2008). È da considerarsi apocrifa una lettera riportata sia da Liberato sia da Vittore di Tununna, con la quale Vigilio confermava la sua comunione con i vescovi monofisiti Teodoro d’Alessandria, Severo d’Antiochia e Antimo di Costantinopoli (Liberatus diaconus, Breviarum..., cit., cap. 22; Victor Tonnennensis, Chronica..., a cura di Th, Mommsen, 1894, p. 200).
Il 29 marzo 537, Vigilio fu eletto pontefice, in virtù dell’appoggio del generale bizantino e, secondo le fonti a lui ostili, per ordine dell’imperatrice Teodora.
Pur operando nelle condizioni difficili di una città assediata (sino al 539), Vigilio prese subito qualche iniziativa importante. Nel 538 scrisse a Profuturo, vescovo di Braga, manifestando il desiderio di riorganizzare l’episcopato spagnolo e di indurlo a riconoscere la preminenza di Roma, con l’adozione dei suoi usi liturgici (pratiche battesimali, fissazione della data della Pasqua: Epistulae, in PL, LXIX, 1847, coll. 19-20). Nella primavera dello stesso anno ricevette una legazione da parte del re merovingio Teodeberto, che richiedeva al pontefice un parere circa il matrimonio del re con la vedova del suo defunto fratello; nella risposta, indirizzata a Cesario vescovo di Arles, Vigilio impose ai coniugi un atto di penitenza e la separazione (ep. 38 datata al 6 maggio, in Collectio Arelatensis, a cura di W. Gundlach, 1892, pp. 57 s.).
I primi contatti documentati con l’Oriente sono del 540. Vigilio rispose a una missiva (perduta) di Giustiniano, rassicurandolo sulla sua ortodossia e sulla sua adesione alla politica imperiale (sul piano religioso e non solo). Gli riconobbe (in parziale deroga alla teoria dei due poteri di matrice gelasiana) prerogative anche di carattere sacerdotale oltre che imperiale; ma lo esortò comunque a rimanere fedele ai concili ecumenici, ribadendo anche le condanne emesse dai suoi predecessori.
Nella collectio Avellana (una collezione di canoni redatta in ambito italico nel VI secolo) questa lettera – con la missiva parallela inviata al patriarca di Costantinopoli, Menas, per sottolineare la comunione tra le sue sedi (Collectio Avellana, a cura di O. Guenther, 1895, nr. 93, p. 350) – chiude (pur essendo cronologicamente antecedente ad altri testi) un ‘dossier vigiliano’. L’obiettivo sembra essere quello di presentare il pontefice nel pieno delle sue funzioni, prima delle pressioni imperiali subite durante la sua permanenza bizantina e di costruire un’artificiale e perfetta continuità con la politica dei predecessori (Lizzi Testa, 2018, pp. 20-27).
Nel 543 Vigilio sottoscrisse verosimilmente (ce ne informa Liberato) la condanna di Origene da parte di Giustiniano. Fu inoltre in contatto con il mondo franco, rispondendo con prudenza (e subordinando l’accettazione della richiesta a un placet imperiale; Collectio Arelatensis, cit., ep. 39, pp. 58 s.) al nuovo vescovo di Arles, Auxano, che chiedeva l’invio del pallium e dunque la conferma del suo ruolo di metropolita delle Gallie. Ad Auxano e ai vescovi delle Gallie, sul tema delicato della preminenza del vescovo di Arles e del suo ruolo di delegato papale, scrisse altre tre lettere (epp. 40-42, pp. 59-63).
Sul versante del governo della Chiesa romana, questi primi anni Quaranta – relativamente pacifici – furono contrassegnati da una serie di importanti opere di restauro ed edificazione all’interno dello spazio cittadino sia urbano sia extra urbano: la costruzione di un’aula di rappresentanza (Basilica Vigilii citata in Le Liber pontificalis, cit., p. 343) presso il Laterano, la fondazione della chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta a est del Foro di Augusto; il restauro dei cimiteri suburbani, sulla Salaria e sulla Tiburtina.
La memoria di questi anni di pace – e di centralità papale in Occidente – è peraltro controversa. All’elogio di Vigilio implicito nella dedicatoria della trasposizione in versi degli Atti degli apostoli, composta dal diacono Aratore (ex comes domesticorum di Alarico; 6 marzo 544) si contrappone infatti il quadro a tinte fosche del Liber pontificalis, che esprime una linea interpretativa interna alla chiesa di Roma non confermata da altre fonti, e presenta un Vigilio dispotico e incline a ricorrere al delitto.
Il 544 segnò però anche un punto di svolta nel suo pontificato. Giustiniano infatti condannò i cosiddetti Tre Capitoli (favorevoli, com’è noto, al duofisismo), nel quadro del suo tentativo di rinsaldare l’Impero acquisendo l’appoggio dei monofisiti (molto diffusi nel territorio imperiale), e chiese di sottoscrivere tale condanna a tutti i patriarchi dell’Impero, che acconsentirono purché Vigilio facesse altrettanto. Il papa inizialmente temporeggiò (quantunque il suo apocrisario a Costantinopoli, Stefano, si fosse subito opposto recisamente alla condanna) e ancora nel 545 risultava in comunione con Giustiniano, visto che approvò la preminenza che l’imperatore assegnava all’episcopato di Justiniana Prima in occasione della riorganizzazione ecclesiastica dell’Illirico (Justinianus, Novella 131, 1993). Ma il 25 novembre 545 Giustiniano fece prelevare da alcuni suoi soldati il pontefice per condurlo in Sicilia, dove Vigilio soggiornò per circa un anno: una energica forma di pressione, perché il papa accettasse di sottoscrivere la condanna dei Tre Capitoli.
Per quanto difformi nella narrazione, tutte le fonti concordano ad attribuire l’iniziativa all’imperatore (Le Liber pontificalis, cit., pp. 297-302; Victor Tonnennensis, Chronica..., cit., p. 201; Epistula Clericorum mediolanensum..., 1940, pp. 18-25), anche se non è da escludere il concorso di ragioni di sicurezza nel motivare il trasferimento, visto che la partenza avvenne pochi giorni prima dell’ingresso in Roma dell’esercito di Totila.
In Sicilia, Vigilio incontrò i vari rappresentanti dell’opposizione alla condanna dei Tre Capitoli (Ferrando, Pelagio) ed ebbe informazioni importanti dall’arcivescovo di Milano Dazio, reduce da Costantinopoli. Prese infine la decisione di sostenere la posizione del suo apocrisario Stefano e di rompere la comunione con il patriarca Menas. Dall’isola, inviò inoltre il pallium al nuovo vescovo di Arles, Aureliano (agosto 546; Collectio Arelatensis, cit., ep. 44). Nell’autunno del 546 Vigilio lasciò la Sicilia e attraverso l’Illiria (da Patrasso a Salonicco), non trascurando atti di governo (come l’elezione di Massimiano vescovo a Ravenna), si recò nella capitale dell’Impero. Ivi fu accolto con tutti gli onori (come ricorda il Liber pontificalis, adattando peraltro a Vigilio una precedente narrazione di cerimoniale), ed ebbe modo di incontrare anche i senatori italici esiliati sul Bosforo, tra cui Cetego, Libero e Cassiodoro.
Malgrado le lusinghe, il papa non acconsentì immediatamente alle richieste imperiali. Nel gennaio del 547 Vigilio scomunicò il patriarca Menas, che rispose scomunicandolo a sua volta; decisione però che venne ritirata pochi mesi dopo, nel giugno del 547 (Facundo, Contra Mocianum, 1974, capp. 43-44, pp. 410 s.). Sembra però che in questo periodo il pontefice abbia avviato un dialogo con l’imperatore per affrontare e risolvere la questione della condanna dei Tre Capitoli, come premessa o pretesto per discutere il tema (ben più importante) delle sfere di competenza dei due poteri: chi, cioè, tra l’imperatore e il pontefice dovesse avere autorità in materia di fede. Il dialogo e i tentativi di conciliazione continuarono nel 548.
Dapprima Vigilio organizzò un sinodo con i vescovi presenti a Costantinopoli, ma, poiché questa sembrò orientarsi verso un parere sfavorevole alle decisioni imperiali, trasformò l’assemblea in un’audizione personale del solo Facondo, il principale difensore dei Tre Capitoli, costringendolo a redigere una scrittura difensiva senza l’ausilio dei testi necessari (Facundus episcopus, Pro defensione..., a cura di J.-M. Clément - R. Vander Plaetse, 1974). Poi propose un compromesso mediante uno iudicatum oggi perduto (inviato al patriarca Menas l’11 aprile), nel quale confermava la condanna dei Tre Capitoli, mantenendo però salve le decisioni prese a Calcedonia (Vigilius papa, Epistula ad Rusticum et Sebastianum, 1913). Questa posizione intermedia non fu accettata dai vescovi africani e da Facondo stesso; e anche, in modo crescente, da una parte del clero romano presente a Costantinopoli, capeggiati dall’influente e colto diacono Rustico (traduttore di Calcedonia) e dal diacono Sebastiano.
Vigilio mantenne la sua linea anche dopo esser stato scomunicato dai vescovi africani (Vittore da Tunnuna, Chronica..., a cura di A. Placanica, 1997, p. 46), e la difese per iscritto – riaffermando l’adesione alla condanna dei Tre Capitoli e, allo stesso tempo, la fedeltà al concilio di Calcedonia –, contro le preoccupazioni dei vescovi delle Gallie (concilio di Orléans, 549, con il metropolita Aureliano) e del vescovo di Tomi (8 marzo 550). Ma durante il Natale 550 i diaconi Rustico e Sebastiano abbandonarono pubblicamente la celebrazione che Vigilio (dopo molte incertezze) concelebrava con il patriarca Menas e furono scomunicati (18 marzo 551, Vigilius papa, Epistola Ad Rusticum et Sebastianum, cit.).
Nel corso del 551 la crisi si aggravò, nell’attesa dell’organizzazione di un concilio risolutore; Vigilio invano propose di organizzarlo in Occidente. Nel frattempo il papa, per rabbonire l’opposizione ritirò il suo iudicatum (pur confermando per iscritto all’imperatore il suo impegno alla condanna dei Tre Capitoli); ma non poté non reagire alla forzatura di Giustiniano che nel luglio 551, esasperato dai ritardi nella convocazione del concilio e pressato dal suo consigliere teologico, il vescovo cappadoce Teodoro Askidas, emise un nuovo editto di condanna dei Tre Capitoli (Confessio fidei adversus Tria Capitula, 1939). Vigilio lo scomunicò, e abbandonò con il suo clero il palazzo di Placidia, ma dalla chiesa di S. Pietro di Ormisda ove s’era rifugiato fu ricondotto con la forza a corte, in una sorta di prigionia o domicilio coatto; ne fuggì nuovamente prima del Natale (23 dicembre 551), rifugiandosi (con il clero occidentale: Dazio da Milano, il diacono Pelagio) a Calcedonia, nella basilica di S. Eufemia, lo stesso luogo dove, nel 451 si era riunito il concilio. Resistette alle sollecitazioni degli emissari imperiali (Belisario e il patrizio Cetego, stimati da Vigilio) per un rientro a Costantinopoli, e il 5 febbraio 552 pubblicò un’enciclica in cui denunciava le violenze e chiedeva il rispetto delle affermazioni papali e le definizioni del concilio di Calcedonia, arrivando anche a scomunicare successivamente Askidas in seguito a nuove violenze contro gli oppositori alla condanna dei Tre Capitoli. Ebbe qualche consenso anche dal clero bizantino, e dopo nuove rassicurazioni rientrò a Costantinopoli nell’estate del 552. Ma la nuova richiesta del pontefice di tenere il concilio in Sicilia o in Italia, e in subordine di un rinvio, fu ignorata, e il 5 marzo 553 Vigilio fu assente dall’assise convocata da Giustiniano, lamentando la totale inadeguatezza della rappresentanza occidentale. Due mesi più tardi, mentre i lavori del concilio erano in corso (e un accordo sulla condanna dei Tre Capitoli stava per essere raggiunto), Vigilio, coadiuvato dal suo diacono Pelagio, emanò la prima versione del suo Constitutum (14 maggio) e la presentò all’imperatore mediante il suo apocrisario, in un clima di intimidazione e di pressione psicologica da parte della delegazione imperiale composta da Belisario, Cetego e Liberio.
Il testo condannava alcune delle proposizioni attribuite a Teodoreto ma non la sua persona, e rifiutava di anatemizzare Teodoro e Ibas poiché erano morti nella pace della Chiesa e, se avevano avuto opinioni errate, lo avevano fatto in buona fede. Inoltre proibiva qualsiasi ulteriore commento sulla questione dei Tre Capitoli, pena la scomunica.
Vigilio non solo si vide respingere il suo testo (26 maggio, VII sessione del concilio), ma fu anche umiliato dall’imperatore che rivelò la corrispondenza segreta nella quale il pontefice si impegnava a condannare i Tre Capitoli, ordinò la cancellazione del nome del papa dai dittici (chiarendo però che la rottura della comunione riguardava la sola persona di Vigilio e non l’intera Chiesa romana) e fece condannare i Tre Capitoli (VIII sessione, 2 giugno 553; Giustiniano, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, a cura di J. Straub, 1971, IV, 2, pp. 138-168).
Imprigionato con i chierici a lui vicini, dopo sei mesi d’isolamento Vigilio si piegò. L’8 dicembre 553 scrisse al nuovo patriarca di Costantinopoli Eutychio, sconfessando le sue stesse decisioni; il 23 febbraio 554 con la seconda edizione del suo Constitutum approvò tutte le decisioni prese dal concilio, e condannò i suoi stessi chierici, fra i quali Pelagio (Vigilius papa, Ex epistula de Tribus Capitulis, 1913, pp. 138-168). Ciò gli permise di riconciliarsi con l’imperatore e di programmare, sia pure dopo un ulteriore soggiorno a Costantinopoli di circa un anno (durante il quale su sua richiesta l’imperatore emanò, il 13 agosto 554, la cosiddetta Prammatica Sanzione, con la quale il governo bizantino ristabiliva il proprio governo sulla provincia italica e riconosceva alla Chiesa importanti diritti e privilegi, affermandone il ruolo centrale svolto all’interno della società), il ritorno a Roma. Qui in assenza sua e di gran parte dell’alto clero, la Chiesa cittadina era stata amministrata dal vescovo Mareas.
Ormai vecchio, Vigilio ripartì nella primavera del 555, ma morì a Siracusa il 7 giugno.
Le sue spoglie furono riportate a Roma e sepolte nella basilica di S. Marcello sulla via Salaria. È l’unico dei papi di quest’epoca a non essere sepolto presso il Vaticano.
FONTI E BIBL.: Le lettere di Vigilio sono edite in Vigilius papa, Epistulae, in PL, LX, a cura di J.P. Migne, Paris 1847, coll. 15-68. Le lettere di Vigilio a Giustiniano e a Menas sono edite in Collectio Avellana, a cura di O. Guenther, Pragae-Vindobonae-Lipsiae 1895, pp. 348-356. Vigilius papa, Epistulae 38-44, in Collectio Arelatensis, a cura di W. Gundlach, in MGH, Epistolae, III, a cura di W. Gundlach - E. Dümmler, Berolini 1892, pp. 57-68; Vigiliusbriefe, a cura di E. Schwartz, München 1940; Vigilius papa, Epistula I ad Eutychium, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, IV, 1, a cura di J. Straub, Berlin-Leipzig 1971, pp. 236-238; Id., Epistula II ad Eutychium, ibid., pp. 245-247.
Altre fonti: Agnellus qui et Andreas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, in MGH, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, a cura di G. Waitz, Hannover 1878, p. 326; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 281 (Bonifacio), 292 (Silverio), 297-302 (Vigilio), 343 (Vitaliano); Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, a cura di G.B. de Rossi, II, Romae 1888, pp. 83 (epitaffio di Mareas), 100, 137; Marcellinus comes, Chronicon, in MGH, Auctores antiquissimi, XI, 2, a cura di Th. Mommsen, Berolini 1893, pp. 120-161; Victor Tonnennensis episcopus, Chronica a. CCCCXLIV-DLXVII, ad a. 567, in MGH, Auctores antiquissimi, XI, 2, a cura di Th. Mommsen, Berolini 1894, pp. 184-206; Procopius, De bello gothico, a cura di J. Haury, Leipzig 1905; Epistulae Constantini imperatoris a Iustiniano augusto interpretatae ac Vigilio papae missae, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, IV, 2, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1913, pp. 101-104; Vigilius papa, Epistula ad Rusticum et Sebastianum, ibid., pp. 188-194; Id., Ex epistula de tribus Capitulis o Constitutum II, ibid., pp. 138-168; Pelagius diaconus ecclesiae romanae, In defensione Trium Capitulorum, a cura di R. Devreesse, Città del Vaticano 1932; Liberatus diaconus Carthaginensis, Breviarium causae Nestorianorum et Eutychianorum, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, II, 5, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1936, pp. 98-141; Justinianus, Confessio fidei adversus Tria Capitula, in Id., Drei dogmatische Schriften Iustinians, München 1939; Epistula Clericorum Mediolanensium ad legatos Francorum, qui Constantinopolim proficiscebantur, in Vigiliusbriefe, cit., pp. 18-25; Pelagius diaconus ecclesiae romanae, Epistulae quae supersunt, a cura di P.M. Gasso - C.M. Batlle, Montserrat 1956, p. 45; Columbanus abbas Bobiensis, Epistulae, in Sancti Columbani Opera, a cura di G.S.M. Walker, Dublin 1957, pp. 2-58; Procopius, Historia Arcana, a cura di H.B. Dewing, London-Cambridge 1960, p. 324; Concilium Universale Constantinopolitanum sub Iustiniano habitum, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, IV, 1, 1, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1971, pp. 198 s.; Facundus episcopus Hermianensis, Pro defensione Trium Capitulorum, a cura di J.-M. Clément - R. Vander Plaetse, Turnholti 1974, pp. 1-398; Id., Liber Contra Mocianum scholasticum, ibid., pp. 401-416; Id., Epistula fidei catholicae in defensione trium capitulorum, ibid., pp. 419-434; Justinianus, Novella 131, 3, in Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, a cura di R. Schoell - G. Kroll, Hildesheim 1993, pp. 655 s.; Vittore da Tunnuna, Chronica: Chiesa e Impero nell’età di Giustiniano, a cura di A. Placanica, Firenze 1997; Cassiodoro, Varie, 4: libri VIII, IX, X, a cura di A. Giardina, Roma 2016.
Per la bibliografia precedente all’anno 2000 si vedano le voci Silverio e Vigilio, redatte entrambe da Claire Sotinel, nell’Enciclopedia dei papi, rispettivamente alle pp. 508-512, 512-529. M. Costambeys, Burial Topography and the power of the church in fifth- and sixth-century Rome, in Papers of the British School at Rome, LXIX (2001), pp. 169-189; J.A. Evans, The emperor Justinian and the Byzantine Empire, Westport 2005; C. Foss, The empress Theodora, in Byzantion, LXXII (2002), 1, pp. 141-176; Id., The empress Theodora: Partner of Justinian, Austin 2002, pp. 77, 90-93, 99-103, 106 s.; B. Croke, Justinian, Theodora, and the church of saints Sergius and Bacchus, in Dumbarton Oaks Papers, LX (2006), pp. 25-63; P.T.R. Gray, The legacy of Chalcedon. Christological problems and their significance, in The Cambridge Companion to the age of Justinian, a cura di M. Maas, Cambridge 2006, pp. 231-235; C. Sotinel, Emperors and popes in the sixth century. The western View, ibid., pp. 280-284; Ead., The three chapters and the transformations of Italy, in The crisis of the Oikoumene. The three chapters and the failed quest for unity in the sixth century Mediterranean, a cura di C. Chazelle - C. Cubitt, Turnhout 2007, pp. 85-105; F. Millar, Rome, Constantinople and the near eastern church under Justinian. Two synods of C.E. 536, in The Journal of Roman studies, XCVIII (2008), pp. 62-82; C. Sotinel, Mémoire perdue ou mémoire manipulée: le Liber Pontificalis et la controverse des Trois Chapitres, in C. Sotinel - M. Sartre, L’usage du passé entre Antiquité tardive et Haut Moyen Age, Rennes 2008, pp. 59-76; R. Price, The acts of the Council of Constantinople of 553 with related texts on the Three Chapters controversy, I-II, Liverpool 2009; J. Behr, The case against Diodore and Theodore: texts and their contexts, Oxford 2011, pp. 116, 119-128, 353; F. Bladeau, Le siège de Rome et l’Orient (448-536). Ètude géo-ecclésiologique, Rome 2012, pp. 105 s., 151 s.; B. Neil, Crisis and wealth in byzantine Italy: The “Libri Pontificales” of Rome and Ravenna, in Byzantion, LXXXII (2012), pp. 279-303; P. Allen - B. Neil, Crisis management in late antiquity (410-590 CE): a survey of the evidence from episcopal letters, Leiden-Boston 2013, pp. 45, 58-61, 128, 154 s., 186, 196, sulle sue lettere p. 221; F. Bladeau, Différentes évaluations d’une crise: considérations de l’empereur Justinien et du pape Vigile sur la situation ecclésiale à la veille de la controverse des Trois Chapitres (540), in Adamantius, XIX (2013), pp. 314-323; A. Cameron, The cost of orthodoxy, in Church history and religious culture, XCIII (2013), 3, pp. 339-361; G.E. Demacopoulos, The Petrine discourse in Theoderic’s Italy and Justinian’s Empire, in The invention of Peter: Apostolic discourse and papal authority in Late Antiquity, Philadelphia 2013, pp. 102-133; J. Moorhead, The popes and the church of Rome in Late Antiquity, London-New York 2015, ad ind.; P. Maraval, Justinien, Paris 2016 (trad. it. Palermo 2017); K. Sessa, The Roman Church and its bishops, Leiden 2016, pp. 425-450; A.A. Verardi, La memoria legittimante: il Liber pontificalis e la chiesa di Roma nel secolo VI, Roma 2016; M. Vitiello, Teodato. La caduta del regno ostrogoto d’Italia, Palermo 2017, ad ind.; F. Bladeau, Le constitutum de Vigile (14 mai 553): un exemple extrême de décision pontificale par lettre, in Ècriture et genre épistolaires (IVe-XIe siècle). Actes du Colloque de Poitiers (5-8 juin 2013), a cura di Th. Deswarte - K. Herbers - H. Sirantoine, Madrid 2018, pp. 15-29; R. Lizzi Testa, La Collectio Avellana: il suo compilatore e i suoi fruitori, fra Tardoantico e Alto Medioevo, in Cristianesimo nella Storia, XXXIX (2018), 1, pp. 9-40; A.A. Verardi, Silverio, papa, in Dizionario biografico degli Italiani, XCII, Roma 2018, s.v.; F. Bladeau, Sanctionner le pape sans rompre avec le Siège apostolique? Retour sur la condemnation de Vigile prononcée lors du concile de Constantinople II (553), in La dramatique conciliaire de l’antiquité à Vatican II, a cura di G. Cuchet - C. Mériaux, Villeneuve d’Ascq 2019, pp. 133-150, http://books.openedition.org/septentrion/63342 (23 maggio 2020); G. Ravegnani, L’età di Giustiniano, Roma 2019, ad indicem.