TEODORO I, papa
TEODORO I, papa. – Ricordato dalle fonti come nativo di Gerusalemme e figlio di un vescovo, con buona probabilità giunse a Roma per sfuggire all’invasione araba della Palestina.
L’ambiente d’origine era contiguo al patriarca gerosolimitano Sofronio (morto fra il 638 e il 639), schierato su posizioni contrarie al monotelismo allora sostenuto dal patriarcato di Costantinopoli e dall’imperatore Eraclio (che nel 638, pubblicando l’Echtesis, aveva provveduto a riconoscere ufficialmente le tesi postulanti l’esistenza in Cristo di un’unica volontà).
Nulla è sinora emerso circa l’attività svolta da Teodoro nell’Urbe nel periodo antecedente alla propria elezione; è comunque più che probabile che egli, al pari di molti altri religiosi giunti a Roma dall’Oriente, si sia rapidamente unito a quella crescente fazione del clero romano decisa a opporsi alle valenze eterodosse del monotelismo, peraltro già apertamente condannato dal suo predecessore.
Il pontificato di Teodoro, eletto subito dopo la morte di papa Giovanni IV (12 ottobre 642), ebbe pertanto inizio in una situazione di latente conflitto con Bisanzio, aggravata sia dalla crisi politica e militare dell’Impero, messo in difficoltà dalle invasioni arabe, sia dalla minore età del nuovo sovrano bizantino, Costante II (641-668).
Fu consacrato il 24 novembre 642, il che può lasciar credere, se non altro in ragione del breve lasso di tempo intercorso, che la sua elezione non sia stata confermata dall’imperatore, ma dall’esarca di Ravenna.
Sin dalle prime settimane Teodoro prese apertamente posizione contro il monotelismo chiedendo all’imperatore di revocare l’Ecthesis (fine 642-maggio 643) e ponendo come condizione al riconoscimento del nuovo patriarca costantinopolitano, Paolo II, la convocazione di un sinodo che provvedesse non solo a condannare le tesi filomonotelite propugnate dal deposto predecessore di quest’ultimo, Pirro, allora rifugiato in Africa, ma anche a formalizzarne l’irrituale deposizione.
In quegli stessi mesi la vita dell’Urbe fu turbata dalla rivolta del chartularius Maurizio, comandante delle truppe bizantine di stanza a Roma e già responsabile dell’esproprio del tesoro lateranense avvenuto durante il breve pontificato di Severino.
Maurizio, dopo aver convocato in città le milizie adibite alla difesa dei castra dell’intero Ducato romano, le riunì in assemblea unitamente ai reparti acquartierati in città, accusando l’esarca ravennate Isacio di alto tradimento, dal momento che, a suo dire, stava tramando per impadronirsi della corona imperiale. Il chartularius, arringando abilmente le truppe, riuscì a far sì che tutti i soldati gli prestassero giuramento, riconoscendolo come supremo capo militare in luogo dell’esarca. Tuttavia, pur ottenendo qualche consenso nel laicato della città, tale insurrezione lasciò del tutto indifferente il clero e il vescovo di Roma, e venne presto stroncata dall’arrivo di un corpo di spedizione inviato da Ravenna. Infatti, non appena le truppe comandate dal sacellarius Dono fecero la propria comparsa sotto le mura di Roma, le milizie e i notabili della città abbandonarono Maurizio al suo destino. Inutilmente rifugiatosi nella chiesa di S. Maria ad Praesepem, egli venne arrestato insieme ai suoi principali sostenitori e inviato sotto scorta a Ravenna. Ma, giunto nei pressi dell’attuale Cervia, venne decapitato per ordine dell’esarca. Miglior sorte ebbero invece gli altri prigionieri, i quali, rinchiusi in carcere, vennero liberati in conseguenza dell’improvvisa morte di Isacio, caduto presumibilmente in battaglia nel novembre del 643.
Nel 645 Teodoro accolse nel migliore dei modi a Roma l’ex patriarca costantinopolitano Pirro, proveniente dal Nordafrica ove aveva accettato – in una disputa teologica svoltasi a Cartagine con Massimo il Confessore (nuovo leader teologico dell’opposizione antimonotelita, rifugiatosi sin dal 626 in quella regione e ben presto alleatosi con l’esarca locale Gregorio desideroso di rendersi autonomo da Bisanzio) – le posizioni contrarie al monotelismo.
Nel maggio del 645 infatti il patriarca costantinopolitano Paolo II, che aveva sino ad allora mantenuto una posizione ambigua, si dichiarò apertamente favorevole al monotelismo, suscitando la reazione del partito avverso: l’esarca Gregorio organizzò il confronto, e Pirro (forse anche perché desideroso di essere nuovamente posto a capo della Chiesa di Bisanzio), si mostrò disposto non solo ad abiurare il monotelismo, ma anche a recarsi a Roma per sconfessare dinanzi al pontefice le tesi da lui precedentemente sostenute. Tale desiderio, che alcuni attribuiscono all’abile regia di Massimo, forse desideroso di utilizzare Pirro ai fini di un ulteriore coinvolgimento di Roma nell’opposizione a Costantinopoli, fu comunque prontamente recepito.
Il prestigio della Chiesa di Roma, rafforzato dalla pubblica abiura di Pirro, fu ulteriormente consolidato anche dalle posizioni ben presto assunte dai vescovi nordafricani, i quali, nel 646, si espressero contro l’Ecthesis, riconoscendo al vescovo di Roma il ruolo di supremo garante della fede. Dopo breve tempo le probabili strategie perseguite da Teodoro e da Massimo il Confessore furono tuttavia messe in crisi dal definitivo fallimento del progetto politico di Gregorio (resosi di fatto autonomo da Bisanzio, ma ucciso in battaglia dagli arabi, ormai in procinto di invadere il Nordafrica). Inoltre Pirro, fuggito da Roma e rifugiatosi a Ravenna, rinnegò di lì a poco la propria abiura. Di conseguenza, nel corso di un sinodo romano (646-647) Teodoro procedette alla sua formale deposizione. In seguito, tramite i propri apocrisiari di stanza a Costantinopoli, invitò il patriarca Paolo a desistere dalle sue posizioni eterodosse.
Teodoro morì due anni più tardi e venne sepolto in S. Pietro il 14 maggio 649.
Non fece in tempo dunque ad accogliere la delegazione inviata a Roma nei primi mesi del 649 dall’imperatore Costante II che, desideroso di arrivare a un compromesso dinanzi al progressivo inasprirsi dei rapporti fra Roma e Bisanzio, con un editto emanato nel 648 (il cosiddetto Typos) aveva proclamato il definitivo ritiro dell’Echtesis, vietando però ogni ulteriore discussione sulla questione delle volontà di Cristo.
Il Liber pontificalis attribuisce a Teodoro la costruzione della basilica di S. Valentino ubicata nei pressi di Ponte Milvio, che tuttavia, risultando già esistente nel IV secolo, dovette essere soltanto oggetto di lavori di ampliamento e di restauro. Al pontefice può essere invece attribuita l’edificazione della basilica Theodori papae, verosimilmente ubicabile nel patriarchio lateranense, e di due oratori, uno dedicato a s. Sebastiano, l’altro a s.Euplo (forse sito fra porta Ostiense e la piramide di Caio Cestio). Teodoro fu anche presumibilmente promotore della traslazione delle spoglie dei martiri Primo e Feliciano dalla via Nomentana alla chiesa di S. Stefano Rotondo al Celio (648), che in quella occasione fu forse restaurata e nuovamente consacrata.
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