SABINIANO, papa
SABINIANO, papa. – Nato a Blera, in Tuscia, in data imprecisata da Bono, prima di accedere al soglio pontificio ebbe una carriera ecclesiastica tutta interna alle gerarchie del clero secolare.
Divenuto diacono, nel luglio del 593 fu nominato apocrisiario a Bisanzio da Gregorio Magno, e in tali vesti dovette anzitutto dare applicazione alle direttive papali in Dalmazia. Un confronto con la carriera di Gregorio Magno, nominato apocrisiario alla soglia dei quarant’anni, suggerirebbe per Sabiniano una data di nascita intorno all’anno 550 o poco prima.
L’esarca Romano appoggiava infatti l’elezione e la consacrazione del nuovo vescovo di Salona, Massimo, ma si rifaceva a una iussio imperiale che Gregorio impugnava, perché la riteneva ottenuta con l’inganno, se non apocrifa. In attesa di una decisione definitiva dell’imperatore, il pontefice aveva quindi emanato, nei confronti di Massimo, un veto di indegnità morale e lo aveva diffidato dal celebrare messe solenni. Questi tuttavia lo aveva oltraggiato facendo lacerare pubblicamente la sua missiva.
È probabile che nella circostanza Sabiniano si fosse rivelato privo di alcuni requisiti indispensabili alla riuscita delle strategie pontificie. Non solo, infatti, il vescovo era rimasto al proprio posto, e aveva con i suoi atti manifestato il proprio disprezzo per l’autorità papale, ma la propaganda bizantina aveva avuto anche gioco facile nel diffondere voci che infamavano la persona del pontefice. Così, verso la fine del 594, Gregorio rimproverò il proprio rappresentante a Costantinopoli di non avere fatto nulla per impedire la circolazione di false notizie che implicavano il papa nella morte del vescovo Malco, già rettore del Patrimonio di S. Pietro in Dalmazia. Ugualmente poco efficace, agli occhi del papa, dovette essere l’azione di Sabiniano riguardo ai contrasti che opponevano Gregorio a Giovanni IV, patriarca di Costantinopoli il quale, nonostante ripetute proteste da parte papale, continuava a titolarsi ‘patriarca ecumenico’. Anche in questo caso Sabiniano parve inadatto a tenere testa alle pressioni della corte bizantina.
Nel giugno del 595 il papa si lamentò infatti di avere ricevuto una lettera ove l’imperatore Maurizio gli intimava di scendere a patti con Giovanni IV. Gregorio scrisse di non riuscire a capacitarsi del fatto che Sabiniano fosse stato tanto ingenuo da accettare di farsi latore di quel messaggio. Avrebbe dovuto capire che un tale ammonimento imperiale era da rivolgere al patriarca, e non al pontefice.
Appare quindi probabile che le incertezze mostrate da Sabiniano abbiano convinto Gregorio a richiamarlo a Roma e ad affidargli compiti meno delicati. Così, nell’agosto dello stesso 595, egli fu incaricato di una missione in Gallia e, negli anni immediatamente successivi, della trasmissione di alcune missive a vescovi orientali. Da quel momento in avanti, il ruolo svolto da Sabiniano negli affari papali dovette ulteriormente ridursi, anche se per qualche tempo, nel 597, egli ottenne di nuovo un incarico presso la corte bizantina. Dopo il novembre del 597 non se ne hanno più notizie fino alla sua elezione a pontefice.
L’opinione che Gregorio aveva di lui e il suo sostanziale fallimento nelle vesti di apocrisario non furono però di danno a Sabiniano nel momento in cui si dovette procedere alla scelta del successore del grande papa. Forte di una carriera affatto tradizionale, egli era del resto un candidato che poteva bene rappresentare le istanze di chi respingeva gli aspetti e i contenuti più innovativi della politica del suo predecessore: la sua elezione va dunque interpretata come il segno di una reazione concreta all’indirizzo che Gregorio aveva impresso al suo pontificato.
Eletto nel marzo del 604, Sabiniano fu consacrato il 13 settembre dello stesso anno, dopo l’arrivo da Bisanzio della ratifica imperiale.
La sua visione della politica ecclesiastica si discostò, in più di un aspetto, da quella di Gregorio Magno. Il biografo sottolinea infatti come, nell’assegnazione degli uffici vacanti, Sabiniano tendesse a favorire esponenti del clero secolare. In questo modo egli sottraeva spazi di potere e possibilità di carriera a quegli elementi del clero regolare che erano stati invece largamente favoriti da papa Gregorio. Ancora maggiori sono le differenze riscontrabili nei rapporti tra il nuovo papa e la città di Roma. Sabiniano interpretò infatti in modo del tutto diverso rispetto a Gregorio il ruolo del pontefice nella distribuzione di derrate alimentari alla popolazione romana in tempi di carestia. Al contrario di quanto aveva sempre fatto Gregorio, egli non consentì che l’erogazione avvenisse a titolo gratuito. La decisione costituiva una decisa rottura rispetto a quelle forme di provvidenza, statale prima e pontificia poi, su cui gli elementi più deboli della società romana avevano sempre tradizionalmente potuto contare.
Il biografo riportò l’episodio senza commentarlo, ma costruendo la frase in modo sottilmente ambiguo: «Tunc facta pace cum gente Langobardorum et iussit aperire horrea ecclesiae et [iussit] venumdari frumenta per solidum unum tritici modios XXX». Egli lasciava quindi intendere che l’apertura dei magazzini granari e la vendita di frumento potevano essere state due fasi distinte di un organico piano concepito per fare fronte alla drammatica penuria di cibo. Inoltre l’epigrafe funebre pone tra i grandi meriti di questo papa misericordioso (Inscriptiones Christianae [...]. Nova series, n. 4157, v. 8: «nec iudex culpis, sed medicina fuit») quello di aver provveduto in tempo di carestia alla distribuzione di cibo e vesti (v. 11: «quem famis ira dapes, quem nudus sensit amicum»), impedendo la diffusione in città delle epidemie che si accompagnavano sempre ai periodi di scarsità di cibo. È possibile quindi che, almeno nella versione ufficiale degli eventi, la vendita del grano, necessariamente riservata a fasce di popolazione più abbienti rispetto a quelle cui si rivolgevano le elargizioni gratuite, fosse stata organizzata con lo scopo di procurare i fondi necessari ad acquistare altre derrate da distribuire ai poveri, per i quali venivano aperti i magazzini della Chiesa.
È anche significativo che il Liber pontificalis tenti di attribuire a lui una sorta di paternità esclusiva per ciò che concerne il trattato di pace con i longobardi stipulato nel 605, non facendo alcun cenno al ruolo avuto dall’esarca bizantino di Ravenna. Risulta quindi palese lo sforzo propagandistico di collegare, con una certa enfasi, il sia pur breve pontificato di Sabiniano ad alcuni momenti importanti del confronto politico-militare tra longobardi e bizantini. D’altra parte anche l’epigrafe funeraria gli attribuisce il merito di avere assicurato stabilità e durata ai patti tanto che, durante il suo pontificato, sarebbe regnata la pace (Inscriptiones Christianae [...]. Nova series, n. 4157, v. 9). Sabiniano dunque, e non Gregorio, risultava essere il primo papa promotore e garante di una tregua con i longobardi.
In ogni caso, sul giudizio che in seguito fu dato della sua attività alla guida della Chiesa ebbero peso pressoché esclusivo i provvedimenti da lui presi in occasione della carestia.
Ancora due secoli dopo, il suo poco caritatevole atteggiamento, palesemente in contrasto con la munificenza del predecessore, sarebbe stato oggetto di esplicita condanna da parte di Paolo Diacono. Questi, nella Vita Gregorii (c. 29), narrò infatti del disprezzo con cui Sabiniano trattò chi lo supplicava di distribuire gratuitamente il grano alla ormai stremata popolazione. Il papa avrebbe, inoltre, accusato di vanità Gregorio, sostenendo che le elargizioni gratuite di derrate avevano il solo scopo di blandire la popolazione ottenendo lodi personali a spese delle casse papali. Persino il defunto papa Gregorio si sarebbe adoperato per far cambiare idea a Sabiniano, apparendogli in sogno tre volte; al quarto tentativo, continuando il rifiuto, avrebbe perso la pazienza e, colpitolo al capo, ne avrebbe provocato la morte. Non è chiaro se questo racconto sia frutto dell’inventiva di Paolo Diacono o se rispecchi tradizioni locali che, nel tempo, avevano trasformato in ricordo leggendario effettivi atti di violenza subiti dal pontefice.
È tuttavia molto probabile che egli sia stato inviso a gran parte della popolazione, almeno a giudicare dal lungo percorso alternativo cui fu costretto chi trasportò le sue spoglie dal Laterano al luogo di sepoltura in S. Pietro. All’indomani della morte (22 febbraio 606), infatti, il timore di manifestazioni popolari ostili obbligò il corteo funebre a scegliere una via più lunga, seguendo il percorso esterno alle mura, da Porta San Giovanni a ponte Milvio, e raggiungendo da lì la basilica vaticana.
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