GIOVANNI III, papa
Figlio del vir illustris Anastasio, romano, di lui non si hanno notizie sicure fino al momento dell'elezione al pontificato.
Quando Pelagio I, suo predecessore, era ancora diacono a Roma e si occupava di comporre una raccolta di vite di santi - la ben nota collezione in dieci libri intitolata appunto Vitae Patrum - sembra che un aiuto gli venisse da un colto suddiacono di nome Giovanni che è parso ragionevole identificare in Giovanni III. È stata inoltre avanzata l'ipotesi che un omonimo diacono presente a Roma dopo il 554 e autore di una Expositio in Heptateuchum, di una Collectanea in IV Evangelia e di Commentarii in epistulas sancti Pauli (Clavis Patr. Lat., 951 s.) potesse essere il futuro papa G., ma non ci sono certezze tali da suffragare questa supposizione.
Anche riguardo all'inizio del suo pontificato gli storici non concordano: una volta eletto, dopo la morte di Pelagio, G. dovette attendere circa quattro mesi l'approvazione imperiale per essere consacrato, ma non è a oggi del tutto certa la collocazione cronologica dell'evento: l'indeterminatezza delle fonti è purtroppo all'origine di non poche interpretazioni al riguardo, che addirittura spaziano dal giugno 559 al luglio 561 momento, quest'ultimo, che pare maggiormente convincere gli studiosi.
Nel Liber pontificalis, l'anonimo autore della Vita di G., offrendo il solito breve ragguaglio sui principali fatti e personaggi del tempo, evita riferimenti diretti alla corte orientale, trattando invece della presenza di Narsete in Italia. Erano passati pochi anni dalla fine del sanguinoso conflitto tra Goti e Bizantini e l'intera penisola si trovava in uno stato di estrema desolazione. Un ordine precario e una parvenza di amministrazione erano garantiti dal generale bizantino che con le sue truppe di occupazione aveva tra l'altro respinto reiterate incursioni di bande franche e alamanne ai confini. L'assai confusa situazione sociopolitica si rispecchiava altresì nei difficili, ambigui rapporti tra Narsete e G., rapporti nei quali paiono alternarsi momenti di collaborazione a periodi di forte tensione quando non di aperta ostilità.
È nota l'attenta cura di G. per il mantenimento del culto dei martiri e la restaurazione di cymiteria in ambito urbano. Nel complesso catacombale detto di Pretestato - ricordato, nella biografia di G., per essere dedicato, tra gli altri, ai Ss. Tiburzio e Valeriano - sito nei pressi della via Appia, a pochi chilometri dal Laterano, pare che G. abbia abitato e vi abbia consacrato alcuni vescovi.
Il passo del Liber pontificalis (ed. Duchesne, I, p. 306; ed. Mommsen, p. 158) meriterebbe tuttavia, per la sua vaghezza, qualche approfondimento: sarebbe infatti interessante stabilire con precisione se, quando e perché, durante il non breve pontificato di G., la catacomba sia stata realmente utilizzata quale sede papale (secondo Jaffé - Wattenbach, p. 136, forse nel [o dal?] 567).
G. si incaricò inoltre del completamento della basilica dei Ss. Apostoli - da lui dedicata ai Ss. Filippo e Giacomo - fondata pare da papa Giulio I, e la cui effettiva erezione si doveva a Pelagio I. Nel marzo 562, con l'assenso del sovrano merovingio Clotario, dispose affinché l'abate del monastero di St-Médard di Soissons avesse il primato su quelli degli altri enti monastici della Gallia franca. Nel corso del 563, G. concedette al suddiacono Marcello e ai suoi discendenti il privilegio della sepoltura nella basilica di S. Pietro. G., probabilmente nel 567, compì una missione diplomatica a Napoli nel tentativo, parzialmente riuscito, di convincere Narsete - che in rotta con l'imperatore si era asserragliato nella città campana - a permanere nell'ubbidienza al sovrano.
La tensione tra il generale bizantino, sospettato di malgoverno, e la corte d'Oriente, dalla fine del 565 in mano a Giustino II, non si allentò. G. fece ritorno a Roma con il generale bizantino che però, nel frattempo, per ritorsione nei confronti dell'Impero pare avesse ormai proposto alla corte longobarda in Pannonia l'occupazione della penisola italica. Proprio durante il pontificato di G., tra il 568 e il 569, i Longobardi invasero la penisola (Paolo Diacono, che tuttavia erra indicando Benedetto I quale pontefice in quel torno di tempo), ma dell'avvenimento non ci restano testimonianze negli scritti di Giovanni III.
A Roma, probabilmente il 22 sett. 570, G. consacrava Pietro vescovo di Ravenna. Grazie a Gregorio di Tours, che ne accenna nei suoi Libri historiarum, sappiamo che verso la fine del 570 o all'inizio del 571 G. scrisse una lettera - di cui non ci è pervenuto il testo - al re burgundo Guntramno. Con tale missiva si invitava o, forse, dal verbo usato (iubere), seccamente si ordinava a quel sovrano di restituire diocesi e dignità ai vescovi Salonio di Embrun e Sagittario di Gap, deposti e allontanati dalle loro sedi a causa, parrebbe, di comportamenti indegni della sacralità del loro incarico. Per contro, la lunga lettera attribuita a G. - il cui contenuto è un severo monito sull'abuso, allora evidentemente in atto, dell'imposizione delle mani da parte di alcuni prelati, rito che spettava invece esclusivamente al pontefice romano - e indirizzata ai vescovi della Germania e della Gallia, così come il brevissimo testo della missiva "ad Eraldum [o Edaldum] Viennae archiep.", sono da sempre state considerate come non autentiche (Mansi, IX, coll. 756 ss.; Migne, LXXII, coll. 13-18, ma in Jaffé - Wattenbach, n. 1041, autenticità e attribuzione della prima delle due missive non sono messe in discussione).
Morto Narsete tra il 568 e il 570, i Longobardi procedettero a una rapida occupazione di gran parte della penisola mentre G., del quale non sono note le reazioni alle stragi e agli sconvolgimenti provocati dalle truppe guidate da Alboino, riuscì a stento a mantenere una certa concordia con le Chiese d'Africa e con la maggior parte di quelle dell'Italia settentrionale, esclusa Aquileia che rimase nell'obbedienza tricapitolina.
G. morì nel luglio del 573 o del 574 e, secondo il Liber pontificalis, venne probabilmente sepolto a Roma nella basilica di S. Pietro in Vaticano. Gli successe papa Benedetto I.
Secondo studi recenti, il Sacramentarium detto Leonianum contenuto nel Cod. Veron. LXXXV della Bibl. capitolare di Verona - compilato, a parere del suo scopritore (Chavasse) e di diversi studiosi, da papa Leone I Magno intorno alla metà del V sec. - potrebbe invece essere attribuibile a Giovanni III.
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