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BENEDETTO V, papa

di Paolo Delogu - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)
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BENEDETTO V, papa

Paolo Delogu

Manca, nel Liber pontificalis, la sua biografia. Delle sue origini si ignora dunque ogni cosa, se non la notizia, tramandata dai cataloghi dei papi, della sua nascita romana. Ma da altre fonti si apprende che egli faceva parte del clero cardinale in qualità di diacono ed era "vir sanctus literatusque" (Adamo di Brema, Gesta, p. 69), "gramatice artis imbutus", ed esercitava attività "in scholis" (Benedetto di S. Andrea, Chronicon, p. 181). Flodoardo riferisce anzi che era scriniario, cioè notaio, della Sede apostolica (Annales, p. 406). Fu eletto papa alla morte di Giovanni XII - perciò pochi giorni dopo il 14maggio 964 - inuna situazione estremamente tesa per l'opposizione violenta dei Romani alle ingerenze di Ottone I: desiderosi quelli di conservare la libertà e l'autonomia che avevano trovato in Alberico II il difensore; impegnato l'altro in una politica di sottomissione di tutta l'Italia, compresa la Sede apostolica, al suo dominio.

Gli interventi in Roma dei re di Germania erano incominciati durante il pontificato di Giovanni XII, figlio e in certo modo successore di Alberico. A causa della sua indegnità personale e della sua inettitudine al governo le fazioni in Roma avevano ripreso vigore. Si era formato un partito a lui decisamente ostile, i cui esponenti avevano cariche importanti nella stessa corte papale e che, probabilmente, si mise in comunicazione con Ottone I in occasione dell'invito rivolto a lui dal papa di venire in Italia per difendere Roma contro la tirannide del re d'Italia Berengario II. Infatti Giovanni XII, sebbene accogliesse Ottone e, nel febbraio 962 lo incoronasse imperatore, poche settimane più tardi invitò ed accolse in Roma Adalberto, figlio di Berengario II, proprio mentre questi, chiuso in un castello delle Marche, era assediato da Ottone. Ma l'imperatore non tardò a marciare su Roma, da cui Giovanni XII fuggi, e vi entrò tra tumulti e discordie delle fazioni. Convocato in S. Pietro un sinodo (6 novembre-4 dic. 963), egli ottenne che venissero violentemente denunciati i misfatti di Giovanni XII e che tutti i partecipanti, tra cui il clero cardinale e la plebe romana, lo dichiarassero decaduto e si compromettessero eleggendo essi stessi un nuovo pontefice, scelto nella persona del protoscriniario Leone, che, nonostante fosse laico, in due giorni, contro i canoni, ricevette tutti gli ordìni, e fu consacrato pontefice, ottavo dei suo nome, il 6 dicembre (sul sinodo cfr. Zimmermann, Papstabsetzungen, pp. 250 ss.). Ma la concordia tra Ottone e i Romani, che il cronista imperiale Liutprando tanto si preoccupa di sottolineare, era solo occasionale. Neanche un mese più tardi (3 genn. 964) i Romani si ribellarono all'imperatore e cercarono di assalirne la residenza, per ucciderlo insieme col suo papa; sconfitti una prima volta non esitarono, appena Ottone lasciò la città verso la metà del mese per riprendere la lotta contro Berengario, a richiamare Giovanni XII, che rientrò in Roma nel febbraio mentre ancora però le fazioni si scontravano, probabilmente perché coloro che si erano compromessi con Leone VIII temevano le vendette di Giovanni, che infatti non si fecero attendere. Il pontefice il 26 febbraio convocava anche un sinodo in cui Leone VIII veniva condannato come invasore dei trono pontificio (ibid., pp. 256 s.). Nonostante le divisioni interne, sembra che tutti condividessero l'odio contro l'imperatore sassone, così eloquentemente manifestato da Benedetto di S. Andrea del Soratte.

Morto infatti, il 14 maggio 964, Giovanni XII, i Romani, invece di trarre occasione per richiamare Leone VIII e pacificarsi con l'imperatore, preferirono, se pur nuovamente "inter se saevientes" (Benedetto di S. Andrea, p. 180), eleggere un nuovo papa che fu, appunto, Benedetto V. Quali fossero stati i suoi rapporti con le fazioni romane quali i suoi atteggiamenti nei confronti dell'imperatore, perché venisse scelto a pontefice nel difficile momento, non è facile dire. Negli avvenimenti che precedettero la sua elezione egli aveva tenuto un contegno analogo probabilmente a quello della maggior parte del clero romano. Gli verrà infatti rimproverato di aver violato la fedeltà promessa a Leone VIII alla cui elezione aveva partecipato, e pertanto egli dev'essere probabilmente identificato in uno dei quattro Benedetti, diaconi o suddiaconi, che parteciparono al sinodo del novembre 963; oppure, se si deve accettare la testimonianza di Flodoardo, in uno dei due scriniari di quel nome presenti nell'assemblea. Sembra invece da rifiutare la identificazione col cardinale diacono Benedetto che era stato in quell'occasione il violento accusatore di Giovanni XII (per questa e altre improbabili identificazioni, cfr. Baix, col. 32). Ma due Benedetti diaconi sono anche attestati tra il clero cardinale che si raccolse intorno a Giovanni XII al suo ritorno a Roma, ed approvò, nel sinodo del febbraio 964, la condanna di Leone VIII e dei suoi favoreggiatori romani, e probabilmente uno dei due dovette essere il futuro pontefice.

In lui si è voluto ravvisare (Zimmermann, p. 259) l'esponente di un pattito favorevole alla conciliazione con l'imperatore. Ma se mai una simile tendenza si profilò per un momento tra il clero romano, il seguito delle vicende le stroncò sul nascere.

I Romani invìarono infatti ambasciatori ad Ottone per interroga rlo "de electione Benedicti" (Liber pontificalis, II, p. 246).

L'incontro avvenne a Rieti; l'imperatore, "iratus valde", giurò, "per virtutem regni sui", che avrebbe assediato Roma fin quando non si fosse impadronito di B. V, e che avrebbe piuttosto rinunciato alla sua spada che a sostenere Leone VIII (Liber pontificalis, p. 246). B. V fu egualmente intronizzato, "falso nomine apostolicus" secondo le fonti dell'ambiente imperiale (Continuatio Reginonis, p. 174), ma legittimo pontefice secondo le liste ufficiali della Chiesa romana, per la quale invasore è invece Leone VIII, eletto arbitrariamente essendo in vita un altro papa. Ottone cinse strettamente d'assedio Roma; si stabilì che nessuno potesse uscire dalle mura; le campagne circostantì con i borghi e i castelli furono devastate. Secondo Liutprando (p. 174), all'atto della consacrazione i Romani avevano giurato a B. V che non l'avrebbero mai abbandonato. E in effetti, per qualche settimana essi sostennero l'assedio, animati e sorretti proprio dal Papa, che stava sulle mura accanto ai combattenti; egli comminò anche la scomunica all'imperatore ed ai suoi fedeli. Ma l'assedio strettissimo provocò ben presto la carestia: un moggio di crusca si vendeva per trenta denari. I Romani, che durante l'assedio sembravano finalmente uniti a difesa dell'indipendenza cittadina, "ceperunt mollescere inter se, ut virtutes que prius habuerunt ad nichilum redacti sunt" (Benedetto di S. Andrea, p. 181). Il 23 di giugno aprirono le porte della città e consegnarono all'imperatore Benedetto V. Fu convocato allora un nuovo sinodo nella basilica lateranense, presieduto da Leone VIII e da Ottone, con la partecipazione di vescovi e clero romani, italici e tedeschi, che decise la deposizione di Benedetto V.

B. V fu introdotto vestito dei paramenti pontificali. Un cardinale diacono gli notificò le accuse di invasione della Sede apostolica e di spergiuro. A detta di Liutprando, che del sinodo ha lasciato un esteso resoconto, B. V non avrebbe tentato difesa e si sarebbe solo affidato alla misericordia degli astanti. Le sue suppliche avrebbero mosso a pietà Ottone, che avrebbe raccomandato mitezza nei provvedimenti. B. V si sarebbe gettato ai piedi di Leone VIII e dell'imperatore, proclamando la sua colpa, si sarebbe svestito del pallio, e lo avrebbe "restituito", insieme con la ferula pastorale, a Leone (prima notizia questa che abbiamo dell'uso dello scettro tra le insegne papali: cfr. W. Ullmann, The Growth of papal government in the MiddIe Ages, London 1962, p. 319 n. 2). Quindi, fatto sedere per terra, sarebbe stato spogliato dal rivale della pianeta, privato dell'onore del pontificato e del presbiterato, bandito da Roma e solo, per l'intercessione imperiale, conservato nel diaconato. È stato osservato dal Mann che il continuatore di Reginone non parla di tanta volontaria umiliazione da parte di B. V, né accenna alla confessione di colpevolezza od alla autosvestizione delle insegne pontificali, e si è notato che un tale contegno conviene meglio al vigoroso difensore di Roma assediata.

I Romani accettarono il fatto compiuto e accogliendo con grandi solennità Leone VIII, giurarono solennemente obbedienza a lui e ad Ottone. B. V fu deportato dall'imperatore in Germania, ed affidato alla custodia di Adeldag arcivescovo di Amburgo.

Il pontificato di B. V non era stato che un breve episodio della resistenza romana - e più delle fazioni cittadine, laiche ed ecclesiastiche, che del papato - a Ottone I. Svolto tutto nell'anno 964, tra il 14 maggio (morte di Giovanni XII) ed il 23 giugno, giorno della deposizione, esso non ebbe neanche la durata che erroneamente gli assegnano i cataloghi, di "menses II dies II". Probabilmente si tratta di una svista per "menses I dies II", il che permette di fissare la data della consacrazione al 22 maggio. Del suo breve pontificato non rimane alcun documento. Tuttavia l'impressione suscitata dalla violenza dei fatti fu grande, e, se i più accaniti partigiani imperiali non esitarono a qualificarlo "invasor", altri, pur sostenitori dell'imperatore, lo considerarono "innocentem" (Liber pontificalis, II, p. 246); "qui dignus Apostolicae Sedis videretur... nisi quod per tumultum electus est, expulso eo quem ordinari iussit imperator" (Adamo di Brema, Gesta, p. 69); addirittura "papa", secondo Tietmaro, che vide nella peste che infierì sull'esercito di Ottone durante il ritorno in Germania, un castigo del cielo per le violenze compiute (Tietmaro, Chronicon, pp. 72 ss., 82).

Adamo di Brema riferisce che i Romani avevano corrunciato a chiedere a Ottone la restituzione di B. V sul trono pontificio, quando questi morì; la notizia, che proverebbe come egli non fosse stato a Roma completamente dimenticato, non trova tuttavia conferma altrove; solo il continuatore di Reginone parla di ambasciatori dei Romani a Ottone per chiedere la designazione di un nuovo pontefice, ma non ne precisa il nome.

Due fonti, posteriori di vari decenni alle vicende, informano della permanenza di B. V ad Amburgo, durata fino alla sua morte. Entrambe concordano nel ricordame la vita esemplare, condotta nel servizio di Cristo; la considerazione di cui venne circondato; il rispetto con cui lo trattò il suo stesso custode; financo le doti profetiche, per le quali avrebbe presagito la propria morte ad Amburgo e le desolazioni che avrebbero poi colpito quella terra fin quando le sue ossa non fossero state riportate a Roma (Adamo di Brema. p. 69; Tietmaro, p. 202). Ad Amburgo infatti morì, il 4 luglio di un anno imprecisato, "poco, dopo" l'arrivo nella città (Annales Altahenses maiores, p. 10), nello stesso anno, dunque, o nel successivo. Ma è stato osservato (Baix, col. 36) che le notizie che abbiamo sulla santa vita e sull'opera di ammaestramento svolta ad Amburgo fanno supporre una residenza di una certa durata. Una notizia di Tietmaro (p. 152) che riferisce di un prete Lievizo, restato al servizio del papa esiliato fino alla sua morte e poi passato a quello dell'arcivescovo Adeldag, permette di stabilire con sicurezza che B. V mori prima di questo ultimo cioè prima del 988.

Le ossa di B. V furono fatte riportare a Roma da Ottone III (Tietmaro, p. 202); ma la memoria di lui restò ad Amburgo particolarmente venerata. Oltre alle notizie dei cronisti del sec. XI, di cui si è detto, lo testimonia il cenotafio, ora distrutto, ma descritto da eruditi seicenteschi (cfr. Mann, p. 279), che gli fu elevato nella cattedrale della città durante il sec. XV, e la tarda Narratio de Benedicto V (a c. di E. Lindenbrog, Scriptores Rer. Germ. Septentrionalium, Hamburgi 1706, p. 117), compilata sui brani di Liutprando e di Tietmaro a lui relativi. Si ignora invece in quale chiesa romana venissero posti i suoi resti dopo la traslazione.

Fonti e Bibl.: Benedetto di S. Andrea del Soratte, Chronicon, a c. di G. Zucchetti, Roma 1920, in Fonti per la Storia d'Italia, LV, pp. 173-181; Flodoardi Annales, anno 965, in Monum. Germ. Histor., Scriptores, III, Hannoverae 1839, pp. 406 ss.; Ph. Jaffé-S. Löwenfeld, Regesta Pontificum Romanorum, I, Lipsiae 1885, pp. 469 s.; Continuatio Reginonis, anni 964, 965, a c. di F. Kurze, ibid., Script. rer. Germ., L, Hannoverac 1890, p. 174; Annales Altahenses maiores, a c. di E. von Oefele, ibid., IV, ibid. 1891, p. 10; Vita Iohannis XII, in Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, p. 246; Liutprando, Liber de rebus gestis Ottonis, a c. di J. Becker, in Monum. Germ. Histor., Script. rer. Germ., XLI, Hannoverae 1915, pp. 157-175; Magistri Adami Bremensis Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, I. II, cap. 12, a c. di B. Schmeidler, ibid., II, ibid. 1917, p. 69; Thietmari Merseburgensis Chronicon, a c. di R. Holtzmann, ibid., Scriptores rerum German., n. s., IX, Berolini 1935. p. 202; H. K. Mann, The Lives of the Popes in the Early Middle Ages, IV, London 1910, pp. 273-281; F. Baix, Benoît V, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, Paris 1934, coll. 31-38; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo, V, Roma 1940. pp. 209-224; H. Zimmermann, Die Deposition der Päpste Johannes XII., Leon VIII und Benedikt V., in Mitteilungen des Inst. für Österreich. Geschichtsforschung, LXVIII (1960), pp. 209 ss.; Id., Papstabsetzungen des Mittelalters, 2. Teil: Die Zeit der Ottonen, ibid., LXIX (1961), pp. 250 ss., 284 ss.

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