ADRIANO VI, papa
Adriano Florisz (figlio di Fiorenzo) nacque ad Utrecht il 2 marzo 1459 da Fiorenzo Boeyens, falegname specializzato in costruzioni navali. Mortogli assai presto il padre, fu dalla madre, Geltrude, inviato presso i Fratelli della Vita comune, che gli ispirarono quel sentimento religioso e quella severa concezione della vita, rimasti anche in seguito costanti fondamentali del suo agire.
Terminato il primo ciclo di studi presso i Fratelli, A. entrò all'università di Lovanio nel 1476, ove studiò per due anni filosofia e per dieci teologia e diritto canonico. Quindi, fra il 1491 e il 1492, insignito del dottorato, ottenne, per il favore della vedova di Carlo il Temerario, Margherita di York, una cattedra di filosofia nella stessa università, di cui fu anche cancelliere nel 1493 e nel 1501; ebbe poi la parrocchia di Goedereede e nel 1497 il titolo di decano della chiesa di San Pietro di Lovanio. Le sue lezioni universitarie erano seguite da scelti ascoltatori, fra i quali si trovò anche Erasmo da Rotterdam. Ad Erasmo, A. pensò per l'offerta di una lezione pubblica (1502), che l'umanista rifiutò.
Questo periodo di successo accademico coincise con un'intensa produzione di commento ed esegesi di teologia morale: nel 1515 apparvero a Lovanio le sue dispute scolastiche sotto il titolo di Quaestiones quotlibeticae e l'anno seguente, a Parigi, il In quartum Sententiarum praesertim circa sacramenta..., che ebbero in seguito più ristampe.
In questi ed in altri lavori, come anche nelle prediche, A. dimostra dottrina e notevole abilità dialettica, ma scarsa profondità di pensiero nell'applicazione piuttosto meccanica degli schemi scolastici. Sarà più tardi sfruttata dai giansenisti la sua opposizione alla dottrina dell'infallibilità papale, espressa in un passo del In quartum Sententiarum.
L'opinione assunse certo rilievo polemico per l'ascesa di A. al pontificato piuttosto che per novità o originalità di formulazione, non distaccandosi da un atteggiamento abbastanza comune nell'ambiente lovaniense del tempo; e in genere A. non si allontanò dalle opinioni correnti fra i gruppi riformatori dell'epoca, limitandosi ad affermare la necessità di una vita pura per il clero ed a protestare contro la dilagante simonia.
Scarsamente sensibile alle correnti più moderne del Rinascimento tedesco, fu dalla parte dei domenicani di Colonia, avversari di Giovanni Reuchlin nella celebre controversia sul carattere e sull'importanza dello studio dell'ebraico. Anzi A. assicurò il proprio appoggio all'antagonista del Reuchlin, J. Hochstraten, inquisitore di Magonza, Colonia e Treviri, e si adoperò apertamente a suo favore al tempo della decisione romana (1514-20), con varie lettere ai cardinali P. Carvajal e P. Accolti.
Intorno al 1507 l'imperatore Massimiliano gli affidò l'educazione di suo nipote, il futuro Carlo V; e nel 1515 la principessa Margherita, che già gli aveva mostrato il suo favore, lo chiamò a far parte del suo consiglio. Nello stesso anno A. fu nominato commissario per l'indulgenza che Carlo V aveva ottenuto da Leone X. Ma una svolta decisiva nella sua vita fu l'incarico politico e diplomatico che il Chièvres gli affidò nell'autunno del 1515: A. passò in Spagna col difficile compito di assicurare a Carlo, suo allievo, l'eredità al trono e di assumere, in caso di necessità, personalmente la responsabilità del governo. In un paese estraneo e nuovo, trovò un insperato protettore e alleato nel cardinale F. Ximenes, cui l'univa la comune aspirazione di riforma nell'ambito della Chiesa; e insieme ressero lo stato dopo la morte di Ferdinando il Cattolico (gennaio 1516).
Nel giugno del 1516 A., della cui collaborazione anche Carlo faceva gran conto, fu eletto vescovo di Tortosa, e nel novembre dello stesso anno inquisitore di Aragona e Navarra. Carlo V riuscì ad ottenere da Leone X nella creazione cardinalizia del 1luglio 1517 l'elevazione di A. alla porpora, e dopo la morte dello Ximenes, avvenuta nel novembre 1517, lo lasciò solo al governo della Spagna sino al suo arrivo, seguito di lì a poco; il 3 marzo 1518 lo nominò inquisitore anche di Castiglia e di León e nel maggio 1520, al momento del suo ritorno nei Paesi Bassi, suo luogotenente generale. A., però, restava sempre distaccato per abito e capacità dalla vera e propria azione politica; e nel fronteggiare la rivolta dei "Comuneros" scoppiata in Castiglia si mostrò assai indeciso tanto che Carlo gli affiancò, quale reggente, l'energico connestabile di Castiglia Iñigo Velasco. Egli era ancora luogotenente, quando in Roma, il 1 dicembre 1521, morì il pontefice Leone X.
Il conclave, iniziatosi il 27 dic. 1521, in un momento di grave tensione politica e di difficoltà finanziarie per lo Stato pontificio, era diviso e incerto: ai cardinali "imperiali", guidati da Giulio de' Medici, che costituivano un terzo dei voti, si contrapponevano quelli filofrancesi e veneziani, tra cui più influenti F. Soderini e P. Colonna, e in genere i cardinali anziani (creati da Alessandro VI e Giulio II), molti dei quali aspiravano al pontificato, ostili tutti al giovane e ambizioso Medici. Questi appoggiò la candidatura di A. Farnese fino al decimo scrutinio. Constatata l'impossibilità di una tale elezione, lo stesso Medici il 9 genn. 1522, all'undecimo scrutinio, propose il nome di A., assente, che ottenne quindici voti, pari a quelli toccati allo spagnolo B. Carvajal.
Determinante per l'elezione di A. fu allora l'accessio del cardinale Caetano, Tommaso de Vio, che aveva personalmente conosciuto il vescovo di Tortosa. Aderirono subito dopo il Colonna e gli altri. Il nome di A. non dovette sorgere all'improvviso nelle trattative del lungo conclave, se già il 28 dicembre tra l'ambasciatore spagnolo J. Manuel e il cardinale Medici si era convenuto di indirizzare eventualmente i voti "imperiali" sul vescovo di Tortosa. Lo proverebbe anche il fatto che A. risultò terzo al quinto scrutinio (3 genn. 1522) dopo Soderini e Fieschi, sebbene il Medici poi preferisse puntare piuttosto sulla elezione di un cardinale presente. Così l'adesione del Caetano, pur dichiarata solo in ultimo, sarebbe stata preceduta fin dai primi giorni da una effettiva azione a favore di A., stando ad una lettera del Caetano stesso al gran cancelliere di Carlo V, Mercurino di Gattinara, del 12 genn. 1522 (cfr. anche Pasolini, p. 12, nota). Il Medici avrebbe quindi fatto il nome di un candidato sul quale si prevedeva sicura l'adesione del Caetano, tanto più importante in quanto questi si era mostrato tenacemente avverso al gruppo mediceo.L'elezione al pontificato di A. provocò diverse reazioni: ostilità da parte dei Romani, perché era stato eletto uno straniero, un barbaro (e l'ostilità dei Romani e degli Italiani nei riguardi di A. sarebbe poi aumentata, col tempo); timori fra gli stessi cardinali, in parte antimperiali, per l'elezione di una creatura di Carlo V e per le possibili conseguenze del loro gesto; preoccupazioni negli ambienti di Curia per la fama di austerità del nuovo pontefice; aperta esultanza da parte imperiale; malcelata ostilità dei Francesi, che contavano almeno, per la lontananza di A. da Roma, su un protrarsi dell'interregno.
I continui differimenti della partenza di A. per l'Italia, dovuti in parte alla instabilità della situazione politica, in parte a motivi economici e al pericolo turco nel Mediterraneo, il ritardo dei legati da Roma per la pubblica accettazione della elezione da parte del pontefice, il rifiuto dell'invio dell'anulus piscatoris per timore che A. fissasse definitivamente la sua residenza in Spagna, furono tutti sintomi della difficile situazione, tra il febbraio e il giugno 1521.
Se il governo dello Stato pontificio nel periodo di sede vacante diveniva ogni giorno più arduo, il problema dei rapporti con Francia e Spagna si complicava nella incertezza della posizione del neoeletto. Ma alle pressioni e richieste da parte imperiale per la partecipazione alla lega antifrancese, A. rispose con fermezza, rivendicando l'indipendenza della sua altissima funzione.
Imbarcatosi infine nel luglio del 1522, evitando accortamente un incontro personale con Carlo V, giunto in terra spagnola, A. sbarcò a Civitavecchia il 25 agosto.
Il 29 era a San Paolo, alle porte di Roma, mentre nella città infuriava la peste. Il 31, fra l'esultanza di buona parte della popolazione, stanca dell'interregno, egli venne finalmente incoronato in San Pietro.
Grande era l'aspettativa per i primi atti del nuovo papa, del quale in Roma assai poco si sapeva. Un compito immenso attendeva A.: il riordinamento dello Stato della Chiesa con la grave questione delle terre pontificie occupate dagli Estensi, Baglioni, Della Rovere e Malatesta; la lotta contro la riforma luterana che si espandeva rapidamente in Germania con l'appoggio dei principi; il tentativo di giungere alla pace tra Francesco I e Carlo V e di unire le forze cristiane contro il pericolo turco, che premeva minaccioso nei Balcani e nel Mediterraneo. A. si mostrò deciso ad affrontare prima di tutto i problemi della Curia e della riforma del clero.
Già in due memoriali inviati al nuovo pontefice, ancora in Spagna, dai cardinali M. Schiner e L. Campeggio erano stati considerati i punti dolenti della organizzazione amministrativa e finanziaria romana: dallo Schiner la necessità di una limitazione delle spese di corte, l'abolizione della venalità degli uffici, la riduzione del numero dei penitenzieri e dei referendari, la opportunità di entrate fisse per gli impiegati di Rota; dal Campeggio soprattutto la complessa materia beneficiaria, i poteri della Dataria e gli abusi delle indulgenze. Urgeva particolarmente un rinvigorimento del meccanismo burocratico e dell'erario quasi esaurito.
L'inizio del governo di A. confermò le attese o i timori seguiti all'elezione: furono modificate le regole della Cancelleria, ridotti vari privilegi cardinalizi e nominati il Campeggio alla Segnatura di giustizia e l'Enkevoirt, che godeva la piena fiducia di A., alla Dataria. Nel primo concistoro del 1 sett. 1522 A. si mostrò severo per l'amministrazione della giustizia e per la condotta dei cardinali e iniziò la riforma della Rota, comminando la perdita dell'ufficio agli uditori indegni e venali. Seguì presto la diminuzione del numero dei referendari di Segnatura.
Gli interessi offesi dai provvedimenti, che tentavano di correggere abusi antichi e recenti, si coalizzarono rapidamente tanto più che, se l'opera di riorganizzazione e di riforma dovette segnare il passo per la peste tra l'estate e l'inverno del 1522, riprese nel dicembre col ritiro degli indulti concessi da Innocenzo VIII in poi al potere civile circa la presentazione e nomina a benefici ecclesiastici, perché direttamente la S. Sede ne potesse curare la provvisione. Pur limitata dai concordati conclusi con vari paesi, l'intenzione di circoscrivere gli eccessi in questo settore portò nel gennaio 1523 alle particolari disposizioni, impartite alla Segnatura, di concedere benefici solo a persone degne. Seguirono, nel febbraio, la nomina di una congregazione cardinalizia per l'abolizione degli uffici creati da Leone X e, nell'aprile, un'ulteriore diminuzione delle spese della già ridotta corte personale del pontefice.
Più cauto fu A. nello spinoso problema delle indulgenze, nonostante le esortazioni di Giovanni Maier (detto Eck dal luogo di nascita), fervente cattolico riformatore, giunto in missione a Roma nel marzo 1523.
Dove A. però incontrò ostacoli insuperabili fu nella riforma della Dataria, le cui complesse ramificazioni ben difficilmente potevano essere all'improvviso modificate senza gravi ripercussioni a danno del già dissestatissimo erario.
Il rigore verso gli eccessi mondani soliti alla corte di Leone X, l'ostilità di A. verso molti cardinali, che mal si adattavano alla nuova atmosfera di austerità e di controllo, l'incertezza che egli mostrava nel decidere le questioni sottopostegli e la lentezza, dovuta forse a imperizia dei suoi collaboratori più vicini suscitarono altre critiche e malcontento. Ma ciò che eccitò la più viva animosità contro il nuovo papa fu il suo atteggiamento verso gli artisti e letterati e in genere verso quel mondo di cultura e di gusto così in auge sotto il predecessore.
A., nella sua propensione per lo studio appartato e la meditazione, nella severa pietà individuale, nella sua incomprensione dell'arte e della poesia, rappresentava, per i contemporanei, il contrasto più netto col mecenatismo e lo splendore del pontificato mediceo. Chiuso sostanzialmente al mondo italiano, di cui per altro ignorava la lingua, A. amò circondarsi di consiglieri tedeschi e olandesi, il già ricordato datario G. van Enkevoirt, Dirk van Heeze, segretario della Cancelleria, il referendario G. Winkler; e spagnole furono le sue guardie del corpo. Rimase così isolato nella sua opera o coadiuvato da pochi (tra gli italiani, il Caetano, il Campeggio, e G. P. Carafa e T. Gazzella da lui chiamati quasi alla fine del suo pontificato), pieno di diffidenza verso un ambiente che a sua volta lo sentì estraneo.
Problemi più ampi esigevano parimenti l'intervento di A. e primo in ordine di tempo la questione luterana. Nei riguardi di Lutero, A., da cardinale, aveva assunto posizione, aderendo con una lettera del 4 dic. 1519 alla censura dell'università di Lovanio; e in occasione della dieta di Worms aveva, con ferme parole, invitato Carlo V a sostenere i diritti della Chiesa. Somma preoccupazione, da pontefice, fu di giungere al componimento della vcrtenza con gli Stati tedeschi, al soffocamento dell'eresia luterana, ad una grande riforma del clero tedesco. Alla dieta di Norimberga, apertasi il 1 Sett. 1522, A. inviò F. Chieregati, già nunzio in Inghilterra per Leone X, nominato vescovo di Teramo e nunzio in Germania, con l'incarico di ottenere la piena applicazione dell'editto di Worms. Il Chieregati solo il 10 dicembre poté affrontare il problema luterano e il 3 genn. 1523 lesse le istruzioni papali a lui dirette e un breve alla dieta, rinnovando le richieste del pontefice.
Nelle istruzioni al nunzio, variamente discusse poi in sede storiografica per il loro significato e la loro opportunità nel difficile momento religioso-politico, A. si appellava alla "sua" nazione tedesca per la repressione dell'eresia, riconoscendo al tempo stesso coraggiosamente gli abusi della corruzione romana, di cui prometteva lenta, ma sicura riforma.
Nel breve agli Stati insisteva sulla pacificazione dei disordini in Germania, sulla concordia dei principi cristiani e sulla lotta contro i Turchi.
Le speranze di A. andarono completamente deluse: non solo la dieta, il 5 febbraio, dichiarò impossibile l'applicazione della sentenza contro Lutero, realizzando il tentativo, fallito a Worms, di abbinare la discussione sulla questione luterana alla riforma della Chiesa, ma richiese anche la convocazione di un concilio in terra tedesca entro un anno, promettendo solo, nell'attesa, di porre qualche freno alla predicazione luterana, ed espresse la consapevolezza della nazione germanica di fronte all'oppressione curiale, rivendicando a favore del tesoro imperiale le annate concesse alla S. Sede. Il Chieregati abbandonò la dieta (16 febbr. 1523) prima del completamento della stesura dei Centum gravamina che furono inviati ad A. nel giugno 1523.
Quasi contemporaneamente al tentativo di una soluzione diretta del problema luterano e più ancora quando si delineò l'insuccesso dell'iniziativa e il passaggio ufficiale della riforma dal piano religioso al piano politico, A. cercò, senza successo, di legare più profondamente alla Chiesa romana quel settore sempre incerto tra aspirazioni di riforma e atteggiamenti irenici di fronte alla frattura religiosa, impersonato da Erasmo.
L'iniziativa era partita dallo stesso Erasmo. Questi il 1 ag. 1522 dedicava ad A. l'edizione delle opere di Arnobio, rivolgendosi al pontefice teologo e uomo di vita interiore, cui ricordava la patria comune e l'antica familiarità, con la speranza che egli riportasse alla pace il mondo cristiano. Alcune settimane più tardi egli rinnovava più forte l'appello al papa.
Del 1 dicembre è il breve di risposta che rivolgeva ad Erasmo l'invito di impegnarsi vivamente nella confutazione della dottrina luterana e di trasferirsi a Roma per la composizione dell'opera. Il breve giunse ad Erasmo, che aveva già pensato di presentarsi al papa, solo nel maggio 1523; il ritardo e il timore di essere in sospetto presso A., come era stato presso Leone X, lo avevano indotto il 22 dicembre a inviare un altro esemplare di Arnobio e un'altra lettera con l'offerta di un programma di pacificazione religiosa.
A. rispose il 23 genn. 1523 rinnovando il suo invito. Da A., e dall'ambiente a lui più vicino, si era accettato in tal modo il punto di vista dell'Aleandro, il quale da tempo reclamava nei suoi contrasti con l'umanista olandese la fine di ogni esitazione e l'intervento aperto contro Lutero. Ma Erasmo, nel suo tentativo di condurre una riforma pacifica con l'aiuto dell'autorità, sperò ancora che A. potesse aderire alle posizioni dell'evangelismo umanistico e scrisse confidenzialmente il 22 marzo, declinando l'invito di impegnarsi nella controversia antiluterana, invocando la pacificazione religiosa attraverso la garanzia di prossime riforme e sottoponendo al pontefice, che sarebbe dovuto diventare il fautore di quella "libertà" cristiana già definita nell'Enchiridion, la proposta di una riunione di laici ed ecclesiastici dotti e moderati, di un'assemblea religiosa di tipo nuovo, che avrebbe cercato i punti di intesa tra le opposte intransigenze.
A. non rispose, né poteva accettare in tutti i suoi termini il progetto erasmiano che significava la rottura con una linea di azione sino allora seguita; e il silenzio segnò la fine del tentativo, in coincidenza con la presenza a Roma di G. Eck, il principale contradittore di Lutero e il più stretto difensore in Germania della teologia tradizionale, che presentò ad A. un più energico piano di riforma. Ed Erasmo, da parte sua, che aveva contato sulla volontà di riforma di A., sul suo riconoscimento degli abusi curiali, vide con estrema diffidenza l'alleanza del papa con Carlo V (agosto 1523), che segnava il ritorno, dopo le speranze iniziali, alla politica di Leone X.
A., nelle ultime settimane di pontificato, sembrò inclinare di nuovo alle soluzioni dell'evangelismo erasmiano: il 23 sett. 1523 E. Filonardi, nunzio presso i Cantoni svizzeri, chiedeva ad Erasmo di definire il progetto avanzato nella lettera del marzo per presentarlo al papa, di cui si ignorava la morte. Né maggior fortuna ebbero i tentativi di A. nei riguardi di Zwingli, che il nunzio E. Filonardi, munito di una lettera papale promettente maggiori dignità ecclesiastiche, avvicinò e tentò di guadagnare alla sua opera diplomatica per la neutralità degli Svizzeri e per la stipulazione di un'alleanza tra Svizzera e S. Sede in caso di invasione francese. Appunto allora, nella riunione di Zurigo (primavera del 1523), Zwingli iniziava il suo distacco da Roma. Anche i rapporti tra Roma e i paesi scandinavi precipitarono rapidamente durante il pontificato di Adriano.
Il Magni, in missione presso Gustavo Wasa, non riuscì ad ottenere la proibizione della predicazione luterana; e il delicato problema della provvista dei vescovadi svedesi, inserendosi nella lotta tra Gustavo Wasa e Cristiano di Danimarca, portò all'urto decisivo quando il re richiese la deposizione dell'arcivescovo di Upsala, Gustavo Trolle, quale fautore del re danese. Il rifiuto di A. provocò allora la rottura (settembre 1523).
In sostanza la politica di A. verso la riforma fu contrassegnata da una serie di insuccessi, né l'attività del pontefice, pur vigile, poteva fronteggiare validamente un mondo in pieno fermento, verso il quale diversi erano ancora le valutazioni e gli atteggiamenti, una serie di fratture e un processo che andava svolgendo le premesse religiose e politiche da cui si era originato.
A. intanto lavorava all'altro grande tema della sua politica: la pace nella Cristianità quale preludio alla crociata contro i Turchi, sempre più minacciosi. Egli pensò a pacificare lo Stato della Chiesa per non avere preoccupazioni interne e per poter contare su vassalli fedeli o almeno neutrali. A questo fine sostituì molti governatori che avevano suscitato lagnanze nelle popolazioni, si riconciliò con gli Este e col duca d'Urbino, fece tornare in Perugia i Baglioni, scacciò i Malatesta da Rimini. Ma molto più difficile era trovare una formula di compromesso che permettesse l'inizio di trattative dirette fra Francesco I e Carlo V, la cui alleanza era necessaria per salvare Rodi, assediata dalle forze di Solimano, e respingere i Turchi.
All'atteggiamento conciliativo da parte di Francesco I in un momento di svantaggio, dopo la sconfitta alla Bicocca e la perdita di Genova (primavera del 1522), si contrapponeva l'ostilità di Carlo V, accentuatasi nel corso dell'anno quando A. resistette chiaramente alle pressioni imperiali, confermando la sua neutralità.
La caduta di Rodi (21 dic. 1522) - ma la notizia giunse a Roma solo alla fine del gennaio 1523 - determinò in A. un'attività intensa per la pacificazione tra i principi cristiani, delineata e condotta in vari concistori (11, 23 febbraio, 23 marzo 1523), mediante le lettere del 3 marzo a Carlo e ai re di Francia, Inghilterra e Portogallo, la bolla del 30 aprile prescrivente a tutta la Cristianità un armistizio triennale, la nomina del Caetano quale legato in Ungheria. La raccolta di mezzi finanziari per la lotta contro i Turchi indusse A. ad emanare due bolle, l'11 e il 18 marzo 1523, la prima per una decima sul clero e gli ufficiali dello Stato, la seconda per un nuovo contributo di focatico. Ampie concessioni al Wolsey facilitarono l'avvicinamento all'Inghilterra.
Al tempo stesso, mentre Carlo V, il quale era bloccato militarmente in Piccardia e nei Pirenei, inclinava alle trattative di pace, Francesco I si irrigidiva, ponendo come condizione preliminare la restituzione di Milano.
In questa situazione l'episodio della congiura del cardinale F. Soderini segnò una svolta nella politica di Adriano. Il Soderini, divenuto influente durante l'assenza del cardinale Medici dalla Curia, aveva agito accortamente in senso filo-francese, profittando degli urti tra A. e Carlo V e dell'atteggiamento più conciliativo della Francia. Nel marzo 1523 il Medici, da Firenze, denunziava ad A. l'esistenza di una congiura guidata dal Soderini favorevole a Francesco I ed estendentesi con le sue ramificazioni in tutta Italia, ad appoggio di un'invasione francese dalle Alpi. Il ritorno del Medici a Roma (23 apr. 1523), l'arresto e il processo del Soderini mutarono profondamente le direttive e la vita della Curia e spinsero A. a sentimenti più favorevoli verso Carlo V.
Il 29 luglio si concludeva la pace tra Venezia e Carlo V e si stipulava un'alleanza tra Carlo, il fratello Ferdinando, Venezia e Milano, per la quale A. molto si era adoperato. Il cambiamento dei rapporti di forza in Italia, provocò la reazione di Francesco I, che rispose in maniera durissima alla bolla papale del 30 aprile.
L'urto con la Francia e le pressioni del Medici, degli inviati spagnoli e inglesi indussero A., timoroso anche di un'invasione francese in Italia, ad abbandonare la neutralità e ad entrare nella lega difensiva antifrancese, impegnandosi il 3 ag. 1523 a pagare mensilmente 15.000 ducati per la guerra contro Francesco I. Tramontavano così le aspirazioni e i programmi di pace di Adriano.
La salute di A., già cagionevole per il clima di Roma e per l'eccessivo lavoro, peggiorò rapidamente ai primi di agosto; verso la metà del mese parve migliorare, tanto che il papa tornò a dir messa e a dare udienza. Ma al principio di settembre gli giunsero le prime notizie sulla guerra in Lombardia, mentre in Vaticano era venuto a rifugiarsi il vinto di Rodi, Villiers de l'Isle Adam, testimonianza vivente della minaccia turca.
A. s'ammalò di nuovo; il 9 settembre era già grave; il 10, riuniti i cardinali nella propria camera, riuscì ad ottenere il consenso all'elevazione alla porpora dell'Enkevoirt. Morì il 14 sett. 1523 e fu sepolto in Santa Maria dell'Anima, dove l'Enkevoirt gli fece erigere un sontuoso monumento funebre.
Fonti e Bibl.: Le fonti sono indicate da L.v. Pastor, Storia dei Papi, IV, 2, Roma 1912, pp. 3-148, nel capitolo dedicato ad A.; H. Jedin, Geschichte des Konzils von Trient, I, Der Kampf um das Konzil, Freiburgi, Br. 1951, pp. 165-168, 169, 170, dà una valutazione complessiva del pontificato di A. riguardo al problema del concilio, indicando alle pp. 522-525 le fonti e la più recente bibliografia; tra le fonti si vedano in particolare: G. Morinck, Vita Hadriani Sexti P.M.... [Lovanii 1536]; Pauli Iovii De vita Leonis Decimi... Libri IIII. His ordine ternporum accesserunt Hadriani sexti... et Pompei Columnae cardinalis vitae..., Florentiae 1548; ristampate con altri documenti riguardanti A. in K. Burmann, Hadrianus VI, sive Analecta historica de Hadriano sexto..., Traiecti ad Rhenum 1727, la prima raccolta organica di fonti volte ad illustrare la vita e il pontificato di A.; utile per la formazione e gli orientamenti teologici di A. è la raccolta di E. H. J. Reusens, Syntagma doctrinae theologicae Adriani VI. P.M., Lovanii 1862; per il conclave, cfr. Pasquinate di Pietro Aretino ed anonime per il conclave e l'elezione di Adriano VI, pubblicate e illustrate da V. Rossi, Palermo-Torino 1891; per il pontificato di A., A. Mercati, Diarii di concistori del pontificato di Adriano VI, in Dall'Archivio Vaticano, Città del Vaticano 1951, pp. 83-113; per i rapporti con Carlo V, cfr. E. Gachard, Correspondance de Charles-Quint et d'Adrien VI..., Bruxelles 1859; per la corrispondenza con Erasmo, cfr. l'Opus Epistolarum Des. Erasmi Roterodami, a cura di P. S. Allen, V, Oxonii 1924; monografie: K. v. Hofler, Papst Adrian VI, 1522-1523, Wien 1880; D. Huurdeman, De Nederlandsche Paus Adriaan VI, Amsterdam 1908; G. Pasolini, Adriano VI, Roma 1913; cenni su A. sono in: H. De Jongh, L'ancienne faculté de théologie de Louvain au premier siècle de son existence (1432-1540), Louvain 1911, particolarmente le pp. 94, 95, 96, 97, 98, 99, 112, 114, 148, 163, 212, 220; L. Geiger, Johan Reuchlin. Sein Leben und seme Werke, Leipzig 1871, pp. 305, 312, 421, 422, 441, 451; K. Brandi, Kaiser Karl V, I, München 1942, pp. 52, 63 s., 80 s., 125, e pp. 143-145, 174-181 per il pontificato di A. e le vicende politiche europee; cfr. E. Renaudet, Études érasmiennes (1521-1529), Paris 1939, pp. 6, 34, 89-91, 201-209, 211-213; Id., Erasme et l'Italie, Genève 1954, pp. 137, 153-154, 157-159, 175 s., 188, 229; K. Schäitti, Erasmus Von Rotterdam und die römische Kurie, Basel 1954, pp. 94-114, per i rapporti di A. con Erasmo; un breve profilo di A. è anche in J. Schmidlin, Geschichte der deutschen Nationalkirche in Rom. S. Maria dell'Anima, Freiburgi, Br. und Wien 1906, pp. 264-272; studi particolari: per l'adesione alla censura lovaniese contro Lutero, C. J. N Bottemanne, De Brief van den Kardinaal van Tortosa (Paus Adrian VI) aan de theologische Fakulteit van Leuven, in De Katholiek, n. s., XVI (1882), pp. 11-22 (la lettera è alle pp. 20-22); per gli orientamenti teologici di A., W. Lampen, Paus Adriaan VI, over de veelvondige communio, ibid. CLXIV (1923), pp. 137-145; B. Kurtscheid, De obligatione sigilli confessionis iuxta doctrinam Adriani VI, in Antonianum, I (1926), pp. 84-101; per il suo atteggiamento riguardo l'infallibilità papale, cfr. C. Fea, Difesa istorica del papa Adriano VI nel punto che riguarda la infallibilità de' sommi pontefici in materia di fede, Roma 1822; A. è soltanto ricordato da A. M. Lanz, L'autorità e l'infallibilità del Papa nella dottrina lovaniese del sec. XVI, in Gregorianum, XXIII (1942), pp. 349, 351, nota 9, e un brevissimo cenno della questione è in Dict. de Théol. Cath., sub voce Adrien VI (di J. Forget), col. 461 e sub voce Infaillibilité du Pape (di E. Dublanchy), col. 1687; sul governo di A. in Spagna, A. M. Albareda, Adrià VI i els conselles de Barcelona 1522, in Analecta sacra Tarraconensia, XI (1935), pp. 235-249; sull'elezione, su alcuni aspetti del pontificato di A., sui suoi collaboratori, P. Kalkoff, Kleine Beiträge zur Geschichte Hadrians VI, in Historisches Jahrbuch der Görresgesellschaft, XXXIX (1918-19), pp. 31-72; sulla riforma della Curia, E. Göller, Hadrian VI und der Aemterkauf an der päpstlichen Kurie, in Festgabe Finke, Freiburg 1925, pp. 375-407; per i rapporti con gli agostiniani, A. De Meyer, Adriaan Florisz. van Utrecht in zijn contacten met de Augustijnen, in Archief voor de Geschiedenis van de katholieke kerk in Nederland, II (1960), pp. 1-72; si v. anche Encicl. Ital., Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., Encicl. Cattolica.