PAOLO VENEZIANO
(Paolo da Venezia). – Non si conosce la data di nascita di questo pittore veneziano, figlio di Martino, artista sul quale non si hanno ulteriori notizie.
Fu attivo tra il 1333, quando firmò il polittico per la chiesa di S. Lorenzo a Vicenza (Vicenza, Musei civici, Pinacoteca di Palazzo Chiericati), e il 1358, data riportata sull’Incoronazione della Vergine oggi nella Frick Collection di New York.
Personalità di spicco del Trecento veneziano, Paolo affonda le radici del suo linguaggio figurativo in una cultura essenzialmente bizantineggiante, di matrice paleologa, ma rinnovata in senso gotico, con grande attenzione all’uso decorativo della linea e del colore acceso e brillante, fino ad arrivare, nella fase finale della sua carriera, a superfici sontuosamente materiche e a figure allungate ed eleganti, tali da preludere al gotico internazionale.
La ricostruzione della personalità artistica e del catalogo di Paolo Veneziano, a partire dai dipinti firmati e dai pochi documenti superstiti, si deve principalmente ai contributi di Evelyn Sandberg Vavalà (1930), Viktor Lazarev (1954), Rodolfo Pallucchini (1964), Michelangelo Muraro (1969), Francesca Flores d’Arcais (1992, 1996, 2002) e Filippo Pedrocco (2003). Per una parte della critica (Fiocco, 1930-1931; Longhi, 1946; Pallucchini, 1964; Flores d’Arcais, 2002; Boskovits, 2009A e 2009B) Paolo sarebbe nato intorno al 1290 e avrebbe avuto degli inizi ‘continentali’ influenzati dal Giotto padovano e dai maestri riminesi (in particolare, Giuliano e Pietro da Rimini), che del potente dettato dell’artista toscano diedero una versione coniugata alla preziosità ed eleganza dell’area adriatica; di questa confluenza di linguaggi si ritroverebbe testimonianza nel paliotto con Storie del beato Leone Bembo, opera ascrivibile dunque alla prima fase del pittore, recante la data 1321 e oggi nella parrocchiale di S. Biagio a Vodnjan (Dignano), ma proveniente dalla cappella di S. Sebastiano a Venezia (soppressa nel 1810).
Si accostano stilisticamente alla tavola di Dignano: le due figure di offerenti (il podestà Andrea Memmo e la moglie) dipinte ai lati del bassorilievo ligneo con S. Donato, posto al centro dell’ancona (datata 1310), nella chiesa dei Ss. Maria e Donato a Murano; gli sportelli laterali con figure di santi del trittico con Storie di s. Chiara (Trieste, Civico Museo Sartorio, dal monastero di S. Cipriano); il Polittico di s. Lucia (Veglia, o Krk, Vescovado); cinque tavolette con Storie della Vergine (Pesaro, Museo civico); il Paliotto con storie di s. Orsola (Firenze, coll. Volterra, già Parigi, coll. Queiroy, fig. in Pallucchini, 1964, fig. 42).
Un altro gruppo di studiosi (Lazarev, 1954; Muraro, 1969; Pedrocco, 2003) non concorda con l’ipotesi di un esordio legato ai modi dell’entroterra da parte di Paolo, che invece si sarebbe presentato sulla scena artistica lagunare già con quella condotta stilistica in equilibrio tra istanze gotiche e paleologhe quale si riscontra nel polittico di Vicenza, sua prima opera datata e firmata (MCCCXXXIII PAULUS D[E] VENECIIS PI[N]XIT H[O]C OPUS). Di questo dipinto, eseguito per la chiesa francescana di S. Lorenzo a Vicenza, con «il felicissimo passaggio di Nostra Signora del Cielo, e da un parte e dall’altra […] l’immagini di san Michele arcangelo, e altri nove, tra santi e sante» (anonima nota seicentesca in Fossaluzza, 2000, p. 38), sono rimasti tre scomparti, montati a trittico, con la Dormitio Virginis, S. Francesco e S. Antonio (Vicenza, Musei civici, Pinacoteca di Palazzo Chiericati).
Filippo Pedrocco (2003, pp. 54, 134-137) ha proposto di inquadrare come dipinto giovanile di Paolo, negli inoltrati anni Venti del Trecento, il bizantineggiante Polittico con storie della Vergine (Venezia, chiesa di S. Pantalon), segnalato da Pallucchini (1964, p. 21), ma cauti si sono mostrati in tal senso Flores d’Arcais (2002, p. 22), Guarnieri (2007, p. 170) e Boskovits (2009A, p. 28, n. 21).
Coevo all’opera vicentina era un altro dipinto, perduto, raffigurante la Morte di s. Francesco, firmato PAULUS VENETUS FECIT HOC OPUS MCCCXXXIII e attestato nel 1650 nella collezione del conte Girolamo Gualdo (Testi, 1909, p. 192).
Il primo documento riguardante Paolo Veneziano è un promemoria del 1335, redatto dal notaio trevigiano Oliviero Forzetta (in Muraro, 1969, pp. 86 s.), il quale annotava che a Venezia, presso S. Maria de’ Frari, dimoravano due fratelli pittori, Marco e Paolo («magister Marcus pictor […] qui […] habet unum fratrem nomine Paulum pictorem»): il primo aveva eseguito delle pitture su tela alla maniera ‘tedesca’ («pannos Theutonicos») per S. Francesco a Treviso e per la stessa S. Maria de’ Frari, chiesa per la quale aveva anche realizzato delle vetrate («fenestre vitree»); il secondo possedeva invece dei disegni («habet in carta designatam») con la Morte di s. Francesco e la Dormitio Virginis, che riprendevano le opere di Treviso («sicut pictae sunt ad modo Theutonicum in panno ad locum minorum in Tarvisio»). Marco, l’unico a essere indicato nel promemoria con la qualifica di «magister», fu probabilmente fratello maggiore di Paolo e capo di una bottega specializzata nella maniera ‘tedesca’, ossia gotica (Pedrocco, 2003, pp. 57-61), ma è stato obiettato che la locuzione «ad modo Theutonicum», presente nel documento, potrebbe indicare anche un particolare tipo di ricette e accorgimenti importati dai Paesi germanici (Marchi, 1988, p. 10).
Al 25 febbraio 1339 risale un altro documento riguardante Paolo: un atto di vendita di un terreno portato in dote dalla moglie Caterina Baldoino dal quale si evince che «magister Paulus pictor, filius quondam Martini pictoris» aveva ormai avviato la sua attività in proprio nella parrocchia di S. Luca a Venezia (doc. in Pedrocco, 2003, p. 54).
La firma di Paolo ricompare, insieme alla data (PA[ULUS] MCCCXL M[ENSE] AG[USTI] HA[NC] PI[NXIT]), nella Madonna col Bambino in collezione Crespi a Milano (fig. in Pedrocco, 2003, p. 167), un’opera probabilmente parte di un complesso di maggiori dimensioni nella quale prosegue e risulta più evidente la ricerca dell’artista in direzione gotica.
Tra il polittico di Vicenza (1333) e la Madonna Crespi (1340) sono stati scalati alcuni dipinti attribuiti a Paolo su base stilistica: la Madonna in trono col Bambino e due committenti (Venezia, Gallerie dell’Accademia), l’Altarolo a trittico con la Crocifissione (Parma, Galleria nazionale), due ali di trittico portatile con i Ss. Giorgio, Giovanni Battista, Michele Arcangelo, Francesco, Barbara, Antonio Abate (recto), Cristoforo e Biagio (verso) (Worcester, MA, Art Museum), una Crocifissione (Washington, National Gallery of art), una Madonna col Bambino (Padova, Museo diocesano, da Padova, Casa del clero), un’altra Madonna col Bambino (Venezia, Gallerie dell’Accademia, da Venezia, convento di S. Alvise, già Venezia, chiesa di S. Lucia), recante una data lacunosa (MC[…]XXX[…]).
Non lontana da questo insieme di opere è anche la tavola in forma di lunetta sovrastante il Monumento funerario del doge Francesco Dandolo (Venezia, S. Maria Gloriosa de’ Frari) nella quale sono raffigurati Francesco Dandolo ed Elisabetta Contarini presentati alla Vergine con il Bambino da s. Francesco e s. Elisabetta d’Ungheria. Riferito a Paolo da Sandberg Vavalà (1930), il dipinto è stato messo in relazione con il testamento del 26 ottobre 1339 (in Muraro, 1969, p. 40), con il quale il doge disponeva per sé e per la moglie la sepoltura ai Frari. Data l’importanza dei personaggi rappresentati, l’opera è stata considerata come una sorta di consacrazione per il maestro, che avrebbe così ricevuto dalla Serenissima il suo primo incarico ufficiale (Muraro, 1969, pp. 40-42, 145), ma si è proposta anche una committenza da parte dell’Ordine francescano titolare della chiesa lagunare (Pedrocco, 2003, pp. 164 s.).
L’animazione lineare, unita a forme maggiormente affusolate, la tavolozza accesa, simile nel rapporto timbrico alla Madonna Crespi, l’intensa dinamica dei gesti e degli sguardi segnano uno dei massimi raggiungimenti nell’arte di Paolo del quarto decennio.
Intorno alla seconda metà del quarto decennio gli studi più recenti (Pedrocco, 2003, pp. 152 s.; Boskovits, 2009A, p. 87, n. 13; ma già van Marle, 1924, p. 7) tendono a collocare il polittico, ancora di forte influenza paleologa, proveniente dalla chiesa veneziana di S. Chiara (Venezia, Gallerie dell’Accademia, conosciuto in letteratura anche come ‘polittico n. 21’), con al centro l’Incoronazione della Vergine e, nei laterali e nella cimasa, Storie di Cristo, Storie di s. Francesco e Storie di s. Chiara.
Parte della critica (Longhi, 1945-1946, in Pallucchini, 1964, p. 46; Flores d’Arcais, 1992, p. 40) aveva in precedenza datato il manufatto agli inizi del sesto decennio, interpretandolo come un momento di ritorno da parte del maestro a formule più bizantineggianti (Pallucchini, 1964, pp. 45-48) o come prodotto licenziato dalla bottega, meno aggiornata sui portati gotici (Sandberg Vavalà, 1930; Muraro, 1969, pp. 69 s.).
Il quarto decennio si conclude con un’opera di intenso lirismo (Pedrocco, 2003, pp. 158 s.), il Crocifisso della chiesa di S. Samuele a Venezia (oggi nella chiesa di S. Stefano a Venezia), attribuito a Paolo in maniera concorde e datato intorno al 1340.
Le tracce documentarie di Paolo Veneziano riprendono il 30 marzo 1341, quando, chiamato per una testimonianza, si dichiarò abitante nella contrada di S. Luca: «ego Paulus pictor Sancti Lucae testis subscripsi» (Muraro, 1969, p. 87). Qualche mese dopo, il 16 settembre 1342, un «ser Paulus pinctor» venne incaricato dagli ufficiali della Repubblica dell’apparato per la festa delle Marie «per singulos annos cum salario et provisione» (ibid., p. 87), ma non tutti gli studiosi sono d’accordo nel riferire al maestro questo documento, potendosi trattare forse anche di un omonimo decoratore di mobili (Lucco, 1986, p. 181; Pedrocco, 2003, p. 128 n. 25).
Con l’elezione a doge di Andrea Dandolo (1343-54), amico di Francesco Petrarca e fautore dell’eredità politica e culturale di Venezia nei confronti di Bisanzio (Belting, 2006), Paolo e la sua bottega ricevettero la prestigiosa commissione della Pala feriale (Venezia, basilica di S. Marco, Museo Marciano), atta a celare alla vista dei fedeli, durante i giorni non festivi, la Pala d’oro, posta sull’altare maggiore della basilica di S. Marco. Il 20 maggio 1343 furono stanziati, tramite i procuratori di S. Marco, 400 ducati d’oro (Muraro, 1969, pp. 87 s.), che servirono probabilmente non solo per il lavoro di restauro e ricollocazione del prezioso manufatto all’interno di un’intelaiatura orafa di gusto gotico, ma anche per l’esecuzione della tavola dipinta, di fatto consegnata il 22 aprile 1345, a firma di Paolo e dei figli Luca e Giovanni (MCCCXLV M[EN]S[IS] AP[RI]LIS DIE XXII MAG[ISTE]R PAULUS CU[M] LUCA ET IOH[ANN]E[S] FILIIS SUIS PINXERU[N]T HOC OPUS).
Nell’opera l’esempio delle iconostasi bizantine viene ravvivato dal movimento gotico, come si vede nelle immagini del registro superiore, con il Cristo passo, la Vergine addolorata e il S. Giovanni Evangelista affiancati dai Ss. Giorgio (identificato come Teodoro da Fiocco, 1965, p. 165 ma cfr. di Carpegna, 1951, p. 65, n. 6), Marco, Pietro e Nicola. Nella parte inferiore, le sette vivaci Storie di s. Marco sono ormai pienamente inserite nella temperie del naturalismo trecentesco.
Il 20 gennaio 1347 (20 genn. 1346 more veneto cfr. Pedrocco, 2003, p. 174) il pittore ricevette ulteriori 20 ducati d’oro per una tavola nella cappella di S. Nicola in palazzo ducale (Muraro, 1969, p. 88). All’ancona, perduta nell’incendio del 14 settembre 1483, sono state riferite da Rodolfo Pallucchini (1964, pp. 39 s.) due tavolette con Storie di s. Nicola (Firenze, Galleria degli Uffizi), opere che per Flores d’Arcais (1992, p. 34) e Boskovits (2009A, pp. 82 s.) potrebbero essere anticipate alla metà del terzo decennio del Trecento.
Altro punto fermo del catalogo di Paolo è la Madonna col Bambino e otto angeli (Cesena, Museo diocesano e della Cattedrale, dalla parrocchiale di S. Maria a Carpineta), firmata e datata 1347 (PAULUS DE VENECIIS PI[N]XIT MCCCXLVII), dove l’artista raggiunge una grande eleganza sottolineata da una fastosa ricchezza materica e da un grafismo lineare sempre più raffinato. Questa stessa sintassi stilistica si riscontra anche in due polittici, rivendicati al maestro da Sandberg Vavalà (1930): il primo, datato 1349, un tempo nella chiesa di S. Martino a Chioggia (Chioggia, Museo diocesano d’arte sacra), il secondo tuttora in S. Giacomo Maggiore a Bologna.
Accantonata dagli studi l’ipotesi di un viaggio a Costantinopoli, formulata da Fiocco (1930-1931), è ancora in discussione la possibilità di un soggiorno dell’artista e della sua bottega in Dalmazia: un’ipotesi che troverebbe riscontro documentario nel testamento dettato il 18 aprile 1352 da un certo Nikola Lukarić il quale ordinava a «magistro Polo [sic] pintori Veneti unum supraaltare [dossale] pro yperperis CL» (cit. in Muraro, 1969, p. 88) per la cappella di famiglia in S. Domenico a Ragusa (Dubrovnik). Il dipinto è perduto, ma nella stessa chiesa è presente, sull’arco trionfale, un grande Crocifisso, attribuito a Paolo da Gamulin (1965) e in probabile relazione con il testamento di tale Simun Rastić (pubblicato da Muraro, 1969, p. 88), il quale il 3 marzo 1348 legava 80 perperi ai frati domenicani per far dipingere un Crocifisso «aprovo al altar grande», nonché per comprare un’«ancona che sia in essa designata la Maestade et che sia posta sovra allo Crocifisso» (ibid., p. 88). La realizzazione dell’opera dovette concludersi entro il 1358, dal momento che nel febbraio di quell’anno era cessata la peste a Ragusa grazie all’ostensione in chiesa della sacra immagine (secondo quanto riportato da un cronaca settecentesca locale cfr. Pilo, 2005, p. 21 nota 2). Non è escluso che Paolo abbia realizzato per Dubrovnik un altro Crocifisso, commissionato dai francescani e poi rimosso a causa del terremoto del 1667, ma testimoniato da un disegno seicentesco (Pedrocco, 2003, p. 178). La maggioranza della critica colloca inoltre nel sesto decennio il Polittico della Crocifissione un tempo nella chiesa di S. Giovanni Evangelista ad Arbe (Rab, Museo della Cattedrale) e i Ss. Giovanni Battista, Caterina d’Alessandria, Agostino e Pietro (Chicago, Art Institute), parti di un insieme smembrato.
Due opere datate, attribuite da Sandberg Vavalà (1930), attestano ulteriormente il successo raggiunto dalla formula messa a punto dal maestro e dalla sua bottega in quegli anni: il polittico, proveniente dalla collezione romana del marchese Campana, con la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Francesco, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Antonio (Parigi, Musée du Louvre), del 1354, e quello con la Madonna col Bambino e otto santi un tempo nella collegiata di S. Giorgio a Pirano d’Istria (Trieste, Civico Museo Sartorio, in consegna da Roma, Museo nazionale del Palazzo di Venezia), del 1355.
A quest’ultimo è stata accostata da Morozzi (2005, pp. 106-08) una Crocifissione, sempre proveniente da Pirano (Trieste, Civico Museo Sartorio, in consegna da Roma, Museo nazionale del Palazzo di Venezia), che poteva completare il polittico nella parte alta.
L’ultima testimonianza riguardante Paolo Veneziano è l’Incoronazione della Vergine (New York, The Frick Collection), eseguita insieme al figlio Giovanni nel 1358 (MCCCLVIII PAULUS CUM IOHANINUS EIU[S] FILIU[S] PI[N]SERU[N]T HOC OP[US]), un dipinto in cui la fisionomia sempre più slanciata delle figure si coniuga al convincente gioco prospettico della struttura architettonica del trono. L’opera era un tempo scomparto centrale del polittico posto sull’altare maggiore della chiesa dei domenicani a San Severino Marche (Kiel, 1977), completata da otto figure di santi (Caterina d’Alessandria, Michele Arcangelo, Giovanni Battista, Pietro, Paolo, Filippo apostolo, Domenico e Orsola) oggi nella Pinacoteca comunale di San Severino Marche, la cui eleganza flessuosa anticipa il gotico internazionale.
Gli studiosi concordano inoltre sull’attribuzione per via stilistica al maestro e alla sua bottega di un corposo gruppo di opere variamente datate: Madonna col Bambino detta Madonna della Rosa (Milano, coll. Malabarba, fig. in Pedrocco, 2003, p. 141); Madonna col Bambino in trono (Avignone, Musée du Petit Palais, già Montargis, Musée Girodet, dalla collezione Campana); Polittico (già Tbilisi, Museo di belle arti, fig. in Pedrocco, 2003, p. 156); S. Agostino (S. Benedetto?) (già Milano, coll. priv., fig. in Pedrocco, 2003, p. 189); Coro d’angeli (Roma, Museo nazionale del Palazzo di Venezia); Testa di s. Giovanni Battista (Los Angeles, County Museum of art); Ss. Agostino, Pietro, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Paolo e Giorgio (Venezia, Museo Correr; già Grisolera, chiesa di S. Donà di Piave); Ss. Tommaso d’Aquino, Giovanni Evangelista, Paolo e Domenico (Cambridge, MA, The Fogg Art Museum); Ss. Giovanni Battista, Agostino, Ambrogio e Paolo (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo); Acheropita (già Londra, coll. Pope-Hennessy, fig. in Flores d’Arcais, 1992, p. 39); Annunciata e Angelo Annunciante (già Firenze, collezione Loeser, fig. in Muraro, 1969, fig. 88); Madonna col Bambino (Londra, The National Gallery); Annunciata e Angelo annunciante (Hartford, The Wadsworth Atheneum Museum of art); Crocifissione (Melbourne, National Gallery of Victoria); S. Maria Maddalena e S. Giovanni Battista (New Heaven, Yale University Art Gallery); Leone alato di s. Marco (Venezia, Museo Correr).
Ignoti sono il luogo e la data di morte dell’artista, avvenuta entro il settembre del 1362, dal momento che in una controversia di quell’anno il figlio Marco è dichiarato «quondam magistri Pauli pictoris» (Muraro, 1969, p. 89).
Si considerano ormai espunti dal catalogo di Paolo l’Incoronazione della Vergine, datata 1324 (Washington, National Gallery of art, collezione Kress), assegnata alla mano di un maestro di cultura più bizantineggiante (Muraro, 1969; Guarnieri, 2007), Augusto e la Sibilla Tiburtina (Stoccarda, Staatsgalerie), tavola di fine Trecento recante la scritta apocrifa MCCCLVIII PAULUS CUM FILIO (Longhi, 1946, p. 45), e il polittico di Piove di Sacco, la cui iscrizione (MAG. PAULINUS 1332 PIC. DE VENECIIS), riportata da Pinton (1891, p. 277), non si riscontra sul manufatto (van Marle, 1924, p. 17; Muraro, 1969, p. 25).
Fonti e Bibl.: J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, IV, Firenze 1887, pp. 277-286; P. Pinton, La più antica chiesa in Piove di Sacco. Nota archeologica, in Nuovo Archivio veneto, II (1891), pp. 277-319; L. Testi, La storia della pittura veneziana, I, Le origini, Bergamo 1909, pp. 173 s., 185-208, 534 s.; R. van Marle, The development of the Italian schools of painting, IV, The Hague 1924, pp. 5-29; E. Sandberg Vavalà, Maestro P. V., in The Burlington Magazine, LVII (1930), pp. 160-83; G. Fiocco, Primizie di Maestro P. V., in Dedalo, XI (1930-1931), pp. 877-894; R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946, pp. 6 s., 44-46; N. di Carpegna, La ‘coperta’ della Pala d’Oro di P. V., in Bollettino d’arte, XXXVI (1951), pp. 55-66; P. Toesca, in Storia dell’arte classica e italiana, a cura di G.E. Rizzo - P. Toesca, II, Il Trecento, Torino 1951, pp. 706-712; V. Lazarev, Maestro P. e la pittura veneziana del suo tempo, in Arte veneta, VIII (1954), pp. 77-89; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 17-60; G. Fiocco, Le pale feriali, in La Pala d’oro, a cura di H.R. Hahnloser, Venezia 1965 (rist. a cura di R. Polacco, Venezia 1994), pp. 161-167; G. Gamulin, Un crocifisso di Maestro P. e altri due del Trecento, in Arte veneta, XIX (1965), pp. 32-43; M. Muraro, P. da Venezia, Milano 1969; H. Kiel, Das Polyptychon von P. und Giovanni Veneziano in Sanseverino Marche, in Pantheon, XXXV (1977), pp. 105-108; M. Lucco, Pittura del Trecento a Venezia, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, I, Milano 1986, pp. 176-188; A. Marchi, Madonna della pera, in Imago Virginis. Dipinti di iconografia mariana nella diocesi di Cesena-Sarsina dal XIV al XVIII secolo (catal.), a cura di M. Cellini, Cesena 1988, pp. 10-15; F. Flores d’Arcais, Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. Lucco, II, Milano 1992, pp. 24-42; F. Flores d’Arcais, Tradizione e innovazione nella pittura veneziana del Trecento: Paolo e attorno a Paolo, in Hortus artium medievalium, II (1996), pp. 19-26; G. Fossaluzza in Da P. V. a Canova: capolavori dei musei veneti restaurati dalla Regione del Veneto, 1984-2000 (catal.), a cura di G. Fossaluzza, Venezia 2000, pp. 38-43; F. Flores d’Arcais, P. V. e la pittura del Trecento in Adriatico, in Il Trecento adriatico: P. V. e la pittura tra Oriente e Occidente (catal., Rimini), a cura di F. Flores d’Arcais - G. Gentili, Cinisello Balsamo 2002, pp. 19-31; F. Pedrocco, P. V., Milano 2003 (con bibl. precedente); L. Morozzi, in Histria. Opere d’arte restaurate: da P. V. a Tiepolo (catal., Trieste), a cura di F. Castellani - P. Casadio, Milano 2005, pp. 100-108; G.M. Pilo, La “Crux de media ecclesia” di P. V. nella chiesa dei domenicani a Ragusa: un capolavoro del Trecento italiano risarcito, in Gli affanni del collezionista. Studi di storia dell’arte in memoria di Feliciano Benvenuti, a cura di C. Callegari, Padova 2005, pp. 21-25; H. Belting, Dandolo’s dreams: Venetian State art and Byzantium, in Byzantium: faith and power (1261-1557). Perspectives on late Byzantine art and culture, New York 2006, pp. 138-153; C. Guarnieri, Il passaggio tra due generazioni: dal Maestro dell’Incoronazione a Paolo Veneziano, in Il secolo di Giotto nel Veneto, a cura di G. Valenzano - F. Toniolo, Venezia 2007, pp. 153-201; M. Boskovits, Paolo Veneziano: riflessioni sul percorso (parte I), in Arte cristiana, XCVII (2009A), 851, pp. 81-90; Id., Paolo Veneziano: riflessioni sul percorso (parte II), ibid., 2009B, 852, pp. 161-70; C. Guarnieri, Per la restituzione di due croci perdute di P. V.: il leone marciano del Museo Correr e i dolenti della Galleria Sabauda, in Medioevo adriatico: circolazione di modelli, opere, maestri, a cura di F. Toniolo - G. Valenzano, Roma 2010, pp. 133-58.