TRON, Paolo
– Nacque in località ignota attorno al 1380. Era figlio di Donato Tron e (secondo le rielaborazioni delle Genealogie di Marco Barbaro) di una certa Santina; apparteneva alla linea di S. Stae, ed ebbe un fratello minore, Nicolò, che non deve essere confuso con il doge omonimo.
Per gran parte dei genealogisti Paolo era fratello anche di Luca, padre del doge Nicolò (v. la voce in questo Dizionario); pure Luca sarebbe (per il manoscritto Barbaro-Tasca, p. 141) un figlio di Donato e Santina. In realtà, invece, i genitori di Luca furono Donato Tron e sua moglie Belingera Contarini, come è dimostrato dal testamento di quest’ultima (1406), in cui peraltro essa non citò fra i propri figli né Paolo né Nicolò. I due, però, erano più giovani di Luca (che ricoprì cariche pubbliche già a fine Trecento) e quindi non possono essere nati da un matrimonio precedente di Donato Tron, marito di Belingera. Sembrerebbe quindi, in conclusione, che il Donato padre di Paolo e il Donato padre di Luca non fossero la stessa persona, ma due patrizi omonimi (forse cugini tra loro).
Paolo appare poi più legato di Luca ai Tron di un altro ramo (detto di San Benetto e proveniente da Candia), per alcuni dei quali fu addirittura sostenitore davanti all’Avogaria di Comun. I Tron candiotti, peraltro, ebbero spesso difficoltà nel provare di possedere i requisiti per il patriziato, e nel 1402 Donato quondam Bartolomeo rischiò seriamente l’esclusione. Il ramo di Paolo, invece, entrò stabilmente fra i non molti casati che di fatto monopolizzavano il governo della Repubblica e per questo potrebbe essere nata l’esigenza di ritoccarne la genealogia, approfittando di omonimie e della scomparsa (dopo il 1540) di tutti gli esponenti della linea dogale discesa da Luca (che nel XV secolo era stata la più prestigiosa), cioè di tutti coloro che avevano interesse a ricordare le autentiche relazioni di parentela fra i vari rami dei Tron.
Il manoscritto trevigiano delle Genealogie di Barbaro (Treviso, Biblioteca comunale, ms. 777) menziona alle cc. 441v-442r, in relazione a Paolo Tron, la data del 4 dicembre 1401 (giorno di s. Barbara): si tratta probabilmente dell’entrata anticipata in Maggior Consiglio, in seguito all’annuale estrazione a sorte («grazia della Barbarella»).
È possibile che in gioventù Tron si sia dedicato per alcuni anni in prevalenza all’attività mercantile e finanziaria (come, fra gli altri parenti, il futuro doge Nicolò); del resto, ancora nel 1438, Paolo fu parte in una causa trattata dai giudici di Petizion a proposito del commercio di pepe e altre spezie provenienti dalla Siria. Le prime notizie su cariche pubbliche da lui ricoperte risalgono al 1415 circa, ma negli anni 1416-19, quando ancora era al di sotto della quarantina, la sua carriera era già decollata, dato che fu eletto per due volte consigliere ducale.
Poco dopo iniziarono anche le sue esperienze al di fuori della città: già nel 1420 fu uno dei provveditori straordinari inviati a Creta per occuparsi di questioni anche finanziarie, di cui avrebbe finito per divenire uno specialista; a Candia (con cui i Tron avevano, lo si è accennato, molti legami) ritornò come capitano nel 1430 e in seguito continuò a occuparsi dei problemi dell’area greca (di Creta e delle isole dell’arcipelago).
Nel 1423 Paolo ebbe un ruolo di rilievo nel complesso conclave dogale, partecipando a tre dei collegi elettorali, fra cui quello (detto dei Quarantuno) preposto alla votazione finale, da cui uscì doge Francesco Foscari; nello stesso anno fu podestà di Vicenza e, nei sei anni successivi, fu altre quattro volte consigliere ducale. Durante il primo di questi mandati, lui e i colleghi si attirarono le attenzioni dell’Avogaria di Comun per aver travalicato le proprie competenze, ma tale episodio e un altro incidente (cui accennano le Genealogie di Barbaro) furono superati senza conseguenze. In questo periodo fu due volte in Terraferma: la prima (1427) per prendere in consegna le fortezze del Bresciano appena conquistato (un compito che si rivelò alquanto difficoltoso) e la seconda come podestà di Verona (1428-29).
Nel 1434 Paolo fu savio grande negli stessi mesi in cui Luca Tron era consigliere ducale: questa circostanza – non comune per una stirpe non molto ramificata, e tanto più significativa se i due erano davvero fratelli – conferma il grande rilievo della casata nel suo complesso (casi simili si sarebbero ripetuti anche in seguito). Nello stesso anno fu anche inviato come ambasciatore a Bologna dove, nel giugno, fu imprigionato dai cittadini assieme al luogotenente del papa.
In quel frangente Tron dimostrò le sue doti migliori – una eccezionale sottigliezza unita a un’astuzia spicciola e concreta – indicando lui stesso a un inviato del Gattamelata (capitano dell’esercito veneziano) come risolvere la situazione. Secondo il racconto di Marino Sanudo (Le vite dei dogi, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, 1999, p. 612), Paolo non fece alcuna dichiarazione esplicita al visitatore, ma lasciò cadere l’anello che aveva al dito, fingendo poi che fosse rotto e lamentandosi dicendo «l’è guasto, l’è guasto»: questo bastò all’altrettanto astuto condottiero per capire che la tattica da usare era minacciare il «guasto» (cioè la distruzione) della città. E in effetti i bolognesi si spaventarono a tal punto da rilasciare subito l’ambasciatore veneziano.
Una volta liberato e rientrato in patria fu eletto in Avogaria e poi nei Dieci, e partecipò come capo del Consiglio al processo contro Marsilio da Carrara, che aveva tentato di impadronirsi di Padova; poi, nell’aprile del 1435, trattò – come procuratore del doge – l’alleanza con Firenze in funzione antiviscontea. Dopo essere stato ancora consigliere, nell’estate del 1437 fu eletto dal Senato provveditore in Campo nella guerra contro Filippo Maria Visconti, e accettò il difficile incarico con riluttanza, solo per evitare la pena prevista per il rifiuto; due mesi dopo, peraltro, venne sostituito da Federico Contarini e rientrò a Venezia come savio del Consiglio (ossia grande).
Mentre ricopriva questa carica, ebbe un acceso diverbio con Orsatto Giustinian, e tra i due corsero pesanti ingiurie con visibile soddisfazione di Francesco Foscari: sintomo questo di rapporti già allora non eccellenti fra l’astuto doge e Tron.
Nel successivo 1438 fu ancora una volta savio grande e assieme a Marco, fratello di Foscari, annunciò al Gattamelata la nomina a capitano generale e l’ammissione al patriziato; in seguito avrebbe dovuto occuparsi anche in altre occasioni del delicato rapporto con i capitani ‘condotti’ dalla repubblica (fra cui, nel 1441, Tiberto Brandolini). Durante quegli anni di guerra, sedette frequentemente in Collegio o nei Dieci, e toccò il culmine della sua carriera diplomatica venendo inviato (con due altri patrizi) a Cavriana presso Mantova per trattare con il duca di Milano la pace che – con la mediazione di Francesco Sforza – pose fine alla terza guerra veneto-viscontea (20 novembre 1441).
Quel successo – replicato circa due anni dopo con la stipula di una alleanza con Firenze e Milano – fu probabilmente decisivo nel propiziare l’elezione di Tron (come di Francesco Barbarigo, suo collega a Cavriana) a procuratore di S. Marco (de citra). Ciò avvenne nel febbraio del 1443, dopo che il numero di quei magistrati fu portato a nove; dieci anni dopo (1453) una legge attribuì a tutti i procuratori (e quindi anche a Paolo) un seggio permanente in Senato.
Già ben prima di quella data, comunque, Tron era entrato nel cerchio patrizio più esclusivo, tra coloro che di fatto e con continuità reggevano le redini dello Stato: sedette nella zonta del Consiglio dei dieci quando (nel 1445) fu processato per la prima volta il figlio del doge, Jacopo Foscari, partecipò quindi a una commissione per la riforma della giustizia criminale (incentrata sul tema delle grazie) e fu di nuovo in Consiglio quando a Jacopo venne concessa la commutazione del confino a Nauplia (nel Peloponneso) in quello in Trevisana (1446). Inoltre, nel periodo compreso fra il 1448 e il 1455 fu membro del Collegio, come savio grande o nella zonta dello stesso, per sessantadue mesi su un totale di novantasei, e negli scrutini risultò sempre primo o secondo per voti ottenuti. In questi stessi anni, a testimonianza del ruolo di Paolo come capo della famiglia, fu proprio lui, e non il figlio Piero, a presentare in Avogaria i figli di quest’ultimo, Alvise e Francesco (che ebbe per sponsor il cugino Nicolò, futuro doge).
Di grande importanza furono le cariche ‘straordinarie’ che Paolo sostenne al termine della sua carriera, spesso nell’ambito economico-finanziario dove, alla fine dell’era Foscari, la situazione era divenuta davvero preoccupante. Nel settembre del 1454 egli fu eletto (con altri due futuri dogi, Pasquale Malipiero e Cristoforo Moro) fra i Cinque savi incaricati di porre rimedio alle disastrose condizioni della Camera degli imprestidi; un compito ritenuto così urgente che i prescelti ebbero l’ordine di lasciare ogni altro incarico e riunirsi entro tre giorni per prendere il più celermente possibile i provvedimenti necessari. Nell’ottobre dello stesso anno fece parte della zonta dei Dieci quando fu trattato il caso della rivolta di Creta e poi, nel dicembre del 1456, sempre su proposta di Moro, fu incaricato – con Malipiero e un altro nobile ‘di reputazione’ – di sovraintendere alle operazioni di contrasto al contrabbando e di recupero del denaro sottratto allo Stato.
Il risultato dovette andare oltre le aspettative perché, scaduto il termine stabilito, i tre furono molto lodati dai Pregadi (che deliberarono la prosecuzione dell’attività della commissione) e fu loro concessa la possibilità straordinaria di essere rieletti senza contumacia, cosa che puntualmente avvenne. Fu inoltre ribadita la concessione di amplissimi poteri, che praticamente li sottraevano a ogni controllo salvo quello degli Avogadori di Comun, primi tutori della legalità repubblicana.
Sembra che, in quegli anni cruciali, Tron abbia avuto un ruolo di primo piano nella lunga e complessa operazione messa in atto da ampi settori del patriziato per liberarsi di Francesco Foscari, iniziata proprio evidenziando il cattivo stato delle finanze dello Stato, e continuata poi sfruttando le penose vicende personali del figlio del doge: e così nel 1456-57 Paolo partecipò, nella zonta del Consiglio dei dieci, al secondo processo a Jacopo e poi alla deposizione di suo padre, e fu poi eletto fra i Correttori della promissione ducale: un incarico ancor più cruciale in un momento in cui era profondamente sentita l’esigenza di modifiche ‘costituzionali’ che stroncassero ogni protagonismo da parte dei dogi futuri.
Tron partecipò anche al successivo conclave dogale, e fu eletto anche in questa occasione nel collegio che procedette alla votazione finale. Come scrisse un inviato del duca di Milano, fu tra i candidati che vennero sottoposti a scrutinio (ottenendo – pare – 23 voti sui 25 necessari); ma anche a causa dell’età molto avanzata, prossima agli ottant’anni, si ripiegò poi sul più giovane Malipiero, con cui Paolo aveva a lungo collaborato. Forse Tron stesso desiderava ormai solo quiete e riposo: sembra infatti che si sia estraniato dall’attività politica negli anni successivi, fino alla morte che i continuatori di Barbaro datano all’11 agosto 1460 (il giorno dopo fu eletto al suo posto un nuovo procuratore di S. Marco).
Paolo Tron è stato certamente fra i maggiori esponenti del patriziato veneziano della prima metà del XV secolo; lo testimonia la sua presenza quasi ininterrotta, per quattro decenni, al vertice dello Stato (nel Minor Consiglio, nel Consiglio dei dieci, nel Collegio); in particolare egli finì per ‘specializzarsi’ nel ruolo – di carattere maggiormente ‘operativo’ – di savio grande. A differenza di altri – e in particolare degli ‘umanisti’, i patrizi dotati di una formazione giuridica o letteraria – Tron si allontanò di rado dalla città, e quasi sempre in circostanze straordinarie, che richiedevano qualità politiche sopraffine (rari furono invece gli incarichi di ordinaria amministrazione). La caratterizzazione profondamente ‘veneziana’ della sua personalità è evidenziata, oltre che dalla maniera estremamente concreta di gestire le circostanze più difficili, dalle capacità dimostrate in ambito economico e finanziario e anche dalla resistenza ad assumere quegli incarichi di carattere militare per cui molti patrizi dell’epoca erano proverbialmente poco tagliati; nonostante ciò, nel cursus honorum di Paolo compaiono solo un paio di cariche nello Stato da Mar: questa sensibile differenza con le carriere dei Tron precedenti è un sintomo evidente della svolta verso la Terraferma che Venezia iniziava a intraprendere sotto Francesco Foscari.
Proprio la permanenza di costui al vertice dello Stato per un periodo tanto lungo costituì certamente una pesantissima limitazione alle ambizioni di Tron e dei suoi coetanei: se di personalità come Foscari ne poteva esistere al più una per generazione, i contemporanei avrebbero sperato di sicuro che nella loro non ce ne fossero proprio. Ciò sarebbe di fatto avvenuto in quella successiva, quando, fra gli altri, anche Nicolò Tron raggiunse quel principato rimasto sempre precluso al più anziano parente, cui era toccata la singolare sorte di ottenere la deposizione di un doge suo coetaneo solo quando era ormai ben chiaro (prima di tutto a lui stesso, vista la sua ben nota lucidità) che la vecchiaia gli avrebbe impedito di ricavarne qualunque forma di vantaggio personale.
Paolo sposò (per i continuatori di Barbaro, nell’anno 1401) Lucia, figlia del consigliere ducale Leonardo Trevisan (di S. Giovanni Novo); da questa unione nacquero il già citato Piero (presentato in Avogaria nel 1423) e almeno una figlia, Elena, moglie di Giacomo Storlado, che testò nello stesso 1423; da Piero discesero tutti i Tron successivi della linea di S. Stae, fra cui (nel XVIII secolo) l’imprenditore Nicolò Tron e suo figlio Andrea (v. la voce in questo Dizionario).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Carteggio Visconteo, Potenze estere, Venezia, b. 344; Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun (Balla d’Oro), regg. 162-I, c. 143r, 163-II, c. 395r; Avogaria di Comun (Prove di età per patroni di galere e altre cariche), regg. 177-1, c. 74r, 178-2, c. 134r; Avogaria di Comun (Raspe), reg. 3645, c. 47r; Collegio, Notatorio, regg. 5-9, passim; Consiglio di Dieci, Misti, reg. 15, c.24v; Dieci Savi alle decime in Rialto (Redecima 1514), b. 69, San Stae 21; Giudici di Petizion, Sentenze, 76, c. 47v, Maggior Consiglio, Deliberazioni, Registri, Ursa (22), c. 50rv; Regina (23), cc. 15r ss., 17rv; Notarile, Atti, b. 1255, n. 201; Segretario alle Voci, Misti, reg. 4, cc. 20v, 97r, 100r, 102v, 106r, 108r, 145r-146v, 148v; Senato, Misti, regg. 53, c. 66rv, 55, c. 21r, 57, c. 224r; Senato, Secreti, regg. 6-20, passim, (in partic. regg. 13, cc. 65r ss., 82r, 20, cc. 34r, 108r, 128v); Misc. Codd., s. 1, 23, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, pp. 135-151; Treviso, Biblioteca Comunale, ms. 777: Genealogie Barbaro, pp. 803-807; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, It. VII, 18 (8307): G.A. Capellari Vivaro, Campidoglio Veneto, cc. 138r-141v; M.A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum, (Venezia 1487) Basilea 1556, pp. 443 s., 512 s., 682, 789, 795; F. Manfredi, Degnità procuratoria di San Marco di Venetia, Venezia 1602, pp. 7, 59, 62; Pier Zagata, Supplementi alla Cronica [di Verona], II, 2, Verona 1749, p. 83; Per le nobili sorelle Tron quondam Francesco contro il N. H. Alvise Tron, Venezia 1802; I Libri Commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, IV, Venezia 1896, reg. XI, nn. 239, 242-244, reg. XII, n. 232, reg. XIII, nn. 63, 183, 192, 244; M. Sanudo, Le vite dei dogi, 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Padova 1999, pp. 11, 19, 62 s., 127, 130 s., 137, 171, 188, 197, 256 s., 344, 357, 370 s., 405 s., 411, 420 s., 499, 521-524, 530 s., 604, 606 s., 612-614, 617 s., 641 s., II, 2004, pp. 3, 5.
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