TREVISAN, Paolo
– Nacque nel 1452 dal matrimonio di Andrea Trevisan dalla Drezza con Elena Contarini. Crebbe fra numerosi fratelli e sorelle: Giacomo, Marco, Michele, Davide e Pietro; delle sorelle, Lucrezia, Cassandra, Marina ed Elisabetta, una sposò Leonardo Mocenigo, figlio del doge Giovanni. L’epiteto dalla Drezza deriva dalla particolarità dell’arme nobiliare del padre Andrea, sebbene Trevisan fosse noto con il titolo di eques (o cavalier). Non va però confuso con un altro Paolo Trevisan eques, suo contemporaneo e di qualche anno più giovane.
Si unì in nozze nel 1479 con Maria Contarini; la coppia non ebbe figli. Trevisan fece il suo ingresso nella vita politica veneziana appena diciottenne, nel 1470. Qualche anno dopo il padre morì, perciò nel 1477 toccò a lui patrocinare il fratello Pietro davanti agli avogadori di Comun. In questi primi tempi le posizioni all’interno degli uffici della Repubblica non furono di grande responsabilità, tuttavia appaiono in linea con la pedagogia politica del patriziato veneziano, che prevedeva un avvio di carriera misurato su impieghi minori. Lo troviamo quindi provveditore di Comun (1483), visdomino del Fondaco dei tedeschi (1486) e castellano in Valcamonica (1487).
L’anno 1489 costituì un momento di svolta per il suo percorso politico. Il 3 aprile Trevisan era a Mantova per sottoscrivere (a nome della Serenissima) l’ingaggio di Francesco Secco, condottiero militare ora al soldo di Venezia. Nel marzo del 1490, invece, venne eletto dal Senato ambasciatore presso la corte sforzesca; una posizione di rilievo, quella nella città ambrosiana, durata fino alla primavera dell’anno successivo, quando chiese di tornare in laguna per sbrigare alcuni affari. Alla fine di agosto del 1493 fu spedito presso Ferdinando re di Napoli, dove probabilmente sostò fino ai primi mesi del 1495.
Savio di Terraferma dal dicembre del 1495, si fece notare in Senato per aver risolto una vertenza fra Rovigo, Este e Montagnana sulla rotta dell’Adige (12 febbraio 1496). Scaduto il mandato la sua carriera subì un’accelerazione con la designazione nel febbraio del 1496 a podestà di Bergamo, uno dei più grandi centri del dominio veneziano in Terraferma. Egli si insediò stabilmente in città l’11 maggio per sostituire Marco Sanudo, inviato dalla Repubblica a congratularsi con il duca Filippo di Savoia.
Rientrato a Venezia tornò nelle vesti di savio di Terraferma fino alla primavera del 1498, prima di diventare avogadore di Comun (21 giugno). Fu allora che Trevisan, assieme al collega Lorenzo Priuli, subì un processo per avere usurpato le competenze dei giudici del Piovego. Inizialmente ritenuti colpevoli, solo il 4 marzo 1499 i due furono scagionati dopo che a testimoniare era giunto lo stesso Trevisan appositamente da Brescia, dove si trovava in qualità di podestà a partire da quell‘anno.
Qui la situazione non appariva delle migliori. Dai suoi dispacci si comprende come l’area fosse al centro delle pretese del duca di Milano, dell’imperatore Massimiliano e del marchese di Mantova. Tuttavia, egli mostrò di sapere reggere al meglio tali pressioni, non mancando di contribuire personalmente alla risoluzione dei problemi. Certo, questo rettorato gli procurò l’inimicizia di personaggi che sarebbe stato meglio ingraziarsi, tuttavia nella relazione di fine mandato (ottobre del 1500) Trevisan poteva vantare di avere lasciato una comunità operosa e fedele alla Serenissima.
Fu attivissimo come capo del Consiglio dei dieci, a partire dall’ottobre del 1500, benché in data 25 gennaio 1501 il Maggior Consiglio lo designasse luogotenente del Friuli, ricevendo l’investitura all’interno della basilica marciana il giorno di Pasqua. Le sue informative da Udine allarmarono Venezia, a causa delle migliaia di turchi e bosniaci accampati al confine (presso Castelnovo) e delle notizie che le spie riferivano circa i movimenti dell’imperatore a Trieste.
Capitano di Padova dal maggio del 1503, qui Trevisan ebbe a che fare con una delle comunità più riottose al dominio della Serenissima. Un’epidemia di peste, la fuga del rettore dell’Università, le inondazioni del Brenta e del Po, il vuoto nelle casse della Camera fiscale furono solo alcuni dei problemi a cui egli cercò di porre rimedio, in sinergia con il podestà Giorgio Corner. Era spettata a questi due rettori, inoltre, la consegna di Cittadella a Pandolfo Malatesta nel dicembre del 1503, in cambio della cessione di Rimini alla Repubblica.
Conclusa l’esperienza padovana nel dicembre del 1504, dal gennaio successivo Trevisan era già operativo come capo dei Dieci, quindi poco dopo fu eletto savio di Consiglio (24 aprile 1505).
Negli anni in cui Trevisan operò la Repubblica era nella fase più aggressiva della sua politica territoriale, quando Pisa (1495-98) e le città pugliesi (1496-1503) sembravano una conquista stabile e a portata di mano. Tuttavia, la guerra con la Sublime Porta (1499-1503) aveva dilapidato ingenti risorse, al punto che allo stesso Trevisan, podestà di Brescia, fu ordinato di contribuire con 12.000 ducati alla guerra contro gli infedeli. Il prezzo imposto dal sultano Bayazid fu altissimo: la perdita di Modone e Corone, e il ridimensionamento della potenza veneziana in Levante. Più incoraggiante appariva la congiuntura in Italia, dove l’alleanza con Luigi XII d’Orléans aveva permesso alla Repubblica di strappare Cremona e Ghiaradadda a Ludovico Sforza (1499), e Gorizia e Trieste (1508) all’imperatore Massimiliano d’Asburgo. Ugualmente, Venezia pensò bene di approfittare della scomparsa di Cesare Borgia e acquisire così Rimini, Faenza e Fano (1503) a discapito dei diritti dello Stato pontificio. Ma il tracollo era ormai prossimo: troppi erano i fronti aperti contemporaneamente, eccessivi i torti inflitti ai nemici, insostenibili le spese da affrontare (aggravate, inoltre, da una crisi dei traffici). Nel 1509, ad Agnadello, l’esercito veneziano venne sconfitto da un’alleanza fra i principali Stati europei e italiani. Si trattò senz’altro di una svolta radicale per le ambizioni della Repubblica (1509-2009. L’ombra di Agnadello: Venezia e la terraferma, a cura di G. Del Torre - A. Viggiano, Venezia 2011; L’Europa e la Serenissima: la svolta del 1509. Nel V centenario della battaglia di Agnadello, a cura di G. Gullino, Venezia 2011).
La morte colse Trevisan in laguna d’improvviso il 9 ottobre 1505. Come da sue indicazioni fu sepolto in un’arca della chiesa di S. Maria Formosa.
In assenza del testamento, il giorno delle sue esequie i familiari cominciarono ad aggredirsi verbalmente, costringendo la Signoria a sequestrare beni mobili e immobili. A ristabilire la quiete fu solo il ritrovamento di una cedola testamentaria del 1490 in cui i fratelli Pietro e Giacomo risultavano i principali beneficiari di un patrimonio tutto sommato modesto.
Uomo pragmatico, dedito al rischio e sommo conoscitore delle problematiche della Terraferma, Trevisan interpretò appieno la nuova generazione di nobili veneziani, per i quali lo Stato da mar costituiva un peso piuttosto che un’opportunità da tutelare. Ma è Marino Sanudo, più di tutti, a trasmetterci la stima di cui godeva a Venezia: «et ’l viveva fortasse saria stà doxe» (I Diarii, a cura di F. Stefani, VI, 1881, col. 243). E di uno come lui, effettivamente, la Repubblica avrebbe avuto bisogno a breve, con le minacce che da terra si stavano ammassando in vista della Lega di Cambrai.
Fonti e Bibl.: Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Provenienze Diverse, C2803, c. 463; Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea codici, Storia Veneta, Genealogie Barbaro, b. 23, c. 106; Cancelleria inferiore. Miscellanea, b. 66, n. 3; Segretario alle voci, reg. 6, cc. 21r, 41v, 95r, 104r, 120v, 135r, 138v, reg. 7, c. 2v, reg. 8, cc. 50r, 56v; Avogaria di comun, Balla d’oro, reg. 165-III, cc. 327v, 328v; Commemoriali, reg. 17, cc. 129v-130r, reg. 18, cc. 32r-34v; Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 24, c. 181r; Senato, Deliberazioni, Terra, reg. 11, cc. 4v, 13r, 58r, reg. 12, cc. 16v, 18r, 26r, 88r, 122v, 128r, reg. 13, cc. 24v, 26v, 28r, 29r, 30v, 31r, 42v, 43v, 81v, 83v, 119v-120r; Senato, Deliberazioni, Secreta, reg. 37, cc. 118r, 199v, reg. 38, cc. 32r, 33r; Consiglio dei Dieci, Misti, reg. 28, cc. 65v, 67r; M. Sanuto, I Diarii, I, a cura di F. Stefani, Venezia 1879, coll. 143, 1056, 1090, 1114, II, 1879, coll. 27, 117, 257, 322, 493, 616, 639, 778, 804, 819, 834, 1080, 1094, 1305, 1327, 1328, 1333, 1342, III, 1880, coll. 110, 188, 258, 274, 307, 327, 372, 410, 607, 707, 737, 869, 1240, 1244, 1332, 1410, 1532, IV, 1880, coll. 19, 85, 252, 352, 396, 434, V, 1881, coll. 7, 25, 62, 156, 185, 194, 282, 469, 479, 579, 735, 850, 931, 942, 953, 997, 1050, 1066, VI, 1881, coll. 14, 110, 118, 146 s., 155, 169, 185 s., 208, 243.
F. Chabod, Venezia nella politica italiana ed europea del Cinquecento, in Storia della civiltà veneziana, IV, Firenze 1958, pp. 27-55; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, Firenze 1981, pp. 462-501; F.C. Lane, Le navi di Venezia, Torino 1983, pp. 250-283; G. Cozzi - M. Knapton, La Repubblica di Venezia nell’età moderna, XII, 1, Torino 1986, pp. 73-95; G. Luzzatto, Storia economica di Venezia dall’XI al XVI secolo, Venezia 1995, pp. 215-238; M.E. Mallett, Venezia e la politica italiana: 1454-1530, in Storia di Venezia, IV, Il Rinascimento. Politica e cultura, a cura di A. Tenenti - U. Tucci, Roma 1996, pp. 181-244.