SORATINI, Paolo
(in religione Giuseppe Antonio). – Nacque il 12 ottobre 1682 a Lonato, nel Bresciano, da Giuseppe e da Lucia Giuliani (Gandini, 2004, pp. 281 s.).
Formatosi alla pratica di cantiere presso la bottega degli zii artigiani, nel 1703 giunse a Ravenna, dove entrò in contatto con i monaci camaldolesi, il cui abate, Alfonso Cellini, intuitene le doti professionali, gli propose di progettare un edificio sul mare; quindi di diventare converso, condizione che consentì al giovane Soratini di dedicarsi all’attività architettonica, non solo per conto dell’Ordine. All’età di 21 anni prese quindi i voti assumendo il nome di Giuseppe Antonio e risiedendo nel monastero camaldolese di Ravenna (detto anche Classense per l’originaria ubicazione a fianco della basilica di S. Apollinare in Classe; Pirazzoli, 1977, p. 16).
Fu sostanzialmente un autodidatta. Approfondì la sua formazione anche a Roma, dove studiò le opere dei grandi maestri del Seicento e di quegli architetti, come Giuseppe Sardi e Antonio Canevari, che tradussero in un linguaggio popolaresco l’eredità formale borrominiana. Le esperienze romane s’innestarono sulla conoscenza e sulla pratica dell’architettura classica, ma nel suo stile emersero anche tangenze con il tardo barocco dell’Europa nordorientale, forse la componente più originale. Ne derivò un linguaggio eclettico, che accolse pure elementi estratti da lessici popolari, ma sempre sensibile al tardo classicismo romano di ascendenza cinquecentesca (p. 17).
Dotato di una curiosità intellettuale che lo portò a progettare apparecchiature meccaniche destinate a usi pratici e a interessarsi di ottica, matematica e geometria, fu autore di una nutrita ed eterogenea produzione manualistica, comprendente dizionarietti di architettura e alcuni scritti teorici. Rivelò uno spirito critico, rendendosi talvolta scomodo ai contemporanei, soprattutto ai colleghi architetti, come rivela la cronaca sulla ricostruzione del duomo di Ravenna a opera di Gianfrancesco Buonamici (p. 18).
Prima importante commissione fu la ristrutturazione del monastero camaldolese di Ravenna, avviata dal 1704 per volontà dell’abate ed erudito Pietro Canneti, che promosse l’acquisizione di imponenti fondi librari.
Vari furono i progetti di Soratini pensati per l’ampliamento e l’abbellimento del monastero, ma i lavori, attuati in gran parte entro il 1714, riguardarono principalmente la realizzazione della sontuosa libreria, un nuovo grande vano a doppia altezza (ora aula magna della Biblioteca Classense), dotata di scansie lignee finemente intagliate e decorata da un ricco apparato di stucchi a ornamento di affreschi e dipinti. Di Soratini sono poi al pianterreno, nel chiostro d’ingresso, la facciata loggiata, già di sapore rococò, e, al piano superiore, il vestibolo, introdotto da un’arcata centrale e contrassegnato da una doppia rampa di scale di grande effetto scenografico.
Negli stessi anni ideò chiese, cappelle e altari per vari centri romagnoli, ma lavorò pure nelle dimore delle principali famiglie locali, come i Bacinetti e i Bezzi, i Lovatelli e i Rasponi. Ben presto la sua fama di artefice esperto nell’affrontare nuovi progetti e restauri, ma anche semplici adattamenti, si diffuse in tutto il Centro-Nord. A Fossombrone fu coinvolto nella costruzione della chiesa del monastero di S. Francesca Romana (poi sostituito da quello di S. Francesco) e di quella del Carmine (1711; Boattini, 2015). Fu a Roma attorno al 1712 chiamato per i lavori al complesso abbaziale di S. Gregorio al Celio, occupandosi prima dell’ampliamento del monastero, quindi della ristrutturazione della chiesa (1720-25, solo completata da Francesco Ferrari; Pedrocchi, 1995). Nel Pesarese realizzò una fattoria per l’abbazia di Avellana a Canneto (ora villa Galassi; 1714-19), e per la vicina Pergola, nel 1717, eseguì i disegni della chiesa di S. Giovanni dei Serviti e del convento di S. Orsola. Verso il 1719 iniziò a occuparsi della progettazione di quella di S. Giacomo di Foligno, fornendo disegni anche per altri edifici in zona (Marinelli, 2001-2002). A Faenza progettò le chiese di S. Antonino (1721-23) e dei Servi (1726), e si ritiene sua anche la chiesa del Suffragio di Forlì (1723-48; l’incompiuta fronte fu ultimata solo nel 1933 in base al disegno originale), ispirata al modello berniniano di S. Andrea al Quirinale e un tempo ritenuta di Giuseppe Merenda (Rimondini, 1983).
Condusse poi vari lavori in Lombardia. Ideò in forme barocche il campanile (alto ben 66 m), detto Torre Nuova, della chiesa di S. Giovanni Battista di Carpenedolo, nel Bresciano (1726, terminato nel 1736). Inviato dai padri superiori per rimodernare il monastero di S. Marco a Mantova (1726-27), si occupò della riedificazione della parrocchiale dei Ss. Filippo e Giacomo a Marmirolo (1727-28, ma i lavori durarono fino al 1748).
Scelto dal cardinale Angelo M. Querini come suo architetto di fiducia, nel 1729 giunse a Brescia, dove eseguì alcuni progetti e lavori in città e nel relativo territorio.
A Montichiari disegnò la chiesa di S. Maria Assunta (1729), edificata sull’area della precedente, pur cambiando asse per una maggior rilevanza prospettica. Per l’ideazione s’ispirò al classicismo baroccheggiante del tempio bresciano di S. Maria della Pace, opera di Giorgio Massari, che in zona aveva riscosso gran successo, adottando anche la struttura ad aula unica. A Isorella diede forma più armoniosa alla chiesa di S. Maria Annunciata (1729-41), mentre nell’esuberante facciata della parrocchiale di Calcinatello (1729-30, conclusa nel 1735) mostrò uno dei momenti di maggior adesione al tardo barocco europeo. Ricostruì la chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio di Dosolo (1731), tra Mantova e Cremona, ideando una maestosa facciata e uno sfarzoso interno a navata unica.
L’opera più impegnativa nel Bresciano fu, però, la riedificazione della basilica di S. Giovanni Battista a Lonato (dal 1732, con sospensioni e consacrazione nel 1780).
Per tale impresa, finanziata dalla comunità, Soratini dovette, tuttavia, sopportare l’umiliazione della bocciatura del primo progetto e della supervisione del collega Giovan Battista Marchetti per il secondo, rinviando a un ulteriore disegno l’avvio dei lavori (Gandini, 2004, pp. 161 s.). Qui mostrò la duplice natura della sua arte, scegliendo il modello ufficiale romano sia per l’imponente facciata scandita da colonne e ornata da statue sia per la distribuzione interna a croce latina, mentre alla libertà compositiva del tardo barocco tedesco rinviano la movimentata facciata absidale e la ricca sacrestia. Di Soratini è anche la maestosa cupola, in cui convergono le tensioni dinamiche che conferiscono slancio al ricco interno.
Tra gli altri incarichi di questi anni sono la riedificazione della chiesa di S. Nicolò del Gardone, terminata nel 1740, e la ristrutturazione della parrocchiale di S. Maria Assunta a Medole, compiuta nel 1750.
In seguito al terremoto del 1741 Soratini fu coinvolto in vari lavori nelle Marche. In molti casi si trattò di interventi di ripristino proposti con l’impegno di bassi costi, come documentano le numerose perizie per gli edifici lesionati; in altre occasioni di progetti di ricostruzione, come per la chiesa dei Ss. Biagio e Romualdo a Fabriano e per il nuovo convento del Barco ducale a Urbania, con chiesa annessa (iniziata nel 1759 e consacrata nel 1771). Agli anni 1745-46 vanno ricondotti diversi lavori soprattutto nel Maceratese, come quelli per la chiesa di S. Francesco a Montelupone, mentre, di nuovo a Pergola, progettò l’imponente palazzo Giannini, poi Bruschi (1749).
Un linguaggio più composto emerge nelle ultime opere, come la chiesetta di S. Apollinare in Veclo a Ravenna (1761), precoce esempio di architettura purista (Pirazzoli, 1977, p. 23).
Attestano l’intensa attività architettonica un suo regesto autobiografico, una raccolta di trecento lettere e numerosi disegni spesso affiancati da relazioni descrittive e/o propositive e da attenti preventivi (Ravenna, Biblioteca Classense, Miscellanea, XII, n. 4, XV-XVIII, XXIV; Mob. 3, cass. dx C, cass. sx A/19; Mob. 3.4 k2/30; Lettere, b. 42, f. 26; Fondazione Ugo da Como mss. 70 e 147).
Morì a Ravenna nel 1762 (ibid.).
Fonti e Bibl.: S. Muratori, S., P., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der Bildenden Künstler, XXXI, Leipzig 1937, pp. 288 s.; N. Pirazzoli, Una cronaca d’architettura di Giuseppe Antonio Soratini, in Il Settecento a Ravenna e nelle legazioni. Atti del Convegno…, Ravenna… 1977, a cura di D. Berardi et al., Faenza 1977, pp. 16-37 (con bibl.); E. Rizzoli, L’attività marchigiana di P. S. nelle inedite carte delle Classense di Ravenna, in Notizie da palazzo Albani, X (1981), 1, pp. 55-63; P. S. architetto lonatese (catal., Lonato), a cura di R. Boschi - R. Morrone, Brescia 1982; G. Rimondini, La chiesa del Suffragio di Forlì (1723-1748) su disegno di fra’ Giuseppe Antonio Soratini, in Romagna arte e storia, III (1983), 7, pp. 59-78; A.M. Pedrocchi, San Gregorio al Celio. Roma, Roma 1995, pp. 22, 39; B. Marinelli, L’architetto P. S. a Foligno (1718-28): documenti e note, in Bollettino storico della città di Foligno, 2001-2002 (2003), voll. 25-26, pp. 73-135; G. Gandini, Lonato: dalla pieve di San Zeno alla basilica minore di San Giovanni Battista oltre quindici secoli di storia e di arte, s.l. 2004, pp. 161 s., 281 s.; G. Boattini, I disegni della fabbrica di Santa Francesca Romana di Fossombrone nel Fondo Morigia della Biblioteca Classense, in Romagna arte e storia, XXXV (2015), 104, pp. 21-36.