SAVELLI, Paolo
– Figlio di Bernardino e di Lucrezia dell’Anguillara nacque nel 1571, non è noto il giorno.
Ben presto, grazie al cardinale Silvio Savelli, entrò a far parte della clientela Aldobrandini. Iniziò la carriera militare al seguito di Giovan Francesco Aldobrandini con 3000 fanti nelle guerre di Ungheria e nel 1598, a Ferrara, fu presentato a Clemente VIII che, nel 1600, lo inviò a scortare il cardinale Pietro Aldobrandini nel suo viaggio in Francia. Con l’elezione di Paolo V, Savelli fu nominato, nel novembre del 1605, generale delle armi di Ferrara, Bologna e Romagna, incarico che svolse con preparazione e costanza, grazie anche ai suoi rapporti con Mario Farnese e con altri esponenti della nobiltà romana e dello Stato pontificio che avevano intrapreso con successo le carriere militari.
Nel 1607 ottenne il titolo di principe di Albano, feudo elevato a principato in quell’anno, e grazie al suo matrimonio con Caterina Savelli del ramo di Ariccia, la linea di Palombara, alla quale Savelli apparteneva, rientrò in possesso di tutte le proprietà del casato fino ad allora divise tra i vari rami, a eccezione del feudo di Rignano. Nel 1608 il fratello Federico lo sostituì come generale delle armi nelle legazioni pontificie e Paolo, nel 1611, venne nominato luogotenente generale. La rapida ascesa ai vertici della gerarchia militare dello Stato pontificio fu anche favorita dalla posizione di spicco nella Curia del fratello Giulio, divenuto cardinale nel 1615.
Da quando, nel 1605, era stato nominato generale delle armi a Ferrara e oratore imperiale presso il papa, Savelli era divenuto il referente per raccomandazioni che giungevano sia da Vienna sia da Roma: anche il cardinale Scipione Borghese si rivolgeva a lui per raccomandare persone segnalategli per carriere militari, ecclesiastiche o per ricoprire i diversi incarichi di governo previsti dall’amministrazione pontificia. Per questo ruolo di rappresentanza imperiale a Roma, Savelli svolse una funzione di intermediazione culturale rilevante che si espresse nel collezionismo, nella trasmissione di opere d’arte, nel contatto con artisti tedeschi di passaggio a Roma, di scambio di doni, ‘galanterie’ con la corte di Vienna, come dimostra la ricca corrispondenza.
Savelli era decisamente intenzionato a ricevere qualche incarico più prestigioso da parte imperiale: l’occasione propizia sembrò presentarsi per l’ambasciata d’obbedienza a Roma in occasione dell’elezione di Ferdinando II. La scelta di un nobile straniero nella funzione di ambasciatore di obbedienza fu accuratamente esaminata a Vienna, e Savelli era costantemente informato dal nunzio a Graz Erasmo Paravicini, vescovo di Alessandria, particolarmente vicino a Hans Ulrich von Eggenberg, capo del Consiglio aulico. Savelli aveva esposto in un memoriale tutti i suoi titoli nobiliari, i vincoli di fedeltà all’Impero che da secoli nutriva la sua famiglia e, per questo, riteneva di poter rappresentare degnamente l’imperatore dinanzi al papa: aveva fatto sapere di possedere «molti Castelli con titolo di Barone nella provincia di Abruzzo» e aveva inviato «fedi pubbliche» per confermare gli esempi di potenze europee che già si erano servite di personaggi stranieri in tali occasioni.
Si trattava però di vincere la resistenza di molti esponenti della corte imperiale circa la nomina di un «non nazionale» come ambasciatore d’obbedienza. Secondo quanto riferiva Paravicini – «passando alla pretensione dell’Ambasciata d’ubbidienza […] non è tanto assicurato il pensiero di mandare un soggetto nationale che, trovandosi l’essempio se non degl’antecessori di S. M. Cesarea almeno del Re di Francia, o di Spagna, che per simile ambasciata habbino adoprato un personaggio non nationale» (Archivio di Stato di Roma, Archivio Giustiniani, Armadio unico Savelli, b. 90, c. 298r).
L’agente imperiale a Roma, il domenicano Ludovico Ridolfi, ricevette un dettagliato memoriale redatto da Eggenberg da consegnare a Savelli per istruirlo sui rapporti passati e presenti fra Roma e l’Impero e illustrare le conflittualità insorte, soprattutto fra Ferdinando I e Paolo IV e in occasione dell’ambasciata di Prospero d’Arco a Pio IV.
Vicende familiari legate alla trasmissione del maggiorasco sembravano complicare la situazione: Giovanni Savelli, fratello di Federico e Paolo, maresciallo del conclave, aveva venduto Castelgandolfo e Rocca Priora a Clemente VIII, lasciando poi Federico e Paolo eredi dei beni fidecommissari. A causa di un’altra vendita, fatta nel 1594, Albano era stato devoluto a Fabrizio Savelli e, alla sua morte, doveva passare alle mogli di Federico e Paolo, rispettivamente Virginia e Caterina, sorelle, figlie di Mario Savelli: la stretta endogamia seguita da Paolo e da Federico era una strategia difensiva del patrimonio, minacciato anche dagli appetiti pontifici. Un memoriale sulla legittimità della primogenitura di Paolo, trasmessagli dal matrimonio e riconosciuta da tutta la famiglia, data l’assenza di discendenti di Federico, suo fratello maggiore, fu indirizzato anche a Balthazar de Zuñiga, ambasciatore spagnolo a Vienna, dal cardinale Giulio Savelli, che perorava la causa di Paolo presso il papa.
Savelli aveva trovato un sicuro appoggio anche nel nunzio a Graz Paravicini, che lo rassicurava del buon esito dell’affare: «presto intenderà, come non siamo in congiunture adesso, che potrà S.M. fare quelle risolutioni, che da V.E. si aspettano, e da me si procurano con desiderio pari al suo medesimo» (c. 311rv). Pochi giorni più tardi, per quanto riguardava la questione della «ambasciata d’ubbidienza», credeva di potersi «rallegrare di già con V. E.» in particolare per la ragione che «acquista S. M. rispetto in Italia, per essere Imperatore de’ Romani, a servirsi delli soggetti Romani, et Alemani indifferentemente» e sottolineava come Paolo Savelli fosse trattato «dalla M.S. col maggior titolo che dia alli Prencipi inferiori alli Potentati d’Italia» (c. 340r).
Nel 1620 Savelli fu designato finalmente da Ferdinando II ambasciatore d’obbedienza a Roma «per la quale occasione Egli comparve con la più ricca pompa che mai fosse veduta per l’innanzi nell’apparato e nel dispendio». Pietro da Cortona rappresentò la solenne udienza concessa da Paolo V a Savelli in un quadro oggi conservato nella galleria Harrach di Rohrau (Austria).
Prima di aver terminato l’ambasciata di ubbidienza, il nobile romano fu nominato da Ferdinando II, nell’agosto del 1620, ambasciatore imperiale «residente» a Roma al posto di Federico suo fratello. Il titolo esatto con il quale l’imperatore si rivolgeva a Savelli nei documenti a lui indirizzati era «Paulo Savello nostro Consiliario et apud S. S. Oratori». Dal 1625 lo indicava, ufficialmente, come «Cameriere del Consiglio di Stato e Ambasciatore ordinario della Maestà Cesarea al Sommo Pontefice, Cavagliere del Toson d’oro». Attorno a Savelli si intessé una fitta rete di raccomandazioni per ottenere benefici per ecclesiastici, secolari e regolari, nobili, militari. Si trattò, subito, di sollecitare il cardinalato per il conte di Hohenzollern «perché all’Imperatore mio signore parebbe duro se la Maestà sua perdesse di stima presso la Santità di Nostro Signore nel diferire in oltre la promotione Cardinalitia del Signor Conte di Zollern» (c. 127r). Qualche mese più tardi, Eggenberg scriveva ancora a Savelli per frenare le ambizioni francesi circa la promozione cardinalizia. Le «pretesioni» di Paolo Savelli erano infatti molto alte poiché miravano a otterere il Toson d’oro e il grandato di Spagna e l’intermediazione di Vienna, in un momento politico segnato dai rapporti non sempre cordiali con Madrid, diventava essenziale.
Come appare dalle sue lettere, Paolo aspirava da tempo a ricevere il Toson d’oro e quando gli fu comunicato, il 20 dicembre 1620 da Madrid, che «hieri s’ha pubblicato che Sua Maestà ha dichiarato per Grande di Spagna el Principe di Sulmona nipote di Sua Santità» (c. 38r), comprese di dover intensificare le sue strategie, rafforzare i legami con quanti, a Madrid, a Napoli, a Roma e nella stessa Vienna potessero aiutarlo in tale direzione. Si intensificò il carteggio con Guillaume Lamormaini, guida in quegli anni della politica imperiale, con Zuñiga e con il cardinale Franz von Dietrichstein, protettore dell’Impero. Il Tosone gli fu conferito nel maggio del 1625 e fu accompagnato da messaggi per informarlo delle procedure cerimoniali che avrebbe dovuto seguire per ricevere l’onorificenza. Le sue pretese non si fermavano: la richiesta di essere dichiarato «grande» di Spagna sembrava però eccessiva anche ai suoi interlocutori che, accortamente, lo consigliavano di accontentarsi del titolo di ‘Primo’.
Savelli aspirava anche alla concessione di uno dei tanti feudi imperiali presenti nell’Italia settentrionale. In quest’ulteriore occasione inviò una «Memoria della Servitù di Casa Savella fatta all’Antecessori di Sua Maestà Cattolica», ribadendone l’appartenenza alla «fattione Imperiale. Altrimente detta Ghebellina, è stata sempre appoggiata, et favorita dall’Imperatori, mentre hebbero parte in Italia, et poi dalli Re di Napoli» (b. 92, cc. n.n.). Per Ferdinando II il barone romano si trovò a dover ripetutamente avanzare le richieste di sussidi per sostenere la Lega cattolica nella guerra dei Trent’anni: le sue lettere inviate all’imperatore testimoniano come, a partire dall’autunno del 1620, ancor prima della vittoria della Montagna Bianca, dovesse impegnarsi quotidianamente nelle udienze a perorare la causa imperiale, ottenendo, quasi sempre, assicurazioni che il papa «come padre comune, s’interpone per l’accomodamento delli moti e per l’esterminio degli Heretici in Germania» (Schnitzer, 1899, p. 167).
In realtà, la politica di Urbano VIII, che si presentava come difensore della pace e della ‘quiete d’Italia’, copriva sia interessi per risolvere a favore della propria famiglia la questione del Ducato di Urbino, sia la difficoltà di schierarsi con l’Impero, soprattutto dopo l’inizio della guerra per la successione di Mantova di cui si coglievano le pericolose implicazioni non solo sull’equilibrio italiano. A Roma inoltre si esprimevano esplicite riserve sul comportamento imperiale, non soltanto sul piano politico, ma persino in materia confessionale.
Il dovere di ambasciatore imperiale a Roma costringeva Paolo Savelli a perorare la causa asburgica, a spendere denaro e fatiche per tenere alta la «riputazione» imperiale nella Curia romana, sempre più pressata dalla politica spagnola e francese, e a mostrarsi in ogni occasione all’altezza del compito affidatogli davanti a Ferdinando II e al Consiglio aulico. Sostenne ingenti spese per ospitare nobili tedeschi di passaggio a Roma e, nel 1624, l’arciduca Leopoldo, ospitato nel proprio palazzo. Alla corte imperiale il suo operato era da tempo giudicato poco incisivo e già nel 1628 si pensava di sostituirlo con un ambasciatore tedesco che – si diceva – avrebbe parlato con maggiore franchezza al papa, libero da condizionamenti curiali e da pressioni familiari, e avrebbe ottenuto i sussidi promessi. Nelle sue ultime richieste di aiuto in favore degli eserciti imperiali e soprattutto dopo il violento attacco sferrato dal cardinale Gaspar de Borja y Velasco contro la politica e la stessa persona del papa, Savelli era stato sostenuto dal fratello Federico, testimone e protagonista delle vicende militari in Germania. I ripetuti insuccessi rafforzavano la volontà di lasciare il suo incarico.
Il 21 luglio 1632 Fabrizio Savelli annunciava all’imperatore la morte del padre Paolo, avvenuta a Roma lo stesso giorno. Aveva lasciato numerosi debiti e nel 1636 i feudi di Stazzano e Castelchiodato furono venduti alla famiglia Spada.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Archivio Giustiniani, Armadio unico Savelli, b. 90; Archivio Sforza Cesarini, I, bb. 11, 12, 14, 25, 88, 219, 220; Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Staatenabteilung, Rom, Korrespondenz, 52, Fasz. A, C-K (lettere di Savelli a Roma, 1628-32); Rom, Varia, 7; Brno, Moravský zemský archiv [Archivio Provinciale di Moravia], fondo G140, Rodinný archiv Dietrichsteinů [Archivio della famiglia Dietrichstein], kart. [b.] 442, i.č. [n. di inventariazione] 1909/27 (lettere di Savelli al cardinale Dietrichstein); P. Tomassini, Trionfo funebre per la morte del principe P. S., Roma 1635; Die Hauptinstruktionen Gregors XV für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen 1621-1623, II, a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; Nuntiaturen des Giovanni Battista Pallotto und des Ciriaco Rocci (1630-1631), a cura di R. Becker, Tübingen 2009, ad ind.; Die Diarien und Tagzettel des Kardinal-Erzbischofs von Prag, Ernst Adalbert von Harrach (1598-1667), a cura di A. Catalano - K. Keller, Wien 2013, ad ind.; Nuntiatur des Ciriaco Rocci. Außerordentliche Nuntiatur des Girolamo Grimaldi (1631-1633), a cura di R. Becker, Berlin-Boston 2013, ad indicem.
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