POZZO, Paolo
POZZO, Paolo. – Nacque a Verona l’8 marzo 1741 (Archivio di Stato di Mantova, d’ora in avanti ASMn, Raccolta d’Arco, b. 48: L.C. Volta, Elogio storico dell’architetto P. P.; C. d’Arco, Delle arti e degli artefici di Mantova, I, Mantova 1857, pp. 104-114), figlio di Carlo Satiro, capomastro; non si conosce il nome della madre. Di famiglia borghese originaria della Svizzera, ricevette una ricca educazione, che spaziava dalla letteratura alle scienze, alle arti. Frequentò la scuola dei padri somaschi a Verona.
Legato al mondo della pratica architettonica per la professione del padre, studiò disegno e architettura presso la scuola di Adriano Cristofali (1718-1788).
Grazie al suo ingegno entrò a far parte, ancora ragazzo, della cerchia della nobiltà veronese. Iniziò a frequentare i salotti culturali, partecipando agli incontri tenuti dai maggiori esponenti del neoclassicismo veneto, impersonato da figure di primo piano come Alessandro Pompei e Girolamo Dal Pozzo, in un clima di generale rinnovamento del gusto architettonico che faceva appello alla ragione, in polemica con gli eccessi irrazionalisti del tardobarocco.
Nel 1758 venne proposto come maestro di matematiche nel Collegio militare (C. d’Arco, Delle arti..., I, 1857, p. 105). La svolta avvenne nel 1760, quando il fratello maggiore, Giandomenico, uomo d’affari, si trasferì a Mantova su richiesta del marchese Ugo Canossa al fine di curarne l’esercizio commerciale. Paolo fu costretto dalla famiglia a seguire il fratello, abbandonando gli studi e i rapporti con la nobiltà veronese.
Nel 1764 venne nominato dalla Serenissima Repubblica giudice per le controversie sorte fra Venezia e l’Impero circa l’uso delle acque del Tartaro: la città di Mantova, sotto gli Asburgo, lo riteneva di sua proprietà. Egli riuscì, attraverso la commissione di cui faceva parte, a stabilire l’accordo tra i due contendenti con il trattato di Ostiglia (ibid.).
Nel 1771 Pozzo venne costretto per la seconda volta a raggiungere il fratello a Mantova (ASMn, Raccolta d’Arco, b. 45, pp. 613 s.; Archivio di Stato di Milano, Studi, p.a., 7, 21 luglio 1771); fu in questo momento che egli riprese i suoi interessi per l’architettura, così come il dialogo con gli architetti veronesi.
Nello stesso anno, infatti, si rimise a studiare Vitruvio; cominciò a partecipare alla vita culturale di Mantova e a frequentare l’ambiente dell’Accademia. Lo stesso marchese Canossa, riconoscendone il valore professionale, cercò di aiutarlo inviando al conte Firmian, ministro plenipotenziario a Milano, un memoriale degli studi di Pozzo e informandolo delle sue capacità (C. d’Arco, Delle arti..., I, 1857, p. 106; ASMn, Raccolta d’Arco, b. 45, p. 517).
Pozzo desiderava diventare professore di architettura e occupare presso l’Accademia la cattedra tenuta da Giambattista Spampani. Nel 1772 la morte dello stesso Spampani gli offrì l’opportunità di inserirsi nel mondo accademico, grazie anche all’appoggio di Giuseppe Piermarini, dal 1769 ispettore generale delle Fabbriche di Lombardia.
Sembra che il primo lavoro di architettura ideato da Pozzo a Mantova nel 1771 o 1772 riguardasse la chiesa della Madonna del Popolo: progetto a croce greca con pronao e cupola, mai realizzato (C. d’Arco, Delle arti..., I, 1857, p. 107).
Da questo momento la sua attività, sia come docente sia come architetto, procedette senza sosta.
Pozzo riuscì a importare a Mantova l’orientamento del neoclassicismo veneto, che vedeva nel Rinascimento l’interprete autentico dello spirito degli antichi. Alla venerazione per Andrea Palladio e Michele Sanmicheli unì lo studio dei monumenti del Cinquecento mantovano, specialmente di Giulio Romano.
Egli trovò a Mantova un ambiente favorevole, grazie alla politica illuminata di Maria Teresa d’Austria. Una vivacità culturale incentrata in maniera particolare sull’Accademia, di cui tra l’altro curò il riammodernamento, tra il 1773 e il 1775, su progetto di Giuseppe Piermarini, dotandola di laboratorio di chimica, museo lapidario, museo di storia naturale e gabinetto numismatico.
Chiamato per alcuni rifacimenti coinvolgenti Palazzo Ducale (ormai non più adeguato rispetto alle nuove esigenze), egli provvide alla sistemazione dell’appartamento verde (poi stanze degli Arazzi), di quello ducale e dell’appartamento del Plenipotenziario, oltre che alla galleria nuova e alla sala del Refettorio. Nei corpi più antichi del palazzo dovevano essere disposti gli appartamenti per l’arciduca, l’arciduchessa e il vicesegretario e gli uffici amministrativi. Nel 1775 progettò una nuova facciata verso piazza del Duomo, mai realizzata. L’esistente venne ritenuta da Pozzo «d’un aspetto gottico nauseante, piena di finestre non corrispondenti alla simetria dell’arcate sottopostevi» (Wien, Hofkammerarchiv, Akten des italienisches Department, 86, doc. 8 maggio 1775).
Il disegno prevedeva un doppio corpo di fabbrica caratterizzato dagli ordini dorico e rustico, con richiami sanmicheliani e moduli lessicali ripresi da Giulio Romano, nell’intento di trascendere il piano architettonico per porsi come episodio di ristrutturazione urbana.
Questa attenzione per l’urbanistica non si pose come momento isolato. Del 1779 è la sistemazione di due piazze interne (S. Barbara e Castello) nel complesso di Palazzo Ducale, destinate a ospitare botteghe. Un intervento che determinò l’introduzione della funzione commerciale all’interno della sede storica del potere.
Nel primo periodo napoleonico (1797-99) Pozzo si sarebbe occupato anche dell’ampliamento della contrada di Pradella, con la demolizione della chiesa di S. Giacomo, e della creazione di piazza Virgiliana. Sarebbe seguito il progetto di una «Nuova Virgiliana» a Pietole, ovvero la sistemazione di un’area suburbana costellata di monumenti celebrativi di Virgilio, allestita con boschetti e viali.
L’approfondita conoscenza dell’architettura rinascimentale portò Pozzo a individuare i principi che regolavano la composizione architettonica e a depurare gli elementi strutturali e ornamentali di alcuni complessi notevoli, scelti quali simboli del passato, come palazzo Te e la basilica di S. Andrea.
Nel 1774, quando si decise di «riattare» palazzo Te, ebbe l’incarico di stendere una serie di disegni per le coperture, la cui continuità era interrotta da «un attico per nulla corrispondente al resto della fabbrica e certamente non fatto costruire dall’autore». Pozzo propose di «levarlo perché rimanga l’edificio nel suo vero essere e, in tutte le sue parti, simile» (ASMn, Magistrato Camerale Antico, 357, doc. 16 settembre 1774). Inoltre le «celeberrime pitture di Giulio Pippi» erano minacciate da infiltrazioni d’acqua, il manto di rivestimento era lacunoso e le coperture erano per lo più sorrette da puntelli gravitanti sulle volte. Pozzo fece innalzare numerosi pilastri sui muri trasversali per integrare il sistema delle capriate (ibid., 347, doc. 12 agosto 1778). La demolizione della cosiddetta Racchetta e la costruzione del timpano sulla fronte verso il giardino furono dettate da Pozzo al fine di ristabilire «l’Euritmia, che prima regnava nell’intiero piano di quel rinomato palazzo» (ibid., 348, doc. 21 giugno 1773).
Dal 1780 al 1792 ebbe la responsabilità di un’impresa di più vasta portata: la decorazione della chiesa di S. Andrea. Intento principale era «risarcire la vecchia fabbrica […] rimettendo ogni cosa sull’antico disegno di Leon Battista degli Alberti» (Mantova, Archivio storico diocesano, Fondo Basilica di Sant’Andrea, 40). I lavori portarono alla realizzazione delle finestrature ovali, all’aspetto definitivo dell’abside mediante l’apertura di tre finestre rettangolari e tre tonde a esse sovrapposte, all’erezione di sei pilastri «nelle intestate» della basilica. Inoltre fu contemplato di «levar il rialzo sopra il frontispicio di faciata per otenere un lume diretto nel tempio» (ibid., 30 agosto 1780). Nel 1780 Pozzo completò anche le opere di muratura e di ornato della cupola di Filippo Juvarra (di cui, comunque, non condivideva le linee barocche) e nel 1792 fornì il disegno per il nuovo pavimento in marmo. Infine, sempre nel rispetto dell’Alberti, arredò la chiesa con sepolcri tratti da chiese e conventi soppressi, coerenti con il tempio e la comune cifra rinascimentale. Tutta l’operazione si collocò, quindi, nella linea di un recupero neorinascimentale, con precisi riferimenti alla tradizione locale.
Dal 1781 al 1783 diresse la ricostruzione del teatro di Corte, progettato da Ferdinando Bibiena e distrutto da un incendio. Nel 1783 progettò un «circo all’uso antico» (C. d’Arco, Delle arti..., II, Mantova 1857, p. 207) e nel 1787 il teatro di Lodi (ibid., p. 216). Nel 1784 sovrintese alla decorazione della cappella del Sacramento nel Duomo di Mantova, per la quale già nel 1779 Pozzo aveva disegnato un nuovo altare (ibid., p. 203). All’inizio del nuovo secolo avrebbe provveduto all’ampliamento della casa di Giulio Romano, allungata in facciata, con conseguente modifica delle finestrature e spostamento del portale.
Nell’ambito della sua intera carriera Pozzo si dedicò con particolare continuità al restauro e alla ristrutturazione di edifici preesistenti, come, per esempio, gli ospedali di Mantova, in seguito alla politica imperiale di progressivo indebolimento degli Ordini monastici, soppressi con l’editto del 1784. Conseguente fu la necessità di pensare a un corretto riutilizzo dei conventi defunzionalizzati.
In questo senso Pozzo si mostrò particolarmente attivo: nel 1775 fornì il progetto per un orfanotrofio nell’ex convento di S. Agnese e per la biblioteca nell’ex convento dei gesuiti; nel 1783 diede l’avvio ai lavori di trasformazione dell’ex convento dei carmelitani (destinato a ospitare l’intendenza di polizia); successivamente anche negli ex conventi di S. Lucia, delle cappuccine, di S. Agnese e di S. Cristoforo (ibid., p. 109) vennero collocati alcuni servizi tecnico-amministrativi.
Circa il problema ospedaliero a Mantova, durante gli anni di attività di Pozzo era ancora in funzione l’ospedale Grande o di S. Leonardo, ormai insufficiente. Da qui la necessità di restaurare e ampliare l’antico edificio, oppure di trasferire l’ospedale sistemando o il palazzo della Favorita o l’ex convento di S. Sebastiano. Pozzo fornì rilievi, stime e preventivi di spesa relativamente ai tre edifici in questione (ASMn, Intendenza politica, cart. 229); tuttavia nessuna proposta ebbe seguito.
Particolare attenzione merita il progetto per la sistemazione dell’edificio della Dogana nova (ex palazzo Rivara), che doveva riunire in un’unica sede, oltre alla dogana, gli uffici del magistrato camerale, della delegazione dei Conti e della Tesoreria generale (ASMn, Magistrato Camerale Antico Finanza-Fabbriche 1750-1775, 23 settembre 1763). Pozzo propose nel 1776 un ampliamento del fabbricato esistente con l’aggiunta di un nuovo corpo a impianto pentagonale verso il porto che, per l’aspetto tipologico, evocava il lazzaretto di Ancona (1733-38) progettato da Luigi Vanvitelli (ASMn, Mappe e disegni riguardanti acque, risaie, argini…, 421). Non ci è dato conoscere con sicurezza i motivi che non permisero la realizzazione del progetto.
Solo nel 1783 le autorità governative disposero la destinazione a sede di uffici del soppresso convento del Carmine. Ancora una volta Pozzo venne incaricato degli adattamenti funzionali, attuati in relazione con la struttura preesistente, mantenendo la chiarezza tipologica e il carattere degli spazi e limitandosi ad assegnare nuove funzioni con il minimo intervento necessario.
Come indicano le fonti dell’epoca, «diede prova di un ingegno pieno di risorse accomodando il nuovo al vecchio, e creando un edificio, che sebbene composto di due corpi, presenta un perfetto accordo e una bella armonia» (G.B. Intra, Mantova ne’ suoi monumenti di storia e d’arte. Guida della città e de’ suoi dintorni, Mantova 1883, p. 57).
Scarse notizie sono giunte sul suo intervento nella ristrutturazione della chiesa di S. Apollonia (1781) e sulle sue opere nel Mantovano, per quanto riguarda il progetto per la parrocchiale di Romanore (1791) e il disegno per il campanile di Bondeno (1793).
In molti casi si avvalse della collaborazione di allievi dell’Accademia, per sperimentare nella pratica del progetto le conoscenze teoriche acquisite nella scuola.
Risale sempre a Pozzo l’idea di parte dei lavori eseguiti poi da Giambattista Marconi intorno al 1792 nel complesso polironiano di San Benedetto Po (C. d’Arco, Delle arti..., II, 1857, p. 223).
Intanto per Mantova iniziava un periodo difficile da un punto di vista politico: nel 1797 le truppe francesi conquistarono la città. Pozzo accettò di collaborare con la nuova amministrazione, una scelta che gli costò alcuni mesi di prigione quando nel 1799 tornò il governo austriaco. Il commissario imperiale lo liberò con decreto dell’8 gennaio 1800, dichiarandolo «uomo mantenutosi sempre costante nel suo carattere religioso, integerrimo e disinteressato» (ibid., I, pp. 112 s.).
Nel 1803, avendo nuovamente avuto la meglio l’esercito francese, il generale Miollis affidò a Pozzo la carica di architetto della prefettura del Mincio. Sempre nel 1803 venne nominato membro dell’Istituto nazionale di scienze e arti di Bologna e professore di architettura presso l’Università di Pavia (ibid., II, pp. 233, 236 s.). Ma Pozzo non riuscì a ricoprire tale incarico: morì all’età di sessantadue anni, a Mantova, il 18 dicembre 1803.
Per i meriti e l’impegno dimostrato verso la città, Leopoldo Camillo Volta, una delle personalità mantovane più illustri, compose un elogio storico in suo onore che venne letto nel 1804 presso il Teatro Scientifico come una sorta di orazione funebre.
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