PINO, Paolo
PINO (de Pinis), Paolo. – Non è nota la data di nascita di questo pittore e letterato, attivo a Venezia e nel suo entroterra a partire dagli anni Trenta del Cinquecento. Poco si conosce sulla sua origine, e scarse sono anche le notizie sui fatti esterni della sua vita. Nella dedica al doge Francesco Donà, in apertura del suo Dialogo di pittura (1548) opera a cui deve gran parte della sua notorietà, egli si dichiarava orgogliosamente nato a Venezia, «nella felice sua patria» (1946, c. 1r). Come residente a Venezia in contrada di San Vio è segnalato anche in un più tardo documento del luglio 1564, dal quale si apprende inoltre il nome del padre, un certo Alessandro, a quella data già deceduto (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Atti, b. 5600, alla data). Allo stato attuale delle conoscenze non è tuttavia possibile stabilire se la sua famiglia avesse fatto parte o meno del ramo cittadino dei Pino o Pin, storicamente insediato nel sestiere di San Polo, alcuni esponenti del quale ricoprirono, tra XV e XVI secolo, rilevanti cariche civili e religiose (Puppi, 1992, pp. 10 s.).
Lo stesso Dialogo fornisce qualche notizia anche sulla sua formazione pittorica, che dovette compiersi a Venezia nella bottega del bresciano Girolamo Savoldo (da lui stesso definito «maestro di Paolo Pino»: 1946, c. 5v). Sulla base di questa dichiarazione è stato ipotizzato che il suo apprendistato si sia svolto verso la fine degli anni Venti (Mancini, 1994, p. 86), concludendosi poco prima del presunto trasferimento di Savoldo a Milano attorno al 1533-34 (Pardo, 1984, p. 10).
L’analisi del suo ristretto corpus pittorico, composto da qualche ritratto e un paio di pale d’altare, ha del resto confermato questa notizia, evidenziando soprattutto nei primi lavori la presenza di elementi di gusto savoldesco (in particolare nell’impaginazione e nel taglio delle figure), interpretati tuttavia in modo eclettico e non rigoroso. Non trascurabili sono inoltre gli apporti della tradizione veneto-padovana (Tiziano, Bernardino Licinio, Domenico Campagnola), che testimoniano una certa apertura nella selezione dei modelli e delle fonti.
L’esordio professionale deve collocarsi non più tardi del 1534, quando firmò («Paulus de Pinnis») e datò un raffinato Ritratto di collezionista (Chambéry, Musées des beaux-arts), raffigurante un uomo dall’elegante abito nero attorniato da sculture e rilievi antichi. La presenza di questi oggetti ha suggerito a diversi studiosi di identificare il personaggio ritratto con Marco Mantova Benavides, giurista padovano celebre per la sua raccolta di antichità, nonché possessore – secondo un inventario del 1695 – di un autoritratto, oggi perduto, dello stesso Paolo Pino, qui definito suo «amico carissimo» (Pardo, 1984, p. 16); tuttavia il confronto con le effigi note di Benavides sembra ostacolare questa proposta (Mancini, 1994, p. 84). Allo stesso periodo dovrebbe anche risalire un secondo Ritratto virile (Firenze, Uffizi), tradizionalmente identificato con un non meglio noto medico Coignati, anch’esso firmato e, seppure in modo problematico, datato 1534 (Mazza, 1990).
Sulla base del confronto con questi due dipinti, è stato riunito attorno al nome di Pino un ulteriore gruppo di ritratti maschili, in precedenza gravitanti soprattutto nell’orbita di Alessandro Bonvicino detto il Moretto (Fossaluzza, 1992), tra cui un Ritratto di gentiluomo con rilievo antico (Berlino, Staatliche Museen), un Ritratto virile con pelliccia (Cambridge, Fitzwilliam Museum) e un Ritratto di cavaliere (Kassel, Gemäldegalerie), la cui coerenza stilistica ha suscitato tuttavia qualche dubbio (Mancini, 1994, p. 86). Maggiore consenso si è invece registrato in merito all’attribuzione del Ritratto di gentiluomo trentasettenne con fiore, datato 1537 (Roma, Galleria Doria Pamphilij), assegnato per primo a Pino dai Pallucchini (1946, p. 21).
A partire dalla fine degli anni Quaranta, all’incirca in concomitanza con la pubblicazione del Dialogo di pittura, Pino risulta operante in prevalenza nell’entroterra veneto, per una serie di commissioni pubbliche realizzate lungo la direttrice Venezia-Padova. Nel 1549 firmò («Paulus Pino inv[enit]») il pilo marmoreo con rilievi anticheggianti della cosiddetta Colonna della pace a Noale; non è chiaro tuttavia se l’iscrizione si debba riferire all’esecuzione materiale del manufatto o alla sua sola concezione iconografica. Qualche anno più tardi, nel 1557, eseguì alcuni affreschi con personificazioni allegoriche, «storie, geroglifici e altri finissimi lavori» (Federici, II, 1803, p. 54) per la Loggia comunale dello stesso centro, andati perduti nell’Ottocento, come pure perduti sono i due teleri con storie sacre attributi alla sua mano, descritti intorno al 1874 all’interno della locale chiesa parrocchiale (Pardo, 1984, p. 15). È sopravvisuta invece, anche se in condizioni frammentarie e priva di centina, la pala con i Ss. Benedetto, Nicolò e Lorenzo, firmata, eseguita per la parrocchiale di Scorzè e databile attorno al quinto decennio (Mazza, 1992).
Nonostante una procura al collega pittore Alessandro Spiera, del luglio 1564, confermi la sua residenza veneziana, gli anni a cavallo del 1560 videro Paolo Pino ormai impegnato stabilmente a Padova, dove doveva godere dell’appoggio di influenti mecenati (Mancini, 1994, p. 83). Nel gennaio 1558 ricevette l’incarico di indorare e decorare con figure a stucco l’altare maggiore, oggi perduto, del monastero padovano della Beata Elena Enselmini (Cessi, 1958); è probabile che a questo lavoro faccia anche riferimento una ricevuta per una fornitura di gesso trovata tra le carte dello scultore Agostino Zoppo, al quale Pino doveva essersi associato in questa impresa (Mancini, 1994, p. 84). Al 1565 – secondo la lettura della data, perduta, fornita dalle fonti più antiche – dovrebbe infine risalire la pala firmata con La Vergine in trono con il Bambino e i ss. Antonio da Padova, Bartolomeo, Giuseppe, Domenico (?) e la donatrice Antonia Urbino, eseguita per l’altare Urbino a S. Francesco Grande a Padova (Sesler, 1983, p. 134). Il dipinto fornisce una testimonianza importante dell’«eclettismo provinciale» dell’ultima maniera di Pino, vicina ai modi tardi di Lorenzo Lotto o Paris Bordon e improntata a uno spirito arcaicizzante estraneo alla cultura figurativa degli anni Sessanta del Cinquecento, se non addirittura «in aperto contrasto con quella» (Pallucchini, 1946, pp. 21-23).
Non si conosce data e luogo della sua morte, che si ritiene debba essere avvenuta a Venezia, poco dopo il 1565.
Personalità eclettica e versatile, Paolo Pino costituisce una figura per molti versi anomala nel panorama artistico veneziano di primo Cinquecento, per la sua capacità di coniugare professionismo pittorico a riconosciute competenze letterarie e teoriche, anticipando per molti versi il modello di artista intellettuale tipico del Seicento. Il suo contributo più importante sul piano critico è offerto dal Dialogo di pittura, pubblicato nel 1548 per i tipi di Paolo Gherardo, tradizionalmente ritenuto uno dei documenti più importanti della letteratura artistica del primo Cinquecento, nonché una delle più compiute attestazioni de «l’indipendenza del gusto artistico veneziano di fronte a quello tosco-romano» (Pallucchini, 1946, p. 27).
Dedicato al doge Francesco Donà (definito «benigno padre delle arti liberali», c. 1r), il trattato si articola in forma di dialogo tra Lauro, pittore veneziano e portavoce dell’autore, e Fabio, pittore «forastiero» di origine fiorentina. Nonostante una struttura in apparenza poco rigorosa, il testo appare in realtà saldamente organizzato attorno a tre nuclei teorici principali, dedicati rispettivamente al concetto di bellezza, alla suddivisione interna della pittura e al carattere liberale della professione artistica (Pardo, 1992). Tale ripartizione, di cui sono stati messi in luce i riferimenti classici (Gilbert, 1943-1945, pp. 90 s.), è derivata da Pino dal modello classico del De pictura di Leon Battista Alberti (consultato sia nell’edizione latina del 1540 che in quella volgare del 1547: Dubus, 2010), che costituisce, insieme con Plinio il Vecchio, Pomponio Gaurico e Albrecht Dürer, la fonte privilegiata del suo volume (Pardo, 1992, pp. 43 s.).
Nella prima parte del Dialogo, la più impegnata sul piano teorico, Pino discute quindi il rapporto tra bellezza naturale e bellezza artificiale, individuando nella prospettiva lo strumento tecnico in grado di restituire la struttura armonica del visibile. In seguito viene affrontato il tema della partizione della pittura nelle sue singole componenti di disegno, invenzione e colorito, ciascuna delle quali ulteriormente distinta al suo interno in aspetti concettuali e manuali. Infine, la lunga sezione conclusiva comprende diverse indicazioni sulla formazione dell’artista, sulla sua vocazione professionale e sulle sue qualità morali e sociali; qui sono incluse inoltre alcune osservazioni sul tema di grande attualità del paragone tra pittura e scultura, un’importante digressione sulla pittura di paesaggio, nonché una lista dei principali pittori contemporanei. Il volume si chiude introducendo la figura del giovane Pietro Antonio Mielo, esponente di una nobile famiglia padovana (Mancini, 1994, p. 85), amico di Paolo Pino e curatore di un’edizione dei Sonetti di madonna Laura (Venezia, 1552).
Nel Dialogo, la cui apparente disorganicità è stata attribuita a tempi di scrittura molto ristretti (Pardo, 1992), trovano dunque compiuta trattazione argomenti di tenore teorico (in particolare sul rapporto disegno-colore: Barash, 1978; Puttfarken, 1991), storico-sociale e documentario. Nonostante la scarsità di informazioni dirette sulla sua genesi, il suo contenuto è stato generalmente interpretato nel quadro dei dibattiti sulla lingua e il volgare promossi a Padova da alcuni studiosi radunati attorno all’Accademia degli Infiammati (1541-43), tra cui in particolare Sperone Speroni e Benedetto Varchi (Pardo, 1992, pp. 42 s.); esso si radica inoltre nel contesto del «revival albertiano» della metà del Cinquecento, e nel quadro della montante reazione antivasariana presente in ambiente veneziano già a partire dagli anni Quaranta (ibid.).
Oltre al Dialogo di pittura, la produzione letteraria di Pino include anche una lettera indirizzata all’umanista padovano Alvise Cornaro «intorno alla vita sobria», databile al 1559 circa, notevole per i suoi riferimenti eruditi a Dante e Filone Ebreo (Alvise Cornaro, Scritti sulla vita sobria, a cura di M. Milani, Venezia 1983, pp. 177-180), e una seconda epistola consolatoria inviata allo stesso in occasione della morte del nipote Ferigo Cornaro, datata «Vinegia 20 luglio del 1564» (ibid., pp. 219 s.).
La sua reputazione di uomo di lettere è inoltre attestata da una missiva di Anton Francesco Doni inclusa nel suo volume di Lettere (Venezia 1551, pp. 293-297), dalla quale emergono curiosità e competenze nel campo dell’antiquaria latina. Di un certo interesse è infine l’aneddoto sull’attività di ritrattista raccontato da Marco Mantova Benavides nel suo Dialogo nel quale si contengono varii discorsi (Padova 1561, p. 21), che conferma la stretta familiarità con uno dei principali esponenti della cultura padovana del Cinquecento. Ulteriori componimenti di sua mano, andati perduti, sono citati ancora da Doni, che nella sua Libraria menzionava come inedite alcune sue «ecloghe pastorali» (Venetia 1551, c. 100v), e da Francesco Sansovino, che ricordava come opera di «Paolo Pino peritissimo nella pittura [...] un Dialogo dello huomo e della sua proprietà, due commedie e diversi altri poemi» (Venezia città nobilissima et singolare, Venezia 1581, c. 257v). Perplessità in apparenza ingiustificate sono state occasionalmente espresse sulla correttezza di queste annotazioni, potenzialmente ascrivibili anche a qualche omonimo del pittore (Mancini, 1994, p. 90, nota 19).
Del Dialogo di pittura esistono diverse edizioni critiche, tra cui si segnala quella curata da Anna e Rodolfo Pallucchini (Venezia 1946), e quella di Paola Barocchi (in Trattati d’arte del Cinquecento, I, Roma-Bari 1960, testo alle pp. 93-119, commento alle pp. 396-432); numerose sono anche le traduzioni in lingua straniera (rumeno, inglese, giapponese, portoghese, francese).
Fonti e Bibl.: D.M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di disegno, Venezia, II, 1803, pp. 53 s., 67; L. Venturi, La critique d’art en Italie à l’epoque de la Renaissance. III. Pierre Aretin, P. P., Louis Dolce, in Gazette des beaux-arts, IX (1924), pp. 39-48; C. Gilbert, Antique framework for Renaissance art theory: Alberti and P., in Marsyas, III (1943-1945), pp. 87-106; A. Pallucchini - R. Pallucchini, Introduzione, in P. P., Dialogo di pittura (1548), Venezia 1946, pp. 11-56; F. Cessi, Una polizza inedita di P. P., in Arte veneta, XII (1958), pp. 196 s.; J. Schlosser Magnino, La letteratura artistica..., Firenze-Wien 1964, pp. 239-243; E. Battisti, Tendenze all’unità verso la metà del Cinquecento, in Bollettino CISA Palladio, X (1968), pp. 127-146; M. Barash, Light and color in the Italian Renaissance theory of art, New York 1978, pp. 91-111; D. Rosand, Painting in Cinquecento Venice: Titian, Veronese, Tintoretto, New Haven-London 1982, ad ind.; L. Sesler, Significativi aspetti della pittura attraverso i secoli..., in Il complesso di San Francesco Grande in Padova. Storia e arte, Padova 1983, pp. 125-148; M. Pardo, P. Pino’s Dialogo di pittura: a translation with commentary, PhD diss., Ann Arbor 1984; A. Mazza, scheda, in Giovanni Gerolamo Savoldo: tra Foppa, Giorgone e Caravaggio (catal., Brescia, 1990), a cura di B. Passamani, pp. 301-305; T. Puttfarken, The dispute about Disegno and Colorito in Venice: P. P., Lodovico Dolce and Titian, in Kunst und Kunsttheorie, 1400-1900, a cura di P. Ganz et al., Wiesbaden 1991, pp. 75-99; G. Fossaluzza, Proposte attributive per Pino ritrattista, in P. P. teorico d’arte e artista, a cura di A. Mazza, Scorzè 1992, pp. 91-106; M. Hochmann, Peintres et commanditaires à Venise (1540-1628), Rome 1992, pp. 59-61, 127-31; S. Mason Rinaldi, La ritrattistica di P. P. e una divagazione..., in P. P. teorico d’arte e artista, a cura di A. Mazza, Scorzè 1992, pp. 79-90; A. Mazza, Due pale d’alare di P. P., ibid., pp. 51-78; M. Pardo, Testo e contesti del «Dialogo di pittura» di P. P., ibid., pp. 33-49; L. Puppi, Peregrinazioni (in forma di appunti) attorno ad un enigma, ibid., pp. 10-31; V. Mancini, In margine a un volume monografico su P. P..., in Arte veneta, XLVI (1994), pp. 83-91; M. Pozzi, Lettura del Dialogo di pittura di P. P., in Id., Ai confini della letteratura, II, Alessandria 1999, pp. 20-47; G.C. Sciolla, Grazia, prestezza, terribilità: definizione e ricezione della pittura in P. P. e Lodovico Dolce, in Arte documento, XIV (2000), pp. 92-95; M. Brock, Narcisse ou l’amour de la peinture: le Dialogo di Pittura di P. P., in Albertiana, IV (2001), pp. 189-227; E. Carrara, Francesco Sansovino letterato e intendente d’arte, in Arte veneta, LIX (2002), pp. 229-238; M. Hochmann, Venise et Rome 1500-1600..., Genève 2004, pp. 59-62; E. Carrara, Doni, Vasari, Borghini e la tecnica del mosaico, in Fra lo «spedale» e il principe. Vincenzio Borghini..., a cura di G. Bertoli - R. Drusi, Padova 2005, pp. 79-93; P. Dubus, Un nouvel Alberti à Venise? Le Dialogo di pittura de P. P. et le De Pictura de Leon Battista Alberti, in Venezia Cinquecento, XL (2010), pp. 167-181; M. Bert, Figures de l’anecdote plinienne dans la littérature artistique de la Renaissance. Le cas du Dialogo di pittura (1548) de P. P., in Le théorie subreptice..., a cura di E. Hennin et al., Turnhout 2012, pp. 53-72.