OROSIO, Paolo
Prete e scrittore spagnolo, nato con ogni probabilità a Bracara (odierna Braga), morto dopo il 418. Le sole notizie sicure che s'abbiano di lui si riferiscono al quadriennio 414-418. Nel 414 egli giunge a Ippona, presso S. Agostino, sia per sfuggire all'invasione dei barbari, sia per chiedere lumi ad Agostino in merito alle controversie teologiche sull'origine dell'anima, che allora agitavano la chiesa spagnola. La memoria presentata da O. ad Agostino in questa occasione (Commonitorium de errore Priscillianistarum et Origenistarum, nell'ed. di Priscilliano a cura di G. Schepss, Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum, XXXI, Vienna 1889, pp. 150-157) mostra quanto superficiale fosse la sua preparazione teologica. La . quale non si giovò notevolmente dal contatto con S. Agostino se, recatosi O., per consiglio dello stesso (lo scritto di Agostino Ad Orosium contra Priscillianistas et Origenistas risponde solo in parte alle difficoltà del discepolo), a Betlemme presso S. Girolamo (primavera del 415) e unitosi con questo nella lotta contro Pelagio (v. pelagianismo), poté essere accusato di eresia dallo stesso vescovo di Gerusalemme, Giovanni, in seguito al poco felice dibattito pubblico sostenuto da O. contro Pelagio a Gerusalemme il 30 luglio 415. Il Liber apologeticus di O. (ed. di C. Zangemeister, nel cit. Corpus, V, Vienna 1882, pp. 603-664) vuole essere una difesa dell'atteggiamento da lui assunto in questa circostanza e insieme un attacco a fondo contro Pelagio. Nella primavera del 416 O. tornò a Ippona e cercò di passare in patria. Ma dovette arrestare il suo viaggio alle Baleari e fece poi ritorno a Ippona dove, per sollecitazione di S. Agostino, redasse in poco meno che due anni (416-417) gli Historiarum adversus paganos libri septem (ed. cit. di C. Zangemeister, pp.1-600) che sono la sua opera maggiore.
L'Adversus paganos si riconnette strettamente col libro III del De Civitate agostiniano, e si propone di ribattere l'accusa che il cristianesimo fosse. causa dei mali che allora travagliavano il mondo, mostrando che avvenimenti tragici avevano sempre agitato il mondo, che gli dei pagani non avevano saputo evitarli, e che l'età cristiana era senza dubbio migliore di quella pagana. In questa opera, giustamente definita come museo degli orrori della storia, O. sfrutta largamente la Cronaca di Eusebio nella redazione geronimiana, Sallustio, Svetonio, Giustino (l'epitomatore di Pompeo Trogo), un' Epitome, oggi perduta, di Tito Livio, Floro ed Eutropio. A ognuno dei sette libri corrisponde una delle grandi divisioni fatta da O. nella storia: dalla creazione del mondo fino alla fondazione di Roma; fino alla conquista di Roma da parte dei Galli e alla battaglia di Cunassa; fino alla divisione dell'impero di Alessandro; fino alla distruzione di Cartagine; fino alla prima guerra civile; fino alla nascita di Cristo; fino al 417. L'opera - largamente sfruttata da Prospero, Giordane, Gregorio di Tours, Beda, Paolo Diacono; fatta tradurre e adattare da re Alfredo il Grande (testo della versione anglo-sassone a cura di H. Sweet, Londra 1883); tradotta anche in arabo - fu certamente uno dei testi di storia antica più accreditati nel Medioevo. Oggi ha un certo interesse solo come primo saggio di storia universale redatto da penna cristiana, e per le idee di O. che si riducono a poco più di una confusa apologia del governo della Provvidenza sul mondo. Per il resto, se O. non sa sottrarsi ogni tanto al fascino di Roma e della sua storia, sostiene che la vera unità romana si è realizzata solo col cristianesimo, e che essa sarà perfetta solo quando i barbari (il giudizio benevolo e indulgente sui barbari prelude al De Gubernatione Dei di Salviano) participeranno ad essa.
Bibl.: Oltre quella citata da O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchl. Litt., IV, Friburgo in B. 1922, pp. 529-533, v.: J. A. Davids, De Orosio et S. Augustino priscillianistarum adversariis, L'Aia 1930; J. Svennung, Orosiana, Upsala 1921.