MURIALDI, Paolo
– Nacque a Genova l’8 settembre 1919, da Vezio, noto giornalista sportivo genovese, e da Maria Mellano.
Il nonno paterno, Luigi, scomparso nel 1920 a soli 48 anni, era stato deputato riformista nel 1913 e nel 1919, e nel luglio 1919 aveva ricoperto la carica di sottosegretario nel governo formato da Francesco Saverio Nitti.
Nel 1939, giovanissimo studente universitario, Murialdi esordì come giornalista sulle pagine de IlSecolo XIX iniziando così il lavoro, e la passione, di tutta una vita, e laureandosi solo più tardi in giurisprudenza senza peraltro mai praticare la professione. Sottotenente degli alpini nel battaglione Mondovì, dopo l’8 settembre 1943 scelse di partecipare alla Resistenza nelle Brigate Garibaldi dell’Oltrepò pavese: «Mi arruolai in un campo di meliga della cascina chiamata la Fogliarina», ricordò senza retorica in un bel libro-testimonianza su quegli anni, La traversata. Settembre 1943-dicembre 1945 (Bologna 2001, p. 11). E senza retorica scelse il nome di battaglia: «qui nessuno mi conosce e posso continuare a farmi chiamare Paolo, come nella vita» (ibid., p. 23). Gli aveva dato appuntamento in quel campo di meliga di Montebello della Battaglia un amico genovese originario di quella zona e di otto anni più anziano, già suo comandante di compagnia nell’esercito: Italo Pietra, che sarebbe stato poi suo direttore a Il Giorno.
Ne La traversata Murialdi riconsegna il clima del tempo e rivisita con lucidità e misura le questioni storiografiche più intricate connesse a quel periodo, ivi compreso il nodo della violenza partigiana dopo il 25 aprile. A riassumere il senso del libro, Murialdi volle porre all’inizio una citazione di Italo Calvino, «Siamo uguali davanti alla morte, non davanti alla storia», e una di Josif Brodskij «L’animo precede la penna e non permette alla penna di tradirlo». E in uno dei pochissimi discorsi che tenne il 25 aprile 2005 a Stradella, in quell’Oltrepò pavese in cui aveva combattuto, criticò la lettura dell’8 settembre come morte della Patria: «fu invece – disse – il punto di rinascita della Patria».
Aveva anticipato un episodio di quei mesi già il 7 ottobre 1945 nel settimanale romano Domenica raccontando la vicenda di Calvi di Bergolo, partigiano mancato. Genero del re, Carlo Calvi di Bergolo aveva espresso l’intenzione di arruolarsi nelle brigate dell’Oltrepò ma, in un secondo momento e non molto gloriosamente, mentre era già stata avviata una rischiosa operazione per aiutarlo a realizzare quel proposito, aveva fatto marcia indietro. Così – scrisse poi Murialdi ne La traversata – il «quasi Savoia» perse l’occasione di essere fra i partigiani dell’Oltrepò, i primi a entrare a Milano nell’aprile 1945 e, con essa, la monarchia perse una possibile carta da giocare in proprio favore nel referendum del 2 giugno (l’articolo del 1945 fu poi riprodotto in Il coraggio del no. Figure e fatti della Resistenza in provincia di Pavia,a cura di U. Alfassio Grimaldi, Pavia 1976, pp. 239-246).
Nel dopoguerra Murialdi lavorò prima a Milano sera, poi all’Avanti! e – dopo la scissione socialista di Palazzo Barberini – all’Umanità, sino ad approdare nel 1950 al Corriere della sera. Lasciò il quotidiano di via Solferino nel 1956 per partecipare, come redattore capo (collega tra gli altri di Giorgio Bocca e Gianni Brera) all’esperienza dell’innovativo quotidiano Il Giorno, finanziato dall’ENI di Enrico Mattei e dall’editore Cino del Duca, fondato e diretto da Gaetano Baldacci fino al 1960 quando fu sostituito da Pietra.
In quegli anni il quotidiano dell’ENI, fautore del centrosinistra in politica interna e di una politica estera più autonoma rispetto agli Stati Uniti, contribuì in maniera determinante – anche grazie all’adozione di un moderno impianto grafico (con grandi fotografie a colori) e a un’informazione a un tempo popolare e d’opinione – allo svecchiamento del giornalismo italiano. La pagina culturale, di cui Murialdi fu responsabile, fu un esempio di innovazione sul terreno dei contenuti e su quello dei linguaggi (V. Emiliani, Orfani e bastardi. Milano e l’Italia viste dal “Giorno”, Roma 2009). Ne fu un limpido esempio la serie Cento libri in ogni casa che il quotidiano iniziò a pubblicare il 4 ottobre 1960, negli anni del primo diffondersi della cultura di massa in Italia, presentandola come La biblioteca che la scuola non vi ha suggerito: 100 agili e acute schede sui grandi capolavori della cultura umanistica compilate da Cesare Garboli e Giorgio Manganelli, con il contributo di Roberto De Monticelli per le opere teatrali (quei testi furono poi riproposti in C. Garboli - G. Manganelli, Cento libri per due secoli di letteratura, prefazione di P. Murialdi, Milano 1989). Collaborarono alla pagina culturale de Il Giorno anche Pietro Citati, Alberto Arbasino e molti altri scrittori: da Giorgio Bassani a Carlo Cassola, da Pier Paolo Pasolini a Italo Calvino e a Carlo Emilio Gadda.
Quella ricchissima stagione del quotidiano iniziò a declinare fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo e si concluse di fatto con l’allontanamento dalla direzione di Pietra, sostituito da Gaetano Afeltra nel 1972. Murialdi non rimase ancora a lungo al giornale, ne uscì nel 1973 e iniziò quel lavoro di storico del giornalismo cui si preparava da tempo e che resta il suo contributo centrale alla cultura italiana. Pubblicò allora il suo primo, fondamentale libro, La stampa italiana del dopoguerra 1943-1972, Roma-Bari 1973 (poi ristampato più volte), al quale fecero seguito i saggi comparsi nella Storia della stampa italiana curata da Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia per l’editore Laterza e molte monografie specifiche dedicate alla stampa durante il fascismo (La stampa del regime fascista, Roma-Bari 1986) e negli anni della Repubblica (La stampa italiana dalla Liberazione alla crisi di fine secolo, Roma-Bari 1995), sino alla Storia del giornalismo italiano (Bologna 1996) che arrivava ad abbracciare un arco temporale plurisecolare: volumi, tutti, che uniscono rigore e scrupolo di ricerca, grande chiarezza espositiva e capacità di approfondimento, con una costante attenzione al succedersi dei climi culturali e politici e al tempo stesso al modificarsi delle forme e degli strumenti del «mestiere di giornalista». Al giornalismo durante il ventennio Murialdi dedicò anche un programma televisivo in quattro puntate, Le veline del ventennio, trasmesso da Rai 2 nel luglio-agosto 1984.
Alla metà degli anni Settanta pubblicò Come si legge un giornale (Bari-Roma 1975), uno strumento prezioso per un primo approccio critico alla lettura dei quotidiani, anch’esso ripetutamente ristampato e largamente utilizzato nella didattica delle scuole medie superiori e dell’università (così come sarebbe stato per un altro suo agile libro successivo, Il giornale, Bologna 1998). L’insegnamento universitario, del resto, lo vide a lungo impegnato, in primo luogo nell’ateneo torinese (al quale lasciò nel 2001 ampia parte della sua biblioteca relativa al giornalismo), e poi all’Università Bocconi di Milano, ove diresse il Laboratorio per la comunicazione economica e finanziaria.
Al rinnovamento culturale del mondo giornalistico contribuì in molte altre forme. Nel 1974, in una fase di grande effervescenza e ansie di rinnovamento, e in un combattutissimo congresso, Murialdi fu eletto Presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, incarico tenuto sino al 1981 partecipando da protagonista alle discussioni sulla legge di riforma dell’editoria e fornendo un contributo di rilievo alla rottura degli orizzonti corporativi ancora largamente presenti nella categoria. Alla Federazione collaborò anche negli anni successivi, promuovendo fra l’altro la pubblicazione di un volume a più voci dedicato alla sua rifondazione dopo la caduta del fascismo (“Oggi 26 luglio 1943 alle ore 9...”. Risorge la Federazionedella stampa, prefazione di Miriam Mafai, Roma 1986).
Dal 1986 al 1990 fu tesoriere della Federazione Internazionale della Stampa. Nel 1976 fondò la rivista Problemi dell’informazione, che divenne subito strumento fondamentale di conoscenza e di dibattito culturale e che diresse fino al 1998. Nel luglio 1993 fu nominato dagli allora presidenti di Camera e Senato, Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, consigliere d’amministrazione della Rai, in quel ‘consiglio dei professori’ del quale fecero parte anche Claudio Dematté, presidente, Feliciano Benvenuti, Tullio Gregory ed Elvira Sellerio, e che iniziò un’opera di rinnovamento del servizio pubblico radiotelevisivo, interrotta, nel luglio dell’anno successivo, dal primo governo presieduto da Silvio Berlusconi: su quella esperienza, e più ancora sulla difficoltà complessiva della transizione italiana di quel periodo, Murialdi scrisse allora una lucida e amara testimonianza (Maledetti “professori”. Diario di un anno alla Rai, Milano 1994).
Proseguì poi il suo lavoro di storico del giornalismo fino alla morte, avvenuta a Milano il 13 giugno 2006.
Nel 1976 aveva sposato la triestina Cristina Janesich, vedova, e già collaboratrice dello storico dell’arte veneta Antonio Morassi, sino alla sua scomparsa.
Fonti e Bibl.: L’archivio Murialdi (corrispondenza, bozze, relazioni, appunti e ritagli stampa, e parte della sua biblioteca ed emeroteca) è depositato a Milano presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (www.fondazionemonda-dori.it).