MORRONE, Paolo
MORRONE, Paolo. – Nacque il 3 luglio 1854 a Torre Annunziata (Napoli), da Luigi e da Maria Cirillo.
La famiglia apparteneva alla media borghesia agiata con tradizioni professionali e contava qualche prelato di rilievo (anche un suo fratello divenne sacerdote).
Dal 10 ottobre 1871 allievo della Scuola militare di fanteria a Modena, il 23 agosto 1884 acquisì il grado di sottotenente del 26° reggimento di fanteria, di stanza a Bergamo. Nel 1884 frequentò il terzo anno della Scuola di guerra per il passaggio allo stato maggiore, risultando primo del suo corso. Nello stesso periodo frequentarono la Scuola molti ufficiali che avrebbero fatto la storia dell’esercito italiano nella Grande guerra: fra loro, al secondo anno, il capitano Carlo Porro, futuro sottocapo di stato maggiore di Luigi Cadorna, e i tenenti Guglielmo Pecori Giraldi, Alfonso de Chaurand de St. Eustache ed Ettore Mambretti; al primo anno, il tenente Luigi Capello.
Morrone divenne capitano con anzianità 22 ottobre 1884, sempre presso il 26° fanteria, e poi, completata la Scuola, capitano nel corpo di stato maggiore il 26 settembre 1886. Nel 1890 fu inviato nella colonia Eritrea, appena istituita, partecipando alle operazioni per il consolidamento del controllo italiano. Tornato in patria, l’8 dicembre 1892 venne promosso maggiore del corpo di stato maggiore e dall’8 marzo 1894 fu addetto al comando del V corpo d’armata. Dal 31 gennaio 1896 fu addetto al comando del corpo di stato maggiore a Roma.
Divenuto ufficiale superiore, sposò Anna Sironi, nipote del generale Giovanni Sironi, dalla quale ebbe tre figli: Giuseppe e Achille, che avrebbero partecipato alla Grande guerra come ufficiali, e Antonio, nato nel 1903. La moglie morì nel 1912.
Nominato capo di stato maggiore della divisione militare di Ancona il 14 gennaio 1897, Morrone fu successivamente impiegato presso lo stato maggiore come ufficiale addetto al reparto operazioni. In quegli stessi uffici agivano in quel tempo, entrambi col grado di capitano, Vittorio Zupelli e Armando Diaz. Raggiunse il grado di tenente colonnello l’8 luglio 1897 e quello di colonnello, come comandante del 37° reggimento di fanteria, di stanza a Mantova, il 21 marzo 1901. Due anni dopo, il 18 gennaio 1903, fu nominato capo di stato maggiore del IX corpo d’armata, a Roma, e il 23 gennaio 1908 maggiore generale e comandante della brigata Sicilia, di stanza a Forlì e poi a Parma. Il 12 luglio 1911 divenne comandante della divisione militare di Chieti e il 31 dicembre di quell’anno fu promosso tenente generale, sempre con quel comando.
Ormai entrato nella cerchia dei maggiori comandanti dell’esercito, dal 16 gennaio 1913, come addetto al comando del corpo dello stato maggiore, diresse una sezione dell’intendenza presso lo stato maggiore a Roma ed ebbe un ruolo di rilievo nel supporto alle operazioni in Libia come collaboratore diretto del capo di stato maggiore, generale Alberto Pollio. La posizione preminente lo pose a diretto contatto anche col mondo politico, rispetto al quale seppe rivestire ruoli di rilievo, pur essendo poco propenso a mettersi in evidenza al di fuori della sfera professionale e pur nutrendo, secondo la tradizione, una certa diffidenza verso i politici.
Ferdinando Martini, ministro delle Colonie nel primo e nel secondo governo Salandra, nell’autunno del 1914 lo indicò come possibile governatore della Tripolitania ma il ruolo di intendente ricoperto da Morrone lo rese, in quella fase, indisponibile. L’11 marzo 1915 assunse il comando del XIV corpo d’armata, che venne mobilitato il 16 luglio seguente. Operò nelle azioni offensive contro il massiccio del San Michele, nel settore sud della testa di ponte austriaca a Gorizia, dove i combattimenti raggiunsero particolare intensità (specie nell’area Mochetta-Sagrado). Per questa campagna, condotta tra l’estate e l’autunno, venne insignito di medaglia d’argento al valor militare, oltre che del titolo di commendatore dell’ordine militare di Savoia.
Il 4 aprile 1916 fu nominato ministro della Guerra nel secondo gabinetto Salandra, in sostituzione del generale Zupelli, che era in contrasto con Luigi Cadorna a proposito della condotta generale delle operazioni belliche e, in accordo col ministro degli Esteri Sidney Sonnino, aveva patrocinato un ampio intervento italiano in Albania, sfociato nel marzo precedente in una difficoltosa ritirata. Morrone fu indicato al presidente del Consiglio proprio da Cadorna, peraltro dopo che il primo nome suggerito da questo, il suo sottocapo di stato maggiore, generale Porro, aveva declinato l’offerta. Il 15 maggio Morrone ricevette la nomina a senatore.
Morrone fu l’anello di congiunzione tra governo e comando supremo nella crisi di fine maggio del 1916, che vide le gravi difficoltà del fronte trentino durante la Strafexpedition (spedizione punitiva) guidata dal generale austriaco Franz Conrad. Fu lui a recarsi al comando a Udine quale emissario del governo e a farsi a sua volta latore a Roma delle puntualizzazioni di Cadorna. Morrone sostanzialmente le avallò, sia in termini di interpretazione della crisi militare (in riferimento a un presunto cedimento politico di alcuni reparti) sia mediando di fronte all’opinione degli altri ministri e in particolare offrendo rassicurazioni a proposito delle prese di posizione del comando supremo, che aveva allarmato il governo paventando la necessità di una ritirata sul Piave. Pur legato a Cadorna, Morrone mantenne in questa fase una certa autonoma capacità di navigazione nell’ambiente governativo, mostrando in alcune fasi di assecondare anche le voci critiche nei confronti del comando supremo, pur ufficialmente coprendolo, ed entrando anche nel merito della indicazione di alcuni possibili successori (i generali Clemente Lequio o Luigi Zuccari, secondo alcune fonti).
In sostanza, apparve legato a Cadorna e omogeneo alla sua impostazione autoritaria della guerra, ma non incapace di muoversi in autonomia nell’ambiente romano. La sua funzione restò comunque quella di collegamento tra comando supremo e governo, con impegno orientato alla mobilitazione interna secondo i dettami e le richieste del ‘generalissimo’. Ebbe dunque un ruolo minore, mentre lo sforzo economico era governato da un’altra figura di militare, influente ed autorevole come quella del generale Alfredo Dallolio. Morrone sposò senza riserve l’atteggiamento sospettoso di Cadorna nei confronti del ‘fronte interno’ ed emanò provvedimenti e circolari che ricalcavano le preoccupazioni e le accuse del comando supremo nei confronti del ‘disfattismo’ e delle posizioni non rigidamente allineate ai doveri della guerra. Condivise pertanto la visione della superiorità dell’impegno militare che era propria di Cadorna, da cui fu trattato con benevolenza, anche se nei momenti di maggiore pressione il generale sottolineò la debolezza del suo approccio nei confronti del governo.
Morrone conservò il dicastero della Guerra anche nel governo Boselli fino al giugno 1917. La sua uscita coincise col tentativo delle correnti interventiste, guidate da Leonida Bissolati, di indurre alle dimissioni il ministro degli Interni Vittorio Emanuele Orlando. Insieme a Morrone si ritirò invece dal governo il ministro della Marina, ammiraglio Camillo Corsi. Essi furono sostituiti rispettivamente dal generale Gaetano Giardino, molto legato a Cadorna, al ministero della Guerra e dal viceammiraglio Arturo Triangi a quello della Marina.
L’impegno di Morrone nel corso della guerra proseguì con l’assunzione della carica di presidente del Tribunale supremo di guerra e marina, che tenne dal 21 ottobre 1917 al 7 marzo 1918. Successivamente, nell’estate-autunno del 1918, fu al comando della IX armata, tenuta come riserva generale, senza partecipare all’offensiva finale di Vittorio Veneto. Mantenne tale comando sino al febbraio 1919. Collocato su sua domanda in posizione ausiliaria speciale nel 1922, venne richiamato in servizio l’anno seguente come comandante designato d’armata e dal 1° febbraio 1923 ebbe il grado di generale d’armata.
Nell’immediato dopoguerra, come membro del nucleo ristretto dei generali artefici della vittoria, Morrone fu partecipe delle dinamiche politiche e parlamentari inerenti le ipotesi di rinnovamento delle forze armate. Nel clima orientato alla riforma seguito alla guerra e alle polemiche intorno all’inchiesta su Caporetto, fu membro della Commissione parlamentare per la riforma della legislazione militare presieduta dal senatore, ex socialista riformista, Agostino Berenini e in questa sede si fece promotore di un articolo per il nuovo codice penale militare di guerra che vietasse esplicitamente il ricorso alla pratica della decimazione. Con Armando Diaz, il duca d’Aosta, Gaetano Giardino, Pietro Badoglio, Enrico Caviglia, Guglielmo Pecori Giraldi e Giulio Tassoni fece inoltre parte della cerchia di generali invitati dal ministro della Guerra Ivanoe Bonomi, alla fine del 1920, a esprimersi a proposito di un progetto di riforma dell’alto comando, valutando l’ipotesi di adottare il modello francese, che attribuiva la guida a un collegio, il consiglio dell’esercito, piuttosto che a un solo comandante (se non a fronte di un conflitto). Morrone fu tra coloro che approvarono la nuova formula, auspicando, con Badoglio, Pecori Giraldi e Caviglia, la nomina di un comandante supremo in caso di guerra sin dal tempo di pace. Il nuovo organo prese vita nel febbraio 1921, esautorando di fatto il capo di stato maggiore precedente, Badoglio, che infatti diede le dimissioni e fu sostituito da un ufficiale meno noto (il generale di corpo d’armata Giuseppe Vaccari).
Si trattava di un organismo destinato a cementare l’autonomia dell’esercito e nel contempo a garantire un certo conservatorismo nella sua conduzione, di fronte alle eventuali pressioni di un ministro intraprendente. Fu di fatto quanto avvenne tra la fine del 1924 e l’aprile del 1925, quando il progetto di riforma del generale e ministro Antonino Di Giorgio fu rigettato dal consiglio, con una combinazione di motivazioni tecniche e di scelte legate a rivalità personali. Morrone votò con la larga maggioranza dei generali, secondo una linea di difesa dell’operato dei principali personaggi e gruppi di potere all’interno dell’istituzione.
Morrone assecondò sostanzialmente l’accordo di fondo tra Mussolini e le forze armate e garantì il proprio appoggio al nascente regime. Il 15 maggio 1929 si iscrisse al Partito nazionale fascista presso la federazione di Napoli (fascio di Torre Annunziata), con retrodatazione al 20 febbraio 1921. Come senatore fu presente in alcune commissioni di attinenza non esclusivamente militare: fu membro infatti della commissione finanze (2 maggio 1929-16 dicembre 1930), della commissione per l’esame del disegno di legge «Soppressione del vincolo dell’età per il matrimonio degli ufficiali del Regio esercito» (5 giugno 1929) e della commissione d’istruzione dell’Alta corte di giustizia (25 giugno-17 dicembre 1929), che presiedette dal 27 dicembre 1929 al 19 gennaio 1934 e dal 1° maggio 1934 al 4 gennaio 1937. Mantenne sempre un saldo vincolo con la sfera dinastica e fu membro del consiglio dell’Ordine militare di Savoia e della giunta per gli Ordini dei Ss. Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia.
Morì a Roma il 4 gennaio 1937.
Fonti e Bibl.: E. Serao, P. M.: ministro della IV guerra della redenzione italica, Napoli 1917; Ministero della Guerra, Per una riforma della legislazione militare. Lavori della Commissione istituita con R.D. 16 novembre 1920, raccolti e pubblicati a cura del presidente on. prof. A. Berenini, senatore del Regno, e dal segretario G.C. Rubbiani, Roma 1925; L. Albertini, Venti anni di vita politica,p.te 2a, L’Italia nella guerra mondiale, II, L’Italia dalla dichiarazione di guerra alla vigilia di Caporetto, Bologna 1952, ad ind.;P. Pieri, L’Italia nella prima guerra mondiale, Torino 1965, ad ind.; L. Cadorna, Lettere famigliari, a cura di R. Cadorna, Milano 1967, ad ind.; L. Albertini, Epistolario 1911-1926, a cura di O. Bariè, I-II, Milano 1968, ad ind.; P. Melograni, Storia politica della Grande Guerra 1915-1918, Bari 1969, ad ind.; F. Martini, Diario 1914 -1918, a cura di G. De Rosa, Milano 1971; M. Isnenghi - G. Rochat, La Grande Guerra, 1914-1918, Bologna 2008, ad indicem.