MONALDI, Paolo. – Figlio di Giuseppe Alessandro,
nacque a Roma fra il 29 luglio 1704 e il 28 luglio 1705, come si deduce dalle ricerche archivistiche (P. Monaldi. La predica …) che consentono di ricostruire con maggior esattezza la biografia del M., rendendo più pertinenti anche le datazioni delle opere a lui attribuite.
La registrazione dell’atto di morte, conservato presso l’Archivio storico del Vicariato di Roma, testimonia che il M. morì il 28 luglio 1780 all’età di settantacinque anni. Pur non essendo stata rinvenuta la registrazione del battesimo, il documento consente di stabilire la data di nascita e anticipa sensibilmente quelle proposte nei dizionari biografici. Secondo Rudolph, il M. nacque infatti intorno al 1725 e morì dopo il 1779; Sestieri invece ne collocava la nascita al 1720 circa.
Non risulta documentata la sua supposta parentela con gli scultori romani Giacomo e Carlo Monaldi.
La registrazione della morte del M. fornisce inoltre indicazioni sulla sua origine romana e sull’appartenenza del suo nucleo familiare alla parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, presso cui risulta essersi sposato il 14 dic. 1727 con Maria Anna Moroni.
Nella licenza matrimoniale, registrata nello stesso anno, compare il nome del padre del M., appartenente alla parrocchia di S. Apollinare; la giovane Anna Moroni è indicata come figlia di Giovanni Battista della parrocchia di S. Lorenzo in Lucina.
L’atto notarile, conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, per la consegna della dote di 1000 scudi al padre dello sposo, lascia inoltre supporre una considerevole disponibilità economica dei Moroni, che quindi difficilmente avrebbero accolto il M. senza la garanzia di una posizione quantomeno di agiatezza.
Gli inventari dei beni posseduti da Giuseppe Alessandro e da Giovanni Battista, redatti successivamente alla loro morte, confermano infatti il riguardevole tenore di vita delle due famiglie, entrambe proprietarie di apprezzabili quantità di oggetti preziosi e dipinti.
Il documento redatto nel 1727 per la consegna della dote rende inoltre la prima significativa testimonianza della vicinanza del M. all’ambiente artistico, perché indica il quarantatreenne pittore Marco Benefial, oltre che in qualità di testimone, anche come benevolo intercessore per le trattative matrimoniali. È significativa l’intima vicinanza del giovane M. con il più maturo Benefial, una tra le figure più inquiete e indipendenti dello scenario artistico romano che nei decenni successivi si fece portatore di un forte e appassionato naturalismo, di cui è massima espressione la Morte della beata Giacinta Marescotti della basilica di S. Lorenzo in Lucina. Secondo le testimonianze d’archivio, la presenza del M. nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina è attestata ininterrottamente in via Frattina dal 1738 fino al 1780; tuttavia è solo dal 1740 che viene descritto come «pittore». Dal 1741 al 1744 la presenza del suo nucleo familiare è registrata di seguito al domicilio di Giovanni Battista Moroni, indicato come falegname.
A ulteriore conferma del considerevole prestigio sociale goduto dalle famiglie Moroni e Monaldi, è interessante constatare che al contrario della maggioranza degli artisti e degli artigiani registrati negli stessi anni negli Stati delle anime di S. Lorenzo in Lucina, i nominativi di Giovanni Battista Moroni e del M. sono preceduti dall’appellativo «Sign.».
Dal matrimonio con Anna Moroni nacquero diversi figli, tra i quali Pietro, che intraprese la carriera ecclesiastica, e Caterina, per la quale nel 1750 i coniugi Monaldi avanzarono la richiesta di prelevare dalla dote matrimoniale 1100 scudi per consentirle di entrare nel monastero della Ss. Concezione di Maria.
Nonostante la frequente presenza sul mercato antiquario di dipinti firmati dal M. con le iniziali «P. M.», solitamente apposte su brocche di terraglia, fino a oggi non sono state condotte ricerche approfondite sul pittore, genericamente indicato nei dizionari biografici come «allievo di Andrea Locatelli» (La pittura del Settecento a Roma). Anche le cronache del tempo ne ignorano l’attività e l’abate Luigi Lanzi lo cita solo in appendice alla voce relativa a Locatelli. Le evidenti analogie con il più noto paesista hanno spesso ingenerato confusione nell’attribuzione di opere conservate in collezioni italiane e internazionali, che ancora attendono di essere restituite al legittimo autore.
Resta significativo il contributo di Busiri Vici, volto al recupero del M. come esponente di una corrente figurativa aggiornata sul gusto rocaille delle culture d’Oltralpe. Lo studioso ricostruisce le commissioni più importanti del M., centrando l’attenzione sul ciclo pittorico di villa Chigi, affidato al pittore dal cardinale Flavio (II) Chigi per la sua villa suburbana fuori porta Salaria. La matrice della produzione artistica del M., tradizionalmente legata alla pittura di genere, non va rintracciata nei bamboccianti del Seicento, bensì nella declinazione arcadico-pastorale operata nel secolo successivo da artisti quali Andrea Locatelli e Bertoldo Crespi.
Tra le opere più raffinate del M. è da segnalare il dipinto raffigurante il Cavallo Aquilino, già della collezione Rospigliosi, oggi conservato presso il Museo di Roma a palazzo Braschi, che oltre alle iniziali dell’autore reca la data 1757.
Al di là dei numerosi dipinti con scene contadine ambientate nell’Agro e passati attraverso il mercato antiquario italiano e internazionale, vanno menzionati gli ovali raffiguranti la Visita alla fattoria del Musée des beaux-arts di Bordeaux e la Danza di contadini del Musée d’art et d’archéologie di Périgueux. La Scena d’interno della collezione Oasi di Roma (pubblicata da Sestieri) testimonia l’aggiornamento della cultura figurativa del M., pienamente in linea con le suggestioni coeve transalpine che trovano rari paralleli nella produzione romana. Le sottigliezze materiche e la finezza esecutiva del dipinto rimandano inoltre a quel raffinamento estetico operato in particolare dall’entourage francese attivo a Roma dai primi decenni del XVIII secolo.
Il ciclo più noto del M. resta comunque la serie realizzata tra il 1766 e il 1771 per la villa suburbana del cardinale Flavio (II) Chigi, in parte eseguita in collaborazione con Paolo Anesi.
Le tele si contraddistinguono per la rilevante presenza del partito figurativo a cui è affidato un ruolo tutt’altro che marginale, come invece accade in gran parte della pittura di paesaggio del Settecento. In alcuni casi l’ambientazione pastorale è accompagnata dalla rappresentazione di episodi di vita agreste inscenati con una connotazione di gusto teatrale, grazie anche alla marcata gestualità dei personaggi, che tuttavia non cedono ad alcun intento ironico. Lo sguardo sereno ed edulcorato alla vita contadina rimanda invece a un’ideale felicità di certo connessa alle tematiche letterarie allora diffuse dall’Accademia dell’Arcadia.
Oltre alle più note scene di bambocciate, sono da ascrivere già al sesto decennio del Settecento anche le tele della collezione Molinari Pradelli con la Cattura di Cristo e Cristo nell’Orto, datate 1758, e la Beata Giacinta Marescotti, dipinta su rame e conservata presso la Galleria nazionale di arte antica di Roma.
Anche nelle opere a carattere sacro emerge una lettura iconografica che rimanda ai modi di inizio secolo di Francesco Trevisani di intonazione arcadico-pastorale, a riprova di un costante aggiornamento sulla cultura figurativa e letteraria coeva che avrebbe trovato la sua massima espressione nel ciclo di villa Chigi.
Un’ulteriore testimonianza dell’interesse del M. per i soggetti sacri è costituita dalla tela raffigurante La predica di s. Giuseppe da Leonessa ai prigionieri cristiani a Costantinopoli della collezione Lemme, conservata presso il Museo del barocco romano di palazzo Chigi ad Ariccia.
Il dipinto è databile al 1746, quando Benedetto XIV sancì la canonizzazione di Giuseppe da Leonessa, evento in occasione del quale il M. fu presumibilmente chiamato a celebrare le vite dei santi appena canonizzati. Benché le poche opere note del M. a carattere sacro siano solitamente datate a partire dal sesto decennio del Settecento, questo lavoro testimonia invece una piena maturità dall’artista già a partire dalla metà degli anni Quaranta, dando prova ormai di una cifra stilistica consapevolmente interpretata in chiave rocaille che trova nella pittura romana rari esempi di aggiornamento in linea con la pittura d’Oltralpe.
A pochi anni di distanza il M. affrontò nuovamente un episodio della vita del santo nel S. Giuseppe benedice Leonessa nella grande tela firmata e datata 1752, conservata nel monastero di Leonessa. L’interesse del M. per l’iconografia sacra fino agli anni più estremi della sua attività è infine testimoniato da un’incisione di Pietro Bombelli datata 1779 e tratta da un dipinto perduto del M. raffigurante il Beato Michele de Sanctis.
Il M. morì a Roma il 28 luglio 1780.
Fonti e Bibl.: La descrizione delle fonti sul M. conservate presso l’Archivio di Stato di Roma e presso l’Archivio storico del Vicariato di Roma è pubblicata in P. Monaldi. La predica di S. Giuseppe da Leonessa ai prigionieri cristiani a Costantinopoli, a cura di M. Capannolo, in Il Museo del barocco romano, La collezione Lemme a palazzo Chigi in Ariccia, Roma 2007, pp. 186-188. L. Lanzi, Storia pittorica della Italia. Dal Risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo (1809), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 426; R. Trinchieri, Una villa settecentesca poco nota, in Amor di Roma, Roma 1955, pp. 413-421; G. Masson, Ville e palazzi d’Italia, Milano 1959, p. 178; G. Incisa della Rocchetta, Villa Chigi, in Capitolium, XXXVI (1961), 8, pp. 3-7; I. Belli Barsali, Ville di Roma, Milano 1970, pp. 334-343; M. Chiarini, Vedute romane, disegni dal XVI al XVIII secolo della collezione del Gabinetto nazionale delle stampe (catal.), Roma 1971, scheda 83; A. Busiri Vici, Trittico paesistico romano del Settecento. Paolo Anesi, P. M., Alessio De’ Marchis, Roma 1976, pp. 73-156; P. Petraroia, Contributi al giovane Benefial, in Storia dell’arte, 1980, nn. 38-40, pp. 371-379; Il Museo del barocco romano. La collezione Ferrari, Laschena, ed altre donazioni a palazzo Chigi in Ariccia, a cura di F. Petrucci, Roma 2008, p. 16; G. Galante Garrone, in Diz. encicl. Bolaffi …, VI, Torino 1975, p. 432; La pittura del Settecento a Roma, a cura di S. Rudolph, Milano 1983, p. 789; F. Romei, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1989, pp. 799 s.; Repertorio della pittura romana della fine del Seicento e del Settecento, a cura di G. Sestieri, Torino 1994, p. 130.
Figlio di Giuseppe Alessandro
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