Paolo IV
Papa (Capriglia, Avellino, 1476-Roma 1559). Gian Piero Carafa, nato da famiglia dell’alta nobiltà napoletana, giunse a Roma nel 1494 per intraprendere la carriera ecclesiastica sotto la guida dello zio cardinale. Vescovo di Chieti nel 1503, fu assiduamente impiegato dai pontefici in missioni diplomatiche presso diversi sovrani europei. Inizialmente su posizioni inclini alla riforma della Chiesa, l’esplodere della crisi luterana lo indusse a porre in primo piano la difesa dell’ortodossia e del primato pontificio, pur non negando la necessità di correggere l’innegabile degenerazione delle strutture del clero e della Chiesa. Ispirato a tali principi accettò nel 1524 la proposta di Gaetano da Thiene di istituire la Congregazione dei chierici regolari. Entrando nella congregazione il futuro papa donò tutti i beni e rinunciò a tutti i benefici ecclesiastici, tra cui i vescovati di Chieti (l’ordine fu anche detto Teatino dal nome di questa diocesi) e Brindisi. Fuggito dal carcere in cui l’avevano ridotto i lanzichenecchi in occasione del sacco di Roma, riparò a Venezia ove rimase dal 1527 al 1536, anno in cui Paolo III lo fece cardinale e lo destinò a partecipare ai lavori della commissione che avrebbe poi elaborato nel 1537 il Consilium de emendanda Ecclesia. Poco dopo si delineò però un conflitto tra Carafa e il cardinale Gasparo Contarini. Se questi nel 1541 aveva tentato la strada del dialogo con la Riforma, adoperandosi nei colloqui di Ratisbona, il cardinale napoletano seguì altro percorso e ottenne nel 1542 da Paolo III la bolla istitutiva della Congregazione del S. Uffizio, che divenne il primo centro di potere della Chiesa di Roma. Carafa condizionò il conclave del 1549 bloccando la candidatura del riformatore R. Pole, e continuò a condizionare l’operato del papa Giulio III utilizzando i suoi fascicoli processuali coperti dal segreto. Nel 1552, ad insaputa del papa, provò a incriminare d’eresia il cardinale Giovanni Morone, che poi Giulio III riuscì a salvare, almeno fino a quando Carafa non gli successe sul trono di Pietro. Eletto papa nel 1555, non riconvocò il Concilio di Trento e con la bolla Cum nimis absurdum impose l’istituzione dei ghetti per gli ebrei. Nel 1559 pubblicò il primo Indice dei libri proibiti, ispirato a rigore tale che si rivelò impossibile rispettarlo. In politica estera cercò un’intesa con la Francia in chiave antiasburgica, che però si rivelò fallimentare e portò all’invasione dello Stato pontificio da parte delle truppe spagnole (1558). Attaccato per il comportamento dei suoi familiari durante il regno, privò delle cariche ed esiliò il cardinale nipote e il fratello. La morte di P. fu accolta dal popolo di Roma con un tumulto che provocò la distruzione della statua del papa in Campidoglio e la devastazione della sede dell’Inquisizione romana. I familiari secolari del papa furono allontanati dalla città, non i suoi nipoti Carlo e Giovanni che, accusati di gravissimi reati (ruberie, intrighi d’ogni genere e Giovanni d’aver anche assassinato la moglie), furono condannati a morte e giustiziati, e Alfonso, che fu destituito da ogni carica e costretto a pagare una cifra enorme quale risarcimento.