PAOLO IV papa
Gian Pietro Carafa nacque nel 1476 a S. Angelo della Scala (Avellino) dal ramo beneventano di quella nobilissima famiglia di Napoli; a 14 anni fugge nel convento napoletano di S. Domenico Maggiore ma viene ricondotto a casa; a 18 anni è chierico; a 26 anni viene nominato cameriere pontificio e vive intemerato alla corte di Alessandro VI. Nel 1503 è protonotario apostolico e nell'anno seguente è designato vescovo di Chieti, della cui diocesi prende possesso nel 1506; poco dopo è nominato legato a Ferdinando il Cattolico, ma invano gli domanda il tributo feudale per il regno di Napoli; dal 1507 al 1513 è attivissimo presule nella sua diocesi; nel 1513-14 è legato a Enrico VIII d'Inghilterra; dal 1817 al 1820 è designato arcivescovo di Brindisi; nel 1520 prende parte alla compilazione della bolla Exsurge Domine contro Lutero. Mentre era già prossima la porpora cardinalizia, però, il Carafa rinunziò alla diocesi e fondò (con S. Gaetano) l'ordine dei chierici regolari, che dalla sua diocesi prese il nome di teatino.
Sia una certa sfiducia nell'attività di Clemente VII, sia il bisogno di riformare il clero soprattutto con l'esempio, spinsero i due fondatori: ma essi non intesero costituire un nuovo ordine monastico o fratesco, sibbene una riunione di chierici viventi in comune secondo i canoni apostolici con i tre voti di castità, ubbidienza, povertà. I voti furono da entrambi e da pochissimi seguaci emessi il 14 settembre 1524 e subito la loro vita di povertà, di abnegazione e di studio s'impose a Roma anche per l'assistenza agli appestati nel 1525, sì che si giunse a chiamare "teatino chi viveva più rigidamente degli altri". Scacciati poi nel 1527 dai lanzichenecchi saccheggianti Roma - erano 14 in tutto -, essi ripararono a Venezia a S. Nicola da Tolentino, e là il Carafa ebbe molti incarichi politici (nelle controversie tra la Serenissima e il papa e Ferdinando d'Asburgo) ed ecclesiastici. Anche a tale periodo, al 1532, appartiene un ampio ed efficacissimo memoriale, inviato a Clemente VII per la riforma della Chiesa, in cui esamina le eresie nel Veneto, le condizioni dei predicatori e confessori, dei monaci sfratati, della penitenzieria pontificia e dei vescovi, dei francescani, il dilagare dei libri eretici, e fa energiche proposte, fra cui quella di togliere l'Inquisizione ai frati e affidarla agli ordinarî e a legati del papa: memoriale che ispirò quello famoso emanato da una commissione cardinalizia (di cui faceva parte il Carafa) nel 1537, che ebbe il merito di delineare e avviare l'opera riformatrice della Chiesa.
Il Carafa, infatti, nel Natale del 1536 era stato nominato cardinale: ma l'alta dignità non alterò il suo tenore di vita, anzi, proprio per questo, potette dissentire apertamente talvolta da Paolo III e Giulio III. Divenne poi decano del S. Collegio, arcivescovo di Napoli, membro delle congregazioni più importanti, come quella per la riforma; partecipò alla compilazione del breve di biasimo a Carlo V per la dieta di Spira. Ma soprattutto egli diede massima attività all'Inquisizione, allorché per essa fu istituita a Roma nel 1542 una commissione di sei cardinali, di cui il Carafa fu a capo insieme con l'arcivescovo di Toledo.
Tanta attività ebbe lo sbocco nella sua elezione a papa, a 79 anni, nel 1555, dopo la morte immatura di Marcello I, a opera del partito cardinalizio della riforma che si sovrappose ai partiti politici francofilo e ispanofilo, e ciò malgrado le opposizioni di Carlo V.
Anche da pontefice egli continuò a occuparsi dell'Inquisizione, pur nei momenti di pericolo; si disse, anzi, nel 1558, che egli volesse lasciare ogni potere politico per dedicarsi solo al S. Uffizio. La sua opera fu severissima al riguardo ed egli giunse a dubitare perfino del futuro S. Pio V e fece imprigionare alcuni cardinali e vescovi. Fu grande riformatore dei disordini della Chiesa, specie circa la residenza dei vescovi, la scelta dei cardinali indipendentemente da ogni situazione politica, l'abolizione di entrate della penitenzieria e dataria, la corruzione del clero.
Tuttavia, se tanti successi ebbe la sua attività religiosa, ben disgraziata fu quella politica. Divenuto nemico degli Asburgo, più che per il suo antico malcontento contro gli Spagnoli e gli stranieri in genere, o per gl'intrighi dei nipoti, o per un'aspirazione d'indipendenza della sua patria, specie per difendere gli antichi diritti della Chiesa e l'altissimo senso della dignità papale offesa, s'indusse alla guerra contro Filippo II. Ma questa finì presto, perché le poche milizie pontificie e alcune francesi furono sopraffatte dalle milizie del viceré di Napoli, che si spinsero fin presso Roma; anche se vinto, però, P. ottenne che il vicerè gli facesse atto di sottomissione a nome del suo sovrano e ne implorasse il perdono, oltre a restituire i territorî conquistati.
Viceversa, fra i suoi difetti fu quello del nepotismo, in favore del nipote Carlo, creato cardinale segretario di stato, e di due suoi fratelli: nepotismo dovuto anche all'appartarsi del papa dai negozî politici per dedicarsi alla sua attività riformatrice della Chiesa. È vero, però, che quando egli conobbe la vita immorale dei nipoti - più che i loro intrighi politici tra Spagna e Francia e il tentativo di diventare signori di Siena - P. diede un grande esempio con la loro "cacciata" cioè la condanna all'esilio e la perdita delle loro cariche (gennaio 1559) che fu "la condanna di un sistema, la rottura violenta e definitiva con tutto un passato".
Otto mesi dopo, il papa, a 83 anni, morì d'idropisia, dopo avere raccomandato ai cardinali di eleggergli a successore un "acerrimo difensore della S. Sede" e un "persecutore degli eretici" e di vigilare contro sedizioni popolari. E difatti la plebe romana, reagendo ai rigori del morto pontefice, tumultuò giungendo ad abbattere la sua statua sul Campidoglio e a gettarne la testa nel Tevere.
P. IV morì, insomma "quando ognuno gli imprecava la morte" come si espresse un oratore veneto, ma i suoi successori (come Pio V) e gli storici posteriori gli resero giustizia, riconoscendo nel suo pontificato "non ostante tutti gli sbagli ed errori, un'importante pietra miliare nella storia della Riforma cattolica, di cui egli preparò la vittoria". Certo egli fu una figura eccezionale di animatore, un esempio mirabile di austerità, di fermezza e di energia.
Bibl.: A. Caracciolo, Vita et gesti di P. IV (op. manoscritta); C. Bromato, Storia di P. IV, voll. 2, Ravenna 1748-53; L. von Pastor, Storia dei papi, trad. it., IV, ii, V, VI, Roma 1926-27; R. Ancel, in Revue bénédictine, XXII, XXV e XXVI, e in Revue des questions historiques, XLII; F. Riess, in Historische Studien, LXVI; G. M. Monti, Ricerche su papa P. IV, Benevento 1925, e Profilo, ivi 1927; P. Paschini, S. Gaetano, G. P. Carafa e le origini dei Teatini, Roma 1926.