GREPPI, Paolo
Nacque il 23 sett. 1748 a Cazzano Sant'Andrea, in Val Gandino, ultimo dei cinque figli maschi di Antonio e Laura Cotta giunti all'età adulta. Nella stessa Cazzano, che il padre lasciò definitivamente intorno al 1750 per Milano, dove assunse la guida della società che ebbe in appalto per oltre un ventennio la Ferma generale della Lombardia austriaca, il G. trascorse l'infanzia, affidato alla nonna materna Elena Piatti Greppi e alla sorella del padre Claudia. Tra il 1756 e il 1759 studiò in collegio a Merate; raggiunse poi la famiglia a Milano dove, seguendo le orme dei fratelli maggiori, frequentò il collegio Patellani, sorto accanto alle scuole di Brera per l'istruzione dei giovani di nascita "civile". Nel 1764, per volontà paterna, lasciò il collegio e si trasferì nella casa del canonico C. Clerici, dove completò il suo percorso di studi sotto la direzione di P.D. Soresi, sostenitore di teorie pedagogiche avanzate e membro dell'Accademia dei Trasformati, che gli impartì lezioni di italiano, latino, francese e scienze. Destinato dal padre alla carriera del commercio, nel gennaio 1766 il G. lasciò Milano per Cadice, dove nella Casa commerciale Sablonier e Fumisson svolse un apprendistato di tre anni, studiando anche i rudimenti del commercio, dell'inglese e dello spagnolo, pur senza trascurare aspetti di un'educazione più raffinata, come le lezioni impartitegli da un maestro di ballo.
Nel 1769, assistito e guidato da G. Scorza, agente di casa Greppi, il giovane fondò la società Paolo Greppi, Agazino e comp., entrando così a far parte della rete di scambi sovranazionale cui Antonio aveva dato vita fin dal 1763, collocando i figli Marco e Giacomo rispettivamente ad Amsterdam e ad Amburgo e finanziando la creazione di due ditte commerciali da loro gestite ma, di fatto, filiali di un'unica impresa con centro Milano.
La nuova casa, aperta anche nella prospettiva del commercio con le colonie americane (avendo Cadice il monopolio delle importazioni ed esportazioni col nuovo continente) godeva dunque dei vantaggi che le derivavano dai molteplici interessi economici del fermiere generale, nonché delle importanti relazioni da questi intrecciate e del favore della corte viennese; nel 1774 il G. divenne console imperiale a Cadice su interessamento del cancelliere austriaco, il principe W.A. von Kaunitz. Posta sotto lo stretto controllo dello stesso Antonio, che s'interessava puntualmente di ogni affare, verificando i bilanci e comunicando alternatamente soddisfazione o preoccupazione, la casa di commercio prosperò con alterne fortune per circa un trentennio; nel 1777 mutò la sua composizione con l'ingresso di P. Marliani al posto di G. Scorza e, nel 1781, con l'uscita di C. Agazino, reo di aver perduto al gioco ingenti capitali della società. La casa svolse con regolarità operazioni di commercio su commissione, partecipò da sola o con altre all'acquisto, importazione e smercio di generi provenienti dal Sudamerica (compreso, nel 1774, un carico d'argento di contrabbando) e di riso dalle colonie nordamericane, all'esportazione di merci europee nel Nuovo Mondo; investì nella compravendita di orzo e grani in Spagna; inviò a Milano, sollecitata da Antonio, merci spagnole quali vino, uva secca, prosciutto e olive, oppure oggetti d'arredamento esotici e alla moda tra i quali stuoie, quadri, tappezzerie di carta e cineserie. Dai primi anni Ottanta fu particolarmente attiva sul mercato europeo: avviò un lucroso commercio di importazione di legnami dall'Italia, dalla Russia e dalla Slavonia; fornì la marina spagnola di lastre di rame impiegate per "foderare" gli scafi; tra il 1785 e il 1791 ebbe funzioni di mediazione e organizzazione nella fornitura del mercurio utilizzato nell'estrazione dell'argento, commissionato alla corte viennese da quella di Madrid.
Nel 1777 il G. e il fratello Giacomo ottennero dal padre il consenso a intraprendere un viaggio per visitare Francia, Impero, Inghilterra e Olanda, dove avrebbero dovuto cercare nuovi corrispondenti per le proprie case di Cadice e Amburgo; curioso e originale adattamento alla condizione mercantile del modello del grand tour aristocratico, allora in voga. Giunto in marzo a Madrid, il G. vi soggiornò tre mesi, coltivando relazioni con il corpo diplomatico, come esigeva la sua carica di console imperiale; D.J. von Kaunitz, figlio del ministro, lo introdusse nella migliore società del tempo. Dalla Spagna raggiunse Parigi e, in settembre, Londra, dove riabbracciò il fratello Giacomo. Osservatore attento e curioso, mosso da un vivo interesse per gli avvenimenti politici e affascinato dalla civiltà delle lettere incontrata in Francia, egli ammirò in particolare la società inglese, lodandone nelle lettere al padre lo spirito patriottico, la vivacità del dibattito politico, la libertà di stampa, così come lo sviluppo delle manifatture e del commercio.
Nel dicembre 1778 i due fratelli giunsero a Milano, restandovi fino al maggio 1780, quando si recarono insieme in Toscana per un breve soggiorno nel quale ebbero occasione di incontrare in più occasioni il granduca Pietro Leopoldo; ripartirono poi per Vienna, ultima tappa del lungo viaggio. Nella capitale austriaca il G. avviò le trattative per il contratto di fornitura di lastre di rame provenienti dalla Boemia e destinate alla marina spagnola, ottenuto grazie al credito e alle protezioni di cui godeva il padre, al quale la corte aveva nel 1778 conferito il titolo di conte. Accolti calorosamente, i due giovani frequentarono i ministri e la corte ed ebbero un colloquio con Giuseppe II e Maria Teresa, che espresse la sua riconoscenza per i servizi resi dal padre alla Corona. Nel gennaio 1781, ricevuta una relazione molto preoccupante sull'andamento della propria ditta, il G. si preparò a lasciare Vienna. Separatosi dal fratello in Francia, dopo una sosta a Madrid raggiunse in agosto Cadice, dove, liquidato Agazino e formata una nuova società, rimase, nonostante i ripetuti inviti del padre ad abbandonare l'attività e a raggiungerlo in Italia, fino al 1788, geloso custode dell'indipendenza che la lontananza dalla famiglia e il discreto successo negli affari gli garantivano.
Aperto alle tendenze culturali foriere di una nuova sensibilità, nonché sostenitore dell'idea che il matrimonio e la famiglia dovessero assumere una dimensione più privata e intima, il G. sposò segretamente Rita Maria Díaz y Vivas. Questo lo pose in urto col padre, che voleva vedere sposato uno solo dei figli, Marco, che avrebbe dovuto garantire il futuro e il decoro della casa. Dal matrimonio nacque, il 4 marzo 1782, Alessandro. Nella primavera del 1788 il G., da qualche tempo accusato di essersi accaparrato utili sproporzionati nell'affare del mercurio, lasciò Cadice per Madrid, per difendere il proprio onore e sondare la possibilità di un rinnovo del contratto. Lì gli giunsero le prime notizie sui fermenti in atto a Parigi, che seguì con grande curiosità e crescente interesse. Dotato di intelligenza acuta e riflessiva, cultura cosmopolita sensibile al nuovo e aspirazione alla "civile libertà" cui tendeva il movimento illuministico europeo, ammirò l'opera dei rivoluzionari e fu affascinato dai lavori dell'Assemblea nazionale, in particolare dall'idea di costituzione, che poneva nella legge un limite oggettivo all'assolutismo dispotico del sovrano.
Definitosi semplice curioso osservatore degli avvenimenti, di cui era dettagliatamente informato per l'appartenenza al corpo diplomatico, desideroso di non schierarsi per alcun partito, nelle lettere inviate regolarmente al padre si rivela partigiano dei moderati, avverso a ipotesi di controrivoluzione aristocratica e al contempo timoroso di una degenerazione della rivoluzione in anarchia, sostenitore del principio costituzionale quale strumento per mantenere l'ordine sociale. Nell'aprile 1791 il G., che col favore della corte di Madrid aveva lasciato la Spagna per recarsi a Vienna, dove era stato convocato per volere di Leopoldo II, giunse a Parigi. Vi restò quattro mesi, seguendo con grande interesse i lavori dell'Assemblea costituente, della quale approvò la moderazione soprattutto in campo istituzionale; fu anche testimone di momenti di tensione durante il tentativo di fuga del re e la repressione della manifestazione popolare al Campo di Marte, esprimendosi a favore dell'intervento armato della guardia nazionale contro la folla, per lui incarnazione del fanatismo e del pericolo di una rivoluzione perpetua.
L'11 agosto il G. giunse a Vienna, dove rimase poco più di un anno; si adoperò per riabilitare definitivamente la propria immagine e seguire gli sviluppi della situazione francese e internazionale, poiché si profilava la minaccia di un intervento straniero contro la Francia. Conscio dei pericoli di un conflitto, scrisse al padre di credere che la guerra avrebbe favorito la diffusione in Europa dei principî rivoluzionari, ipotesi temibile visto il profilarsi di una sconfitta a Parigi del partito moderato. I successivi avvenimenti gli diedero ragione e il G., nemico d'ogni estremismo, vide nell'affermarsi dei giacobini la sconfitta del movimento rivoluzionario, "la più bella causa che si fosse presentata negli annali del mondo per far brillare lo spirito umano nell'ordinazione di un sistema sociale superiore ai fin qui veduti" (Arch. di Stato di Milano, Dono Greppi, cart. 388, 20 febbr. 1793). Partito da Vienna nell'ottobre 1792, raggiunse il padre a Santa Vittoria, nel Reggiano, lasciandolo solo nel gennaio 1793 per incontrare a Milano i fratelli, amici (tra i quali F. Melzi d'Eril) e conoscenti, frequentare la corte e le famiglie più prestigiose, intrattenere rapporti con ministri e uomini di Stato.
Nel 1794 l'ingresso delle armate francesi in Liguria sollevò con urgenza il problema della difesa della Lombardia contro un'eventuale invasione. Superando per coraggio e modernità l'appello del padre, che invocava uno sforzo dei sovrani italiani perché fornissero i mezzi per un "aumento delle truppe austriache" e scongiurassero il pericolo rappresentato dall'arruolamento dei contadini, si fece promotore di un progetto di difesa comune dei territori italiani di grande interesse.
Valutando l'urgenza e la novità della situazione, il G. propose di armare i contadini e di costituire una forza regolare e organizzata da contrapporre a quella che la Francia rivoluzionaria, minacciata nella sua indipendenza, avrebbe potuto esprimere. Egli articolò l'ipotesi in tutte le implicazioni politiche; ai difensori della causa comune i sovrani avrebbero dovuto assicurare "un'esistenza più dolce quando ritorneranno alle case loro con il titolo onorifico d'aver sostenuto e difeso il trono, la religione e la sicurezza delle persone e delle proprietà dello stato" (ibid., cart. 389, 29 luglio 1794). Un criterio di equità avrebbe dovuto guidare i sovrani, per evitare che la folla in armi sentendosi oppressa si sollevasse contro di loro. Scrive Giulio Bollati: "Il ragionamento ormai procede per logica interna: la realizzazione di un tale piano richiede un congresso di ministri dei vari Stati (prefigurata dunque la federazione italiana), le cui decisioni siano rese pubbliche […]. La necessità della difesa militare e della conservazione sociale è quella che mette in moto l'ipotesi di una gestione autonoma, italiana, dei problemi nazionali, e l'ipotesi correlata delle riforme costituzionali e delle concessioni politiche". È la scoperta degli Italiani, promossi a elemento decisivo per il futuro della penisola e a patrioti, grazie a un ragionamento che "nel suo pragmatismo senza veli istituisce lo schema strutturale dell'imminente Risorgimento moderato" (Bollati, 1972, pp. 969-971).
Le speranze di giungere a una pace definitiva, riaccese dalla caduta di Robespierre, furono presto deluse; raggiunto il padre a Santa Vittoria nel settembre 1794 il G. concertò con lui misure per la sicurezza della famiglia e la tutela del patrimonio. L'anno successivo fu a Firenze, dove incontrò il granduca Ferdinando III e ritrovò l'amico F. Manfredini, maggiordomo di corte conosciuto a Vienna, poi a Roma; qui conobbe e frequentò, tra gli altri, José Nicolás de Azara, ambasciatore di Spagna. Raggiunto dalla notizia della vittoria di Napoleone Bonaparte a Lodi il G., forse l'uomo "più brillante, attivo e up to date tra i milanesi del suo ceto" (Bollati, 1962, p. 125) partì per Milano, dove si adoperò per tutelare la famiglia, pesantemente colpita dalle contribuzioni imposte dai Francesi, e si fece portavoce degli ambienti moderati che annoverano Melzi d'Eril, de Azara, Manfredini.
Di costoro condivideva la visione contraria alla politica antifrancese delle corti inglese e austriaca, favorevole a un moderato sviluppo liberalcostituzionale quale alternativa più efficace al pericolo rivoluzionario e che individuava nella costituzione l'unica garanzia contro ogni assolutismo, monarchico o rivoluzionario, e nella proprietà la base più conveniente sulla quale edificare il nuovo sistema. Nel palazzo dei Greppi, dove alloggiavano i commissari francesi tra i quali C. Saliceti, intrecciò ottime relazioni con i suoi ospiti e, secondo quanto egli stesso scrisse al padre, con lo stesso Bonaparte, che guardava con crescente interesse al gruppo moderato di cui il G. era esponente. Nonostante queste protezioni, però, la famiglia fu duramente colpita dalla Municipalità milanese sul piano finanziario e su quello politico; proprio per il ruolo pubblico che ricopriva, il G. fu fatto oggetto all'inizio del novembre di un attentato per mano di repubblicani, dal quale uscì illeso ma che lo indusse a lasciare per un certo periodo Milano per la Toscana, dove ritrovò gli amici Melzi d'Eril e Manfredini. Insieme continuarono a seguire con interesse e apprensione le notizie provenienti da Milano, ipotizzando, sotto il peso del succedersi degli avvenimenti, la creazione nella penisola di un sistema di Repubbliche federate che la potesse liberare dal giogo straniero. Fermo nel proposito, più volte manifestato, di mantenersi lontano dalla politica attiva, timoroso forse per l'incertezza della situazione, il G. rifiutò l'invito di Bonaparte a partecipare al governo della Repubblica Cisalpina.
Nel 1798 fu a Milano, poi a Parigi, dove nel luglio 1800 lo raggiunse la nomina a deputato del comitato di governo della Cisalpina presso il primo console. Insieme con F. Marescalchi fu incaricato di perorare la causa della Repubblica, colpita da onerose contribuzioni di guerra, e dunque di svolgere ufficialmente il ruolo di mediatore che nel 1796 aveva assunto come privato cittadino. Mise a frutto la sua abilità diplomatica: incontrò il primo console e diversi influenti personaggi (tra i quali il Saliceti, Giuseppina Beauharnais e Giuseppe Bonaparte, conosciuto a Milano, col quale si intrattenne amichevolmente). Il 16 agosto, insieme con Marescalchi, furono nuovamente ricevuti da Bonaparte, al quale sottoposero le questioni più urgenti. Scrivendo a Milano chiesero credenziali di rappresentanti del governo, per dare veste ufficiale a una relazione che dovevano preparare sullo stato della Cisalpina. Il G. desiderava agire di concerto con i ministri di Genova e Piemonte, cercando forse una base politica per l'eventuale riunione delle Repubbliche del Norditalia.
Il 14 sett. 1800, tuttavia, dopo che da tempo le sue condizioni di salute erano precarie, il G. morì a Parigi.
L'anno successivo un'assemblea di notabili, di cui faceva parte anche il fratello Giacomo, approvò la costituzione della Repubblica Italiana, che sanciva il primato della proprietà terriera e realizzava parte del progetto politico alla cui definizione il G. aveva con passione contribuito: un sistema istituzionale che la costituzione garantiva dal potere arbitrario definendo le competenze e i limiti di ogni organo dello Stato.
Fonti e Bibl.: Per fonti e bibliografia sulla famiglia Greppi si rimanda alla voce Antonio Greppi, padre di Paolo. La documentazione circa l'attività della filiale di Cadice, amministrata dal G., è conservata in Arch. di Stato di Milano, Dono Greppi, cartt. 342-343 (il carteggio del G. è nelle cartelle 380-390). Lettere di F. Melzi d'Eril al G., ibid., cart. 322, e Vicepresidenza Melzi, cart. 16. È attribuibile al G. un Mémoire in francese datato 7 giugno 1796, indirizzato al commissario dell'Armata francese C. Saliceti (ibid., Archivio Marescalchi, cart. 1).
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