ORSINI, Paolo Giordano
ORSINI, Paolo Giordano. – Nacque a Roma nel 1591, primogenito di Virginio II, duca di Bracciano, e di Flavia di Fabio Damasceni Peretti, nipote del papa Sisto V.
La sua formazione avvenne presso la corte fiorentina, sotto la protezione del granduca Ferdinando I de’ Medici. Ricevette una buona educazione militare e tredicenne fu condotto dal padre in una spedizione di navi toscane da lui guidata contro i turchi, che arrivò fino allo stretto di Negroponte (l’isola di Eubea nel Mar Egeo, vicina all’Attica). Tuttavia la professione delle armi non gli era congeniale.
Nel 1608 sostituì il futuro granduca Cosimo II nelle nozze per procura con l’arciduchessa Maria Maddalena d’Austria. Secondo una consuetudine di casa Orsini, insieme col fratello Ferdinando dal mese di aprile 1609 alla primavera del 1610 si recò in viaggio presso le corti europee.
I due giovani giunsero a Mantova, accolti dal cardinale Ferdinando Gonzaga, poi duca di Mantova: Orsini riscosse un successo straordinario, per la rinomanza della sua casata e soprattutto per le doti personali, l’arguzia fiorentina, l’affabilità, lo spirito vivace, la cultura. Il viaggio continuò per Verona, Vienna, Linz, Praga (dove nel giugno 1609 Orsini ottenne il favore dell’imperatore Rodolfo, offrendo all’ambasciatore spagnolo 500 cavalieri in soccorso nella lotta contro gli eretici), Monaco (dove furono ospitati dal duca di Baviera), Augusta, Nancy, Bruxelles, Anversa, Amiens, Parigi, e finì in Spagna. Pietro Antonio Gaetani (1763) afferma che Orsini giunse in Norvegia, dove gli fu offerta la corona di re, da lui rifiutata seguendo i consigli del padre. In effetti, nelle Rime, stampate a Bracciano nel 1648, Paolo Giordano afferma di aver varcato «mari adusti e freddi», dato che fa ritenere verosimile un suo arrivo nella penisola scandinava, anche in considerazione della precoce amicizia con Cristina di Svezia.
Dopo aver intessuto una fitta rete di contatti e di relazioni, mantenuta negli anni successivi con una vasta corrispondenza, tornò a Firenze nel 1610, per trasferirsi poi a Roma dopo la morte di Ferdinando II de’ Medici, quando la vedova Cristina di Lorena non gradì più la presenza degli Orsini. Con la morte del padre, il 9 settembre 1615, assunse il governo del ducato di Bracciano e il ruolo di capo della casata, l’ultimo riconosciuto da tutti i rami familiari. Per salvaguardare almeno in parte il patrimonio del lignaggio, già fortemente dissestato, vendette alcuni beni, come il feudo di Isola, Castell’Arcione, Villa Baroncelli (l’attuale villa di Poggio Imperiale), con esiti però non risolutivi delle gravi difficoltà finanziarie in cui versava.
Dal 1616 avviò quindi la ricerca di un buon partito matrimoniale in tutta Europa e, dopo diverse proposte, sposò nel gennaio 1622 a Genova la principessa Isabella Appiani, vedova con sei figlie di Giorgio Mendoza, la quale possedeva lo Stato di Piombino, direttamente dipendente dall’imperatore, comprendente anche l’isola d’Elba e varie terre di grande importanza per le loro cospicue risorse minerarie – funzionali allo sviluppo dell’industria siderurgica che Orsini voleva impiantare nello Stato di Bracciano – oltre ad altre proprietà a Genova, in Toscana e a Napoli, con un buon patrimonio finanziario. I forti legami stretti dal duca con la casa imperiale, oltre a risolvere la questione dei debiti contratti dalla principessa con l’imperatore, portarono al consolidamento del possesso dello Stato di Piombino da parte di Isabella Appiani.
Furono quelli gli anni in cui il duca fu più attivo nel costruire un’immagine di sé e del suo Stato rispondente alla rinnovata fama di casa Orsini, moderna, raffinata e sfarzosa.
Riqualificò il castello di Bracciano, con raffinati arredi e con le pitture di Pompeo Caccini nel 1617, e tentò di modernizzare il possedimento con nuove attività, da quella siderurgica alla lavorazione della lana e alla produzione della seta, con la costruzione di un acquedotto e di diversi nuclei abitativi, nonché con la creazione di una stamperia ducale. Provvide anche alla difesa militare del territorio, compreso il porto di Palo, che costituiva una sorta di cuscinetto tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, organizzando nel 1620-22 un nucleo navale e un esercito.
Si curò in generale del patrimonio immobiliare della casata, impiegando vari architetti: nel 1616-17 commissionò una fontana nel palazzo Orsini di Monte Giordano ad Antonio Casoni; nel 1621 ebbe al suo servizio Mario Arconio, nel 1622 Vincenzo Della Greca, nel 1626 Giacomo Oddi. Nel 1622 fece eseguire diversi lavori nel palazzo del nipote duca d’Atri, con una cappella dipinta da Agostino Ciampelli. Nel 1625 Orazio Torriani eseguì restauri nel palazzo di Monte Giordano per il duca e nel palazzo Orsini a Campo de’ Fiori per il fratello, il cardinale Alessandro; lo stesso architetto predispose il progetto del palazzo per la ‘Communità di Bracciano’, redasse una pianta del piano nobile del palazzo a Monte Giordano nel 1636 e stimò, disegnò e misurò i beni di Orsini, come il palazzo a Campo de’ Fiori. Girolamo e Carlo Rainaldi lavorarono nel 1645 per Paolo Giordano e per il nipote Virginio Orsini e il secondo continuò la sua collaborazione nel 1655-56.
Predilesse la musica: ebbe costantemente al suo servizio alcuni musici e per lui composero opere Luca Marenzio, Giulio Caccini, Cesare Zoilo e Claudio Monteverdi; fece parte della sua cerchia anche Gerolamo Frescobaldi. Acquistò molti strumenti musicali e ne creò alcuni, come la ‘sordellina’ (una sorta di organo portatile; Barbieri, 2002, p. 569) e l’organo idraulico denominato ‘rosidra’ in onore dell’emblema araldico degli Orsini, la rosa.
Nel 1624 raggiunse l’acme la sua strategia collezionistica, per la quale raccolse numerose e preziose opere d’arte e di antichità, ricercate sul mercato o commissionate direttamente, anche tramite il suo uomo di fiducia, Domenico Fedini. Egli stesso si esercitò nel disegno, nella pittura, nella scultura, nella poesia, nella musica e nel teatro. Commissionò opere a Giacomo Galli, detto lo Spadarino, Pompeo Caccini, Simon Vouet, Paul Bril, Agostino Verrocchi, Ippolito Leoni e apprezzò la produzione di pittori fiamminghi, fra gli altri Cornelis van Poelenburgh e Bartholomeus Brenbergh. Raccolse intorno a sé una brillante cerchia di artisti, quali Giulio Parigi, Jacques Callot, Giovanni da San Giovanni, Filippo Napoletano, Sinibaldo Scorza, Francesco Villamena, che nel 1622 incise il suo albero genealogico. Nel 1645 visitò la villa fuori porta S. Pancrazio di Giovanni Lanfranco.
Dedicò grande attenzione alla definizione del suo ritratto. Vouet lo ritrasse nel 1618 e nel 1621, Ottavio Leoni nel 1620 lo raffigurò in modo composto ed elegante, con uno sguardo intenso e tratti accentuati ma raffinati, nei disegni conservati presso il Département des Arts Graphiques del Louvre e il Royal Cornwall Museum di Truro, e nel 1624 nel disegno della Biblioteca Marucelliana di Firenze, oltre che in un disegno del Musée des Beaux Arts di Lille e in varie stampe (dubbie sono invece le attribuzioni a Leoni di altri ritratti in collezione privata romana e del Museo Fesch di Ajaccio). Leoni fu pagato nel 1623 per due ritratti del duca e della moglie.
Il 1623 fu un anno decisivo proprio per il confronto tra il ritratto ‘cortese’ del duca secondo l’interpretazione di Leoni e quello ‘parlante’ di Gian Lorenzo Bernini, compiuto in una serie di busti-ritratto. Il primo, appunto del 1623, conservato nel Metropolitan Museum di New York (The Jack and Belle Linsky Collection), fu fuso in bronzo da Sebastiano Sebastiani sotto l’attento controllo di Bernini, autore del modello, e fissò i tratti del duca, con la magnifica capigliatura dotata di un grande ciuffo, il volto tondo, leggermente girato a destra, la corazza trattata come un velluto, con la testa di Medusa al centro, la morbida camicia sottostante affiorante. Un’altra versione in bronzo del modello berniniano, più manieristica, fu relizzata nel 1624 da Giacomo Laurenziani (Plymouth, Plymouth Museum and Art Gallery, Arts Collections: Cottonian Collection), mentre una terza versione in bronzo, più sommaria, fu fusa da Giacomo Laurenziani nel 1626 (già presso il Victoria and Albert Museum, Londra). Lo stesso Bernini nel 1624 eseguì una versione in marmo (Museo della Villa Doria Pamphilj, Roma), sviluppando il ‘ritratto parlante’ anticipato nel busto del 1623, con l’immagine sulla corazza di un soggetto negroide poi utilizzata per il Rio della Plata della fontana dei Quattro Fiumi a Roma. Più modesto è il busto in marmo della collezione Odescalchi, già nel Castello Orsini di Bracciano, attribuito a ‘Guglielmo fiammingo’, del 1629-1631 circa, cui seguirono numerose varianti, tra cui la testa ritratto in porfido (Potsdam, Preussische Schlösser und Gärten Berlin-Brandeburg). L’ultimo ritratto finora noto, in marmo bianco, alabastro ‘a pecorella’ ed egiziano, con finiture in nero antico, è quello ora in collezione Orsini, realizzato da Orfeo Boselli nel 1655, raffigurante il duca anziano ma con tratti solenni e vestito di tunica e clamide, realizzato probabilmente in previsione della visita a Bracciano della regina di Svezia. Lo stesso duca si era fatto inviare da Pietro Tacca nel 1624 a Bracciano il modello per una statua equestre in bronzo, di cui non si hanno altre notizie.
Una serie cospicua e completa di ritratti è da costituita dalle medaglie, datate tra il 1615 e il 1635 e ampiamente celebrate dalla critica secentesca (conservate presso il British Museum di Londra, il Medagliere dei Musei Capitolini a Roma, nella Collezione Molinari al Bowdoin College di Brunswick, nella Samuel H. Kress Collection della National Gallery of Art di Londra, nei Musei civici di Brescia, sono parzialmente riprodotte in Gaetani, 1763, e in Litta, 1848). Nel complesso formano una sorta di diario per immagini e per motti della vita del duca, che compose i versi e ispirò o direttamente ideò le immagini del verso di molte di esse, spesso sul tema dei costanti sforzi di fronteggiare l’avversa fortuna. Dopo un primo ritratto giovanile, liberamente ispirato a teste di imperatori romani, al 1621 sono datate alcune medaglie ascrivibili a Gaspare Mola, incaricato anche di altre composizioni, al 1622 altre realizzate dallo stesso duca, al 1623 una medaglia attribuita a Rutilio Gaci. Nello stesso anno Bernini eseguì il modello di una splendida medaglia, che dette origine alla serie conservata al British Museum. Un’altra serie del 1631 del Medagliere capitolino reca le iniziali di Giulio Della Greca, mentre in una del 1635 compare una sigla interpretata come iniziali di Johann Jakob Kornmann, artista ricordato nei documenti del 1645 al servizio del duca.
Nel 1640 Orsini fece stimare le statue della villa Sforzesca, ai piedi del Monte Amiata, di proprietà degli Sforza suoi parenti, per una possibile vendita. Si interessò anche a opere antiche, che acquistò e fece restaurare nel 1617 da Cristoforo e Francesco Stati; nel 1622 pagò per lavori di scultore-restauratore Bernardino Valperga, Francesco Caporali detto Sonsino e Orazio Pacifici. Oltre a Boselli, nel 1650-52 risulta attivo come restauratore per il duca Francesco Rondone. Orsini ricorda in una lettera del 26 luglio 1652 a Cristina di Svezia come suo «amorevole» amico anche Alessandro Algardi. Molto attivo sul mercato artistico romano, acquistò quadri di Pietro Paolo Bonzi, Giovanni Benedetto Castiglione, Giovanni Paolo Schor e preziosi oggetti moderni, come il cannocchiale di Galileo Galilei; si appassionò alle stampe e ai gioielli, commissionati a diversi orefici, quali Federico Spina, Domenico Lucido, Matteo Mariotti, Fantino Taglietti, Cristofaro Pescatore, ‘Raniero fiammingo gioielliero’, Corintio Coloni, Francuccio Francucci e Giuliano Sapiani.
Si dilettò anche di letteratura e di teatro. Andrea Fei pubblicò a Bracciano nel 1648 un volume contenente Rime, Rime sacre e Satire del duca. La sua produzione letteraria fu varia (compose la tragedia L’Agnese, diversi Sonetti dedicati a personaggi eminenti del momento), di notevole interesse per l’immediatezza con cui descrisse l’ambiente romano dagli anni Quaranta del Seicento in poi. Tra i soggetti prediletti, le donne, tematiche di attualità, la fedeltà e l’infedeltà, il ciclo notte-giorno, l’anno, la vita e la morte, la ‘verità’, argomenti politici, le nefandezze della vita di corte, la temporaneità degli onori terreni. Tema ricorrente nelle Satire è la contrapposizione tra la serenità della vita in villa rispetto a quella cittadina alla corte.
Gli sforzi del duca di costruzione di un’immagine personale e della casata di rinnovato splendore furono coronati dal successo: il 12 luglio 1623 l’imperatore Ferdinando II gli assegnò il titolo di illustrissimo, che lo equiparò ai duchi del Sacro Romano Impero, atto cui seguirono altre concessioni di privilegi. Con diploma del 26 giugno 1625 lo stesso imperatore gli concesse il rango di principe del Sacro Romano Impero, confermatogli il 6 maggio 1638 con tre diplomi, aggiungendo il titolo di conte palatino e la facoltà di battere moneta.
Avviò però numerose cause contro i Colonna per diritti di precedenza e vari trattamenti d’onore, cause che esautorarono le sue risorse economiche. Nonostante il buon andamento fra il 1631 e il 1643 delle ferriere di Cerveteri e il rinnovamento produttivo ed economico di Bracciano, il declino economico si fece sempre più accentuato. L’8 agosto 1644 vendette lo Stato di Monte Libretti e altri beni per 20.000 scudi a Taddeo Barberini, cui si aggiunse il 16 giugno 1645 la cessione di ulteriori proprietà per altri 80.000 scudi. Nel 1646 alienò Sanguinaria, San Paolo, Monte Abetone, Osteria di Vaccina al cardinale Bernardino Spada e diede in affitto molte sue proprietà immobiliari, come il palazzo a Campo de’ Fiori. Nel 1646-1647 commissionò lavori edilizi nel palazzo Orsini di Vicarello, dove operò anche il pittore e indoratore Francesco Soldini, ma l’incendio di un suo vascello carico di viveri e munizioni nel 1647 fu un altro grave colpo.
Il re di Francia Luigi XIV tra il 1647 e il 1652 gli spedì tuttavia lettere e diplomi con cui non solo gli vennero assegnate prerogative di grande rilievo ma anche pensioni cospicue. Nella veste di riconosciuto esperto d’arte fu interpellato dal cardinale Giulio Mazzarino nel 1647 per la sua galleria parigina e soprattutto da Cristina di Svezia, che intessé con lui un interessante scambio di lettere dal 1649: oltre a illustrare la situazione romana, Orsini le dette consigli per la messa a punto della sua immagine di regina, da diffondere con adeguati ritratti, ed ella lo visitò a Bracciano nel dicembre 1655.
Gli ultimi anni della sua vita furono funestati anche dai dissidi con il fratello Ferdinando, suo erede per mancanza di suoi figli legittimi (Litta, 1848, gli attribuisce un figlio naturale, Ippolito, nato da Maria Camozzi e morto a Roma il 23 dicembre 1699). Nel 1652-53 concorse però alla costruzione delle Carceri Nuove in via Giulia, per volere del papa Innocenzo X.
Morì a Bracciano nel 1656, probabilmente in marzo.
Sulla base di un’indicazione di Pompeo Litta, la data di morte è stata spesso fissata al 24 maggio. Tuttavia, il 15 aprile 1656 il doge Carlo Contarini scrisse a Ferdinando Orsini, divenuto il quarto duca di Bracciano, una lettera in cui compiangeva la perdita di Paolo Giordano (Roma, Archivio storico Capitolino, Archivio Orsini, II serie, A.31, 045, regesto De Cupis). Il 28 aprile lo stesso Ferdinando spese 61,12 scudi per «due sottocoppe d’argento» destinate a Giustiniano Vitelleschi «medico per sua recognitione dell’assistenza e cura fatta alla bona memoria del signor duca mio fratello in Bracciano» (ibid., II serie, Registro de mandati del libro mastro N per l’heredità del s.r duca don Paolo Giordano Orsino da marzo 1656 al 1657, 1848, p. 5 n° 20). Il 13 maggio Ferdinando pagò 41 scudi a Margarita Maffei e al cavaliere Carlo Rainaldi, suo marito, «per provisione de mesi 4 e giorni 3 ... per servizio prestato alla bona memoria del signor duca mio fratello, compresoci la quarantena» (ibid., p. 8 n. 29): da questo dato si può dedurre che il duca era morto di peste probabilmente nel mese di marzo, calcolando i tempi della quarantena. A conferma di ciò, nello stesso registro è annotato il 24 maggio 1656 un pagamento di 12,55 scudi a uno speziale «per saldo di un conto di diversi medicamenti dati alla bona memoria del s.r. duca di Bracciano mio fratello in occasione di sua malattia il mese di marzo» (ibid., p. 11, n. 46).
Fonti e Bibl.: Gran parte della corrispondenza e dei mandati di pagamento è conservata in Roma, Arch. storico Capitolino, Archivio Orsini, e a Malibu, The Paul Getty Foundation, Archivio Orsini. P.A. Gaetani, Museum Mazzuchellianum, II, Venezia 1763, p. 51; P. Litta, Famiglie celebri italiane, f. LXII, dispensa 118, Orsini di Roma, parte V, Milano 1848; P. Barbieri, Michele Todini’s galleria armonica: its hitherto unknown history, in Early Music, XXX (2002), pp. 565-582; C. Benocci, P. G. II O. nei ritratti di Bernini, Boselli, Leoni e Kornmann, Roma 2006, con un saggio di F. Petrucci; Id., Il Palazzo Orsini a Campo de’ Fiori sotto la proprietà dei Pio di Savoia, in Strenna dei Romanisti, 2007, pp. 53-72; T. Kuehn, Fideicommissum and family: the Orsini di Bracciano, in Viator, XXXIX (2008), 2, pp. 323-341; C. Castiglione, When a woman “takes” charge: Marie-Anne de la Trémoille and the end of the patrimony of the dukes of Bracciano, ibid., pp. 363-379; F. Bucci, Il castello Orsini-Odescalchi di Bracciano: storia, tesori e segreti, Manziana 2009; E. Mori, L’onore perduto di Isabella de’ Medici, Milano 2011.