GAZOLA (Gazzola), Paolo
Figlio di Carlo e Anna Dossena, nacque il 26 ag. 1787 a Piacenza. Ricevette la prima educazione al collegio Clementino di Roma, ove si recò nel 1794 al seguito dello zio paterno, Bonaventura Gazzola, che sarà consacrato vescovo di Cervia nel giugno del 1795.
Dopo aver frequentato le università di Bologna e di Pavia, dove nel 1813 conseguì il titolo di dottore ingegnere architetto, nel 1814 tornò a Roma e, l'anno seguente, sposò Sofia Bertucci di Parma. La sua permanenza a Roma non si protrasse a lungo. Nel 1817 presentò le sei tavole con Tempio cattolico per servire da parrocchia per il saggio scolastico all'Accademia di S. Luca, dove si conservano. Nel luglio dello stesso anno il G. è documentato a Montefiascone, dove tornerà a lavorare in seguito.
L'iniziale attività del G. è sufficientemente documentata sia per quanto attiene le opere di Piacenza, dove inizialmente risiedette ricoprendo l'incarico di "cancelliere dei cavamenti", sia per quanto concerne il lungo soggiorno a Parma presso la corte di Maria Luigia. Prima prova progettuale del G. può ritenersi il disegno per il palazzo di Giustizia, presentato e premiato al concorso bandito nel 1817 dall'Accademia parmense (presso l'archivio della quale si conserva), che due anni dopo l'accolse tra i soci onorari.
Dai disegni del G. emergono componenti rinascimentali, palladiane e romane, nonché un purismo geometrico che lo sollecita a impiegare un linguaggio colto e austero.
Nel 1821, a Parma, collaborò ai lavori per il teatro Regio progettato da Nicolò Bettoli; elaborò inoltre disegni di porte e barriere cittadine, fra le quali porta di S. Croce. Nel 1823, a Piacenza, curò l'arredo del salotto di compagnia nell'appartamento che il conte Ludovico Marazzani Visconti Terzi abitava nel palazzo di via Chiapponi (Coccioli Mastroviti, 1994, pp. 80 s.); negli stessi anni (1822-23) realizzò il teatro di Castel San Giovanni, che venne eretto nell'ex convento delle benedettine e inaugurato nel 1825 (l'opera è andata distrutta ed è nota solo attraverso il progetto).
Tra il 1825 e la metà del secolo si scalano gli anni della più feconda attività del Gazola. Nel 1826 concluse la ristrutturazione del casino dei Boschi, residenza della duchessa Maria Luigia (Dalla Turca, 1979). Nello stesso anno elaborò il progetto per la facciata della chiesa di Ognissanti in una esibita citazione dalla romana chiesa di S. Pantaleo (1806) di G. Valadier.
Con questo intervento il G. mostra di avere acquisito da un lato la formula neoclassica, siglata dall'insistenza sulla semplicità e sulla chiarezza dei volumi, dall'altro esibisce alcuni partiti architettonici che saranno una costante delle sue opere successive. Il riferimento è alla finestra termale che, in dimensioni ridotte, ripropose nell'ordine inferiore di villa Levi-Tedeschi (1828), nelle immediate vicinanze della città, lungo la via Emilia, e al di sopra delle finestre del partito centrale in palazzo Carmi, a Parma: questo edificio neoclassico, che prospetta sull'attuale strada Farini, presenta tre ordini di finestre, di dimensioni ridotte quelle dell'ultimo ordine; la superficie centrale "timpanata" è ritmata dall'alternanza di aperture e di paraste; all'interno, uno scalone a due rampe, in un vano coperto a botte, conduce al piano nobile.
Nel 1828 la duchessa Maria Luigia commissionò al G. la costruzione di una villa che fu residenza dei suoi figli: il casino del Ferlaro, completato nel 1832. Al 1834 risalgono i primi disegni per la riduzione della scalinata antistante la cattedrale di Piacenza, di cui si occupò anche nel 1835 e 1836. Il motivo dello scalone coperto a botte fu riproposto nell'ampliamento di palazzo Landi di Chiavenna a Piacenza (1834): presso l'archivio privato della famiglia si conserva l'intero corpus dei progetti, che bene visualizzano le scelte progettuali intraprese dall'architetto sulla scorta delle mutate esigenze dell'abitare.
L'aristocrazia piacentina, che nel corso dei primi decenni dell'Ottocento amava conferire nuova veste decorativa alla dimora urbana in linea con la nuova funzionalità, più volte fece appello alle capacità esibite dall'architetto in questo specifico settore. Dopo i marchesi Landi di Chiavenna, nel 1837 i conti Scotti di San Giorgio della Scala gli commissionarono il progetto di ristrutturazione di quella parte del loro palazzo che si affaccia su piazza del Teatro. Il G. fornì pure il disegno di una "giardiniera" per la terrazza del medesimo edificio (Coccioli Mastroviti, 1994, pp. 89 s.), anticipando più approfonditi studi sul tema del giardino cosiddetto all'inglese.
Nel 1839, infatti, elaborò il progetto per il ridisegno del parco della rocca che questa famiglia possedeva a San Giorgio Piacentino. Il suo progetto, redatto all'insegna della nuova moda "all'inglese" che a quelle date andava diffondendosi anche nei giardini delle residenze suburbane, non venne realizzato. Il conte Federico Scotti gli preferì il milanese Ambrogio Rossi, al quale si devono anche le numerose fabriques progettate per il parco.
In Val di Trebbia, non lungi da Grazzano Visconti, il G. progettò la residenza suburbana per la cantante Benedetta Rosmunda Pisaroni. La villa, con pianta a blocco e due fronti assai simili, ha enfatizzato il partito centrale con timpano, scandito da paraste di ordine ionico.
Nonostante i numerosi impegni a Parma, molti dei quali a fianco di Bettoli, primo architetto di corte, il G. lavorò dunque spesso per la città natale. Suoi sono i disegni per la sagrestia superiore della cattedrale di Piacenza (1837 e 1839), per l'altare dell'Addolorata - già nel braccio sinistro del transetto della medesima chiesa e ora parzialmente conservato nella parrocchiale di S. Martino al Nure, ove fu trasferito all'inizio del Novecento dopo i distruttivi interventi di restauro agli altari (Cassanelli, pp. 153 s.) - e per l'arredo ligneo della sagrestia terrena.
Di grande interesse si rivelano inoltre i progetti per la facciata del duomo di Montefiascone, che il G. eseguì nel giugno del 1839.
Nel cantiere di S. Margherita il G. fu chiamato in quell'anno, ma il problema del completamento della facciata era avvertito da tempo, ossia da quando lo zio del G., Bonaventura, già amministratore apostolico della diocesi di Montefiascone e Corneto (1814), fu consacrato cardinale nel 1824: a conferma di ciò, la nota relativa alla tipologia dell'erigenda facciata che il G. diede alle stampe nello stesso anno. I tempi di costruzione della cattedrale si dilatarono sia per problemi economici sia per fattori di carattere urbanistico. Nel corpus degli elaborati grafici, sicuro interesse rivela quello della facciata che, nell'esibito purismo architettonico, dichiara come l'architetto tendesse a privilegiare volumi chiari e nitide stereometrie per un linguaggio aggiornato, ma mai completamente innovatore. Sono facilmente decriptabili, infatti, i rimandi alla tradizione cinquecentesca, declinati con il rigore e la regolarità della volumetria cui non è estranea la conoscenza delle opere romane di G. Valadier; mentre l'estrema cura del dettaglio lo avvicina a certe soluzioni proposte da Lotario Tomba, l'architetto del neoclassico a Piacenza, al quale il G. si rivela stilisticamente più prossimo.
Il nome del G. ricorre in numerose perizie di lavori, per la ricostruzione e, oppure, l'ampliamento di chiese, cimiteri, teatri, ospedali; e per lavori ai locali dell'Accademia parmense di cui si conserva una dettagliata documentazione. Numerose anche le perizie stilate per l'arredo del palazzo ducale di Parma. Tra i principali interventi condotti nel settore dell'ornato cittadino, si ricordano almeno quelli per la creazione di un attico in palazzo Maestri - al numero 168 di strada S. Michele, attuale via Repubblica - e per un nuovo prospetto di palazzo Giordani su piazza della Steccata al numero 36. Si segnalano inoltre, per la qualità dell'intervento proposto, i progetti del 1843 per il Museo di storia naturale, inserito nel complesso universitario annesso alla chiesa di S. Rocco.
Dopo l'allontanamento dei gesuiti dal Ducato di Parma e Piacenza, la trasformazione del collegio di S. Rocco in sede universitaria fu la testimonianza eloquente dell'attuazione della costituzione dei Nuovi Regi Studi emanata dai Borbone. La documentazione, riunita nella Raccolta Sanseverini, presso l'Archivio di Stato di Parma, visualizza l'assetto del complesso sul volgere del Settecento; mentre la documentazione cartografica successiva, prodotta nel periodo luigino e borbonico, attesta l'avvenuta riunificazione degli Studi all'interno del palazzo. Tra le innovazioni più importanti, oltre all'apertura di nuove aule e laboratori, la creazione del Museo di storia naturale, previsto a sud-ovest del complesso. Le tavole del progetto (Archivio di Stato di Parma, Fondo mappe e disegni), nelle quali il G. fornì precise indicazioni anche per gli arredi che risultano tipologicamente differenziati, e la documentazione successiva, consentono la ricostruzione cronologica dei singoli interventi realizzati. Significativo sia per l'allestimento sia per la concezione a esso sottesa, il progetto del G. conferì nuova destinazione d'uso a questi ambienti, di cui ridisegnò l'architettura interna senza tuttavia alterare la fisionomia esterna (Giandebiaggi).
Allo stesso anno risalgono gli elaborati - anch'essi conservati presso l'Archivio di Stato di Parma - per l'orto botanico su strada dei Genovesi (attuale via Farini), ma i numerosi interventi di modifica subiti in seguito dall'edificio rendono impossibile definire con sicurezza se i prospetti illustrati dall'architetto rispecchiassero la realtà o non fossero invece un'ipotesi di progetto.
La sua estesa e diversificata attività progettuale non gli impedì, pur risiedendo a Parma, di mantenere contatti con la committenza piacentina. Si occupò della ristrutturazione della cappella funeraria del marchese Bernardino Mandelli, nella chiesa dei domenicani di S. Giovanni in Canale a Piacenza (1843), quindi progettò la ristrutturazione del foro Boario di quella città, allora posto su via Beverora (1850). In qualità di architetto di corte, a Parma si occupò dei lavori all'interno del palazzo ducale (1851) e dell'appartamento di Carlo III di Borbone, in palazzo della Riserva su strada S. Barbara (attuale via Garibaldi). Fu proprio a seguito di questo incarico che si recò a Venezia e a Trieste, quindi a Padova ove acquistò tappezzerie per il nuovo appartamento del sovrano.
Attivo per l'Ordine costantiniano di S. Giorgio, l'11 maggio 1855 il G. fu nominato membro della commissione d'ornato per gli edifici del medesimo ordine, carica già ricoperta dal Bettoli scomparso l'anno prima. Intensa fu anche l'attività accademica, nell'ambito della quale venne impegnato a esaminare numerosi progetti. Fu proprio a causa del moltiplicarsi degli incarichi e degli impegni che a partire dall'ottobre 1856 al G. si affiancò l'architetto Antonio Soncini, incaricato di sostituirlo nell'attività didattica.
In quegli anni (1856-57) il G. ritornò al tema del teatro, seppure con un intervento piuttosto marginale, allorché fornì i disegni relativi alle quinte del teatro Regio e alla porta della platea, tuttora in loco, con i gigli borbonici. Quindi, nell'ottobre del 1857, inviò i disegni per il foyer del teatro Municipale di Piacenza, eretto nel 1804 su progetto di Lotario Tomba. Sempre nel 1857, ma su sollecitazione del fratello don Lorenzo, abbozzò un disegno per il monumento dell'Immacolata che avrebbe dovuto sorgere in piazza Duomo a Piacenza. Nello stesso periodo partecipò attivamente anche al dibattito sul restauro del palazzo Gotico della sua città, che coinvolse le principali autorità cittadine intorno alla metà dell'Ottocento. Inviò alla Municipalità alcuni progetti relativi al restauro del fronte del palazzo, che però non ebbero seguito.
Il G. morì a Parma il 2 nov. 1857.
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