FREGOSO, Paolo (Paolo Battista)
Figlio di Giovanni e di Isabella De Franchi Magnerri nacque attorno al 1450, probabilmente a Genova.
Nella vita politica genovese, tra il 1480 e il 1530, le vicende del F. si intersecano e spesso si confondono con quelle di Paolo di Fregosino, nipote dell'arcivescovo doge Paolo: ambedue esponenti della famiglia "popolare", per quasi due secoli pressoché costante detentrice del dogato in conflittuale alternanza con gli Adorno.
Il F., spesso identificato come Paolo Battista (come Pol Battista dal Guicciardini), appartenne a un ramo già in decadenza della famiglia. Questa trovava il suo punto di forza nella strategica distribuzione delle funzioni pubbliche tra i vari componenti: divisi tra grandi mercanti, giurisperiti, condottieri, alti prelati, e spesso capaci di rivestire contemporaneamente più ruoli con intelligente duttilità, i Fregoso mantennero a lungo un capillare controllo della cosa pubblica. Il nonno del F., Leonardo, fu diseredato dal proprio padre Giacomo - che fu doge - e da allora a questo ramo della famiglia sembrò consentita solo la carriera militare, e prevalentemente marittimo-militare, sostituibile in caso di necessità con la pirateria.
Dopo la morte del padre, il F. fu costretto a cercare fortuna nella pirateria, che le famiglie armatoriali più illustri praticavano abitualmente, in parte per necessità economica (si trattava di rendere sistematicamente produttive le galee di proprietà familiare, anche in periodi in cui guerre e commerci non le vedevano impiegate in ruoli regolari) e in parte per propaganda delle proprie capacità professionali come condottieri marittimi, disponibili al soldo di altre potenze, specie quando le alterne vicende cittadine obbligavano all'abbandono del territorio i clan della fazione perdente. La carriera iniziale del F. risulta in tal senso esemplare: tra il 1482 e il 1483, bandito da Genova, acquistò la fama di grande corsaro lungo le coste della Corsica (che allora il doge Battista Fregoso aveva ceduto al Banco di S. Giorgio) e della Spagna. La sua operazione più audace e fortunata avvenne proprio davanti a Barcellona, dove attaccò due galee sulle quali erano appena salpati molti giovani della nobiltà aragonese: il F. riuscì a catturare la patrona, mentre la capitana gli sfuggì a forza di remi; ma il ricco bottino, i riscatti e lo smacco inflitto alla marina aragonese non gli saranno mai perdonati dalla Spagna.
In compenso, l'arcivescovo Paolo Fregoso, appena riconquistato il dogato nel 1483, lo richiamò a Genova e, all'inizio del 1484, lo nominò commissario d'armata; quindi, nel 1486, presidente della podestaria di Genova e capitano nella guerra di Sarzana; infine, nel 1487, commissario di La Spezia. La caduta di Paolo e il ritorno del dominio sforzesco a Genova (dal 1488 al 1499) ricacciarono anche il F. fuori dalla città. La discesa di Carlo VIII fu per lui una provvidenziale occasione per riprendere una regolare attività marittimo-militare. Nel 1494 col suo galeone, e forse a capo anche di altre navi, si unì alla flotta di Carlo VIII diretta a Napoli, contribuendo agli iniziali successi francesi con la conquista di Ventimiglia, compiuta insieme con Luca Doria. Tuttavia non trascurò, lungo le coste siciliane, la prediletta attività corsara, sollevando reazioni destinate a durare a lungo nelle trattative diplomatiche tra Genova e la corte spagnola.
Nelle istruzioni affidate il 4 febbr. 1494 al cancelliere Benedetto da Porto, commissario presso il re di Spagna per sollecitare la pubblicazione dei patti di pace, Agostino Adorno, governatore sforzesco di Genova, si preoccupava di rassicurare la corte spagnola col bando comminato ai "ribelli": e non può non suonare significativo che, oltre ai ribelli corsi e alla "tota magnifica famiglia de Campofregoso" (cfr. Istruzioni…, I, p. 7), il solo nominativo indicato per esteso sia quello del F., insieme con quello di Ambrogio da Cuneo, del quale si puntualizza però il ritorno all'obbedienza. E ancora nel 1498 e nel 1501, nelle istruzioni per gli ambasciatori alla corte di Spagna, rispettivamente G.A. Grimaldi e N. Oderico, il governo della Repubblica (sollecitato dai mercanti genovesi operanti in Sicilia, costretti a rifondere con una tassa dell'1% i danni subiti dai Messinesi a opera del F.) prendeva le distanze dalle responsabilità del F., operante come ribelle e bandito dalla Repubblica, e come tale appunto già segnalato dal governo genovese a quello spagnolo.
Probabilmente il F. era con il suo galeone a Napoli quando Carlo VIII ne ripartì dopo aver saccheggiato le ricchezze del Castelnuovo. Di sicuro era a Pisa, dove Carlo preferì affidare gran parte del bottino napoletano alla flotta che lo aveva seguito per mare: infatti il galeone del F. risulta tra le navi francesi catturate nel luglio 1495 a Rapallo, cariche appunto del bottino napoletano, dalla flotta sforzesco-genovese guidata da Francesco Spinola. Lo stesso F. fu fatto prigioniero e fu liberato solo alla sigla della pace tra Ludovico Sforza e Carlo VIII il 9 ott. 1495. Nel 1497 il F. riprese l'attività corsara lungo la Riviera di Ponente, a capo di sei galee forse fornite da Carlo VIII e comunque fu da lui appoggiato. Dopo l'assunzione al trono di Luigi XII e il ritorno di Genova nell'orbita francese, culminata nella dedizione del 1499 al re da parte dei fratelli Adorno, il F. poté ritornare come ammiraglio alle dirette dipendenze della Repubblica e favorire il riarmo navale voluto da Luigi XII per poi assumere il comando della spedizione franco-pontificio-veneto-genovese contro i Turchi.
All'ibrida e poco promettente alleanza Genova era stata costretta nel giugno 1501, quando il re aveva ordinato che la flotta di quattro grosse navi e di quattro galee, che i cantieri genovesi avevano appena allestito su sua richiesta, venisse unita a quella francese per navigare congiunte verso Chio. La spedizione salpò da Genova nel luglio, divisa in due squadre: la prima, detta di Bretagna, composta di quattordici navi grosse, era al comando di Jacques de Fonquesolles; la seconda, detta di Genova, era agli ordini del F. (che erroneamente il Pandiani e il Liasca distinguono dal pirata) e comprendeva otto galee e sei navi. La spedizione, unitasi a Corfù con le navi venete, si diresse prima a Chio (dove ricevette forniture e aiuti dalla colonia genovese ivi esistente) e poi a Mitilene, dove il 26 ottobre Philippe de Clèves, generale in capo, fece sbarcare 3.000 uomini e 24 cannoni. L'attacco, a parte qualche iniziale successo e qualche isolato gesto di eroismo, si concluse però in un fallimento e per la valorosa resistenza opposta dai Turchi assediati e, soprattutto, com'era prevedibile, per le rivalità e le gelosie tra collegati cristiani.
La spedizione fu particolarmente disastrosa per la flotta francogenovese, che sulla via del ritorno, il 25 nov. 1501, fu colta da una furiosa tempesta vicino all'isola di Citera: si infransero sugli scogli la nave "Lomellina" (sulla quale era imbarcato anche il Clèves e del cui equipaggio si salvarono solo 200 uomini su 600) e la nave grossa "La Pensée" con la perdita di tutto l'equipaggio. Nel disastro anche il F. dovette perire, perché non tornò dall'impresa turca e la moglie risulta vedova alla fine del 1501.
Aveva sposato Gerolama Gentile Riccio e ne aveva avuto tre figlie e un maschio: Fregosina, Bernardina, Isabella e Antonio Gaspare.
Fonti e Bibl.: B. Senarega, Commentarii, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXIV, pp. 52 s., 83; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, I, Roma 1951, pp. 7, 23 s., 38; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Torino 1981, pp. 264, 366; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1825, I, p. 3; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1835, II, p. 582; Ch. de La Roncière, Histoire de la marine française, Paris 1906, III, p. 46.