SAVELLI, Paolo Francesco
– Nacque ad Ariccia il 18 novembre 1622 da Bernardino, secondo principe di Albano, e da Maria Felice Damasceni Peretti, pronipote di papa Sisto V. Non sono noti dettagli sulla sua formazione, se non che – almeno per quanto riguarda la prima educazione – la ricevette ad Ariccia.
Si avviò dopo i vent’anni alla carriera ecclesiastica: fu ammesso fra i chierici della Camera apostolica e ricevette la nomina ad abate commendatario di Chiaravalle, ricca abbazia a sud della cinta muraria milanese. Essendo maggiore di età, rispetto al fratello Giulio (di quattro anni più giovane; v. la voce in questo Dizionario), il 19 maggio 1646 dovette cedergli formalmente i diritti di primogenitura, come fece attraverso un atto stipulato da Francesco Belgio (o Belgi), notaio dell’Uditore della Camera apostolica. Fu comunque a lui che, nel giugno del 1653, il padre diede una procura per calcolare e recuperare i crediti erogati a un consanguineo (Onorio), anche intentando una lite giudiziaria.
Il 3 maggio 1655 la morte dello zio, il cardinale Francesco Damasceni Peretti, rese Paolo Francesco erede di un ingente patrimonio, compresa la villa Montalto, la più grande entro le mura di Roma, che abbracciava Esquilino e Viminale, con il palazzo di Termini, il casino Felice (dal nome di papa Sisto V) e un’ampia cornice esterna con orti (ritratta da Giovan Battista Falda nella Veduta del giardino dell’Emin.mo Sig. cardinale Paolo Savelli Peretti verso Santa Maria Maggiore, Roma 1691). Nel palazzo si trovava altresì una ricca collezione d’arte, comprendente più di 400 tele, statue (anche antiche) e raccolte di disegni. Savelli avrebbe dovuto prendere il cognome dello zio e parve che in un primo momento fosse effettivamente pronto a farlo. Poi, però, si limitò ad aggiungerlo al suo, assumendo una sua particolare arma, divisa esattamente in due metà: una con quella della famiglia Peretti, l’altra con quella paterna.
Savelli, che nella gestione dell’asse ereditario Damasceni Peretti non mancò di scontrarsi con gli interessi del fratello Giulio, fu capace di imporre la sua volontà. Già nell’ottobre del 1655 il palazzo del defunto cardinale in via Lata (l’attuale via del Corso) fu venduto a Costanza Pamphili, moglie del principe di Piombino Niccolò Ludovisi. Ai Pamphili e ai Chigi vendette tra il 1655 e il 1662 parte della collezione di sculture. Gli risultò talvolta non facile entrare in possesso di parte dei benefici trasmessigli: fu costretto già nel 1655 a una causa in Rota con il Seminario di Milano e con l’abate commendatario di S. Maria di Breda per una pensione di 845 scudi d’oro; lo stesso gli accadde un anno dopo con il principe (e futuro cardinale) Leopoldo de’ Medici nel tribunale dell’Auditor Camerae: Savelli puntava nell’occasione a recuperare un’altra ingente rendita sulle entrate dell’arcivescovado siciliano di Monreale (pari addirittura a 22.000 scudi).
Quindi, nel 1657, di nuovo come erede del cardinale Damasceni Peretti, mosse una lite giudiziaria avanti il tribunale dell’Auditor Camerae e la Segnatura di giustizia contro Alessandro Maria Orsini, sostenendo di non poter pagare i frutti di un censo di 40.000 scudi garantiti dalle rendite del feudo di Mentana. Con un altro membro dello stesso antico casato romano – Francesco Maria Orsini – nel 1666 era in contenzioso riguardo alla tenuta con annessa osteria di Fonte di Papa (Monte Gentile), sulla via Nomentana, che egli teneva affittata. L’eredità dello zio comprendeva, tuttavia, anche cospicui debiti, valutati dai contemporanei addirittura l’ingente somma di 500.000 scudi: al fine di onorarli, almeno in parte, alla fine del 1670, Savelli ricavò – autorizzato da papa Clemente X – 60.000 scudi dai propri beni e da entrate derivanti dalle funzioni giurisdizionali esercitate nei feudi di famiglia.
Come si vede, egli non si allontanò mai dalla cura degli interessi economici del lignaggio, sostenendo la posizione del fratello, divenuto capo del casato dopo la morte del padre nel 1658. La sua carriera ecclesiastica non ne aveva per questo risentito. Alessandro VII lo aveva infatti creato cardinale nel Concistoro del 14 gennaio 1664, con il titolo della diaconia di S. Maria della Scala. Nemmeno questo, tuttavia, aveva coinciso con un suo impegno più convinto all’interno delle istituzioni della Curia romana. Non mancò certo di esercitare protezione, come nel 1665 in favore di monsignor Camillo Massimo. Nel 1666, poi, Alessandro VII lo nominò legato di Romagna probabilmente in sostituzione del cardinale Celio Piccolomini, che avrebbe concluso il suo triennio di legazione nel dicembre dello stesso anno. Savelli però aveva rinunciato all’incarico, proprio per non lasciare Roma e i feudi di famiglia (come pure – così scrissero i contemporanei – per non obbligarsi ad altre spese). Un anno dopo, nell’estate del 1667, avanzò la sua candidatura alla dignità di cardinale protettore del Sacro Romano Impero. Tuttavia, il posto era occupato dal cardinale Federico d’Assia-Darmstadt e la proposta non fu seguita da concreti sviluppi. Procedette invece spedita la sequenza dei suoi passaggi ai titoli cardinalizi diaconali: fu trasferito al titolo di S. Giorgio in Velabro il 14 gennaio 1669, a quello di S. Nicola in Carcere il 14 maggio 1670, ancora a quello di S. Giorgio in Velabro il 23 maggio 1678, infine a quello di S. Maria in Cosmedin il 13 novembre 1683. Nei conclavi che si susseguirono dopo il 1664 favorì l’elezione dei pontefici Clemente IX (Giulio Rospigliosi), Clemente X (Emilio Bonaventura Altieri) e Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi).
Mostrò interessi artistici e, con riferimento alla città di Albano, urbanistici: nella grande villa di Termini gli si attribuisce una nuova decorazione della parte interna del portone d’ingresso. Fu poi anche il committente del Ratto d’Europa di Carlo Maratti (oggi a Dublino, presso la National Gallery of Ireland), pittore di spicco a Roma, dopo la morte di Gian Lorenzo Bernini nel 1680. Probabilmente incrementò (o addirittura formò) la collezione di ‘naturali’ e di ‘curiosità’ esistente nella villa di Termini. Ad Albano, ispirato probabilmente dalla struttura viaria a tridente del giardino di impronta sistina che aveva ereditato, promosse una risistemazione di parte delle zone verdi della locale abbazia di S. Paolo (di cui era commendatario), con lottizzazioni e vendita di aree edificabili intorno a preesistenti assi viari.
Morì a Roma l’11 settembre 1685, dopo aver lasciato i suoi beni al fratello Giulio, compresa la villa romana a Termini e le sue collezioni. Fu seppellito nella cappella di famiglia della chiesa di S. Maria in Aracoeli. L’accettazione dell’eredità seguì soltanto nel 1687, probabilmente perché risultarono non pagati 119.000 scudi di debiti. A quella data, l’inventario del patrimonio del defunto comprendeva pochi beni, se confrontati con i precedenti inventari del 1672.
Giovan Giacomo de’ Rossi e la Calcografia camerale promossero la stampa del suo ritratto, su disegno di Giovan Battista Gaulli e incisioni di Lauwers Coenrads.
Fonti e Bibl.: R. Lefevre, Ricerche e documenti sull’archivio Savelli, Roma 1992, ad ind.; Die Diarien und Tagzettel des Kardinals Ernst Adalbert von Harrach (1598-1667), a cura di K. Keller - A. Catalano, I-VII, Wien 2010, ad indicem.
M. Battaglini, Annali del sacerdozio e dell’imperio, Ancona-Venezia 1749, p. 234; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della santa romana Chiesa, VII, Roma 1793, pp. 162 s.; E. Lucidi, Memorie storiche dell’antichissimo municipio, ora terra, dell’Ariccia…, Roma 1796, pp. 127, 275; V. Massimo, Notizie istoriche della Villa Massimo alle Terme diocleziane, Roma 1836, pp. 200 s., 261; P. Litta, Famiglie celebri italiane, VIII, Suppl. II, Savelli di Roma, Milano 1872, tav. IX; T. di Carpegna Falconieri, Il cardinale Camillo Massimo (1620-1677). Note biografiche attraverso una spigolatura dell’Archivio Massimo, in M. Buonocore, Camillo Massimo collezionista di antichità: fonti e materiali, Roma 1996, p. 36; M.B. Guerrieri Borsoi, Raccogliere curiosità nella Roma barocca: il Museo Magnini Rolandi e altre collezioni tra natura e arte, Roma 2014, pp. 107 s.; M. Corsi, Trasformazioni urbane sui Colli Albani nel secolo XVII: espansioni territoriali e nuovi tracciati viari tra i pontificati di Urbano VIII e di Alessandro VII (1618-1667), Roma 2017, pp. 92 s.