FABRIZI, Paolo
Nacque a Modena il 15 sett. 1805 da Ambrogio, avvocato, e da Barbara Piretti, di famiglia comitale ferrarese; dopo i primi studi nel locale collegio "S. Giovanni" passò nel 1826 a Pisa per frequentare i corsi di medicina. Allievo del celebre A. Vaccà Berlinghieri, intese sin da giovane il compito del medico come principalmente rivolto al miglioramento delle tecniche operatorie e inserito in un programma di politica sanitaria dai contenuti sociali. Si laureò nel 1828 - già un anno prima della laurea aveva pubblicato una sua nuova tecnica perfezionata della miringotomia - e fece pratica ospedaliera prima a Roma presso il S. Spirito, poi nei nosocomi di Napoli. Dopo alcuni viaggi di studio a Bologna, Parigi e Milano, al ritorno a Modena il F., che in passato si era legato a E. Misley ed era certamente informato dei suoi progetti insurrezionali, si trovò a svolgere un ruolo di primo piano nella rivoluzione del 1831 dopo che l'arresto prematuro di alcuni congiurati, tra cui il fratello Nicola, ebbe fatto anticipare al 3 febbraio l'inizio dell'insurrezione.
Quando, infatti, Francesco IV abbandonò il Ducato, il F., che la polizia estense già teneva d'occhio come sospetto, si mise alla testa della folla che il 6 febbraio assalì le carceri, per liberare i detenuti politici, e il 9 fu tra i firmatari della dichiarazione di decadenza del regime ducale. Per premere sull'esitante Municipalità modenese organizzò quindi la guardia nazionale mobile, in cui ebbe il grado di capitano, e, richiamando in servizio "tutti gli ufficiali in riforma del 1796 e del 1814, nonché tutti gli altri, a qualunque servigio abbiano appartenuto" (Sforza, La rivoluzione del 1831, p. 348), cercò di mettere in piedi un corpo capace di dare il suo sostegno all'esercito capeggiato da C. Zucchi ai fini di una più efficace resistenza. Ma l'intervento austriaco e la capitolazione di Ancona, dove il F. si era portato al seguito dello Zucchi, lo indussero a salire precipitosamente su una nave diretta a Corfù: "Non ho agito certamente con eroismo", confesserà poi all fratello Nicola (Museo centr. del Risorg., b. 511/13 /2), esprimendo qualche timore per il giudizio dei commilitoni da lui abbandonati al primo profilarsi della sconfitta. Anni dopo, riconosciuto colpevole del reato di usurpazione dopo un lungo processo condotto dal tribunale statario, sarà condannato con sentenza del 6 giugno 1837 alla pena dell'impiccagione da eseguirsi "in effigie".
Quella che doveva essere una tappa intermedia di un viaggio con meta Marsiglia si rivelò invece una dimora ospitale: il F. rimase infatti a Corfù fino al 1838, a ciò invogliato anche dalla possibilità di esercitare con successo la professione medica e "di guadagnare molto in chirurgia" (Sforza, Ildittatore di Modena, p. 18). Furono tuttavia anni molto duri. Quando però, nell'autunno del 1837, il fratello Nicola si stabilì a Malta dove un altro fratello, Carlo, aveva aperto una casa di commercio destinata col tempo ad affermarsi, il F. riprese a viaggiare per tutto il Mediterraneo toccando di volta in volta Istambul, Malta, Bastia, Livorno e spingendosi fino a Parigi. Oltre che dal desiderio di riabbracciare i familiari (in particolare la madre, che aveva preso dimora a Bastia), tutti questi spostamenti erano dettati in parte da ragioni professionali, in parte da ragioni politiche. Mentre a Malta attuava un programma di ristrutturazione ospedaliera che gli valse il riconoscimento dei governo inglese e divulgava le tecniche operatorie da lui messe a punto, fungeva anche da collegamento - inserito com'era nella rete settaria organizzata dal fratello Nicola nell'Italia centromeridionale - con gli esuli sparsi nelle principali città del Mediterraneo per coordinarli, armarli, tenerli pronti ad entrare in azione.
Importante, sotto il profilo della collaborazione tra le centrali rivoluzionarie, fu il viaggio che, su incarico del fratello Nicola, il F. fece a Londra nell'estate del 1839 per comunicare a G. Mazzini le ragioni che erano state all'origine della Legione italica. La sopravvenuta rottura con la Giovine Italia non troncò però del tutto le comunicazioni tra Malta e Londra: una sorta di tregua ideologica fece perciò sì che il Mazzini, pur dissentendo, fosse informato del piano insurrezionale dell'estate del 1843, piano in cui il F. ebbe una parte di rilievo, raccogliendo con I. Ribotti alcune bande portandole dalla Corsica a Livorno e da qui facendole entrare senza grande fortuna in Romagna. Anche questo insuccesso, e più ancora quello dei fratelli Bandiera dell'anno successivo, favori il riavvicinamento tra i Fabrizi e il Mazzini il quale nell'estate del 1844 diede un assenso non molto convinto alla trattativa con alcuni banchieri spagnoli che, in nome dei comuni ideali rivoluzionari, si erano detti intenzionati a finanziare con un prestito la causa italiana. Incaricato di concretizzare il progetto, il F. si recò a Tolosa, dove però, oltre a non concludere nulla - ma le condizioni poste dal Mazzini non lasciavano molti margini - si ammalò e, in preda ad una acuta sindrome depressiva, fece pericolose rivelazioni e consegnò ad estranei carte compromettenti.
Riportato a Bastia, andò per circa un anno soggetto a crisi a sfondo mistico, mentre un'ingenerosa polemica investiva tutta la sua famiglia, già duramente provata da altre vicende private. Quasi per riscattarsi da un senso di colpa, il F. riprese la professione e, attraversando a cavallo la Corsica, eseguì un programma di interventi chirurgici sui più bisognosi: al termine dell'esperienza un suo opuscolo rendeva puntualmente conto dei lavoro svolto e dei principi umanitari che lo avevano motivato e che procurarono al F. un'espressione ufficiale di gratitudine da parte delle autorità dell'isola.
Il clima dei '48 lo riportò alla politica. Nel marzo, alla vigilia dei ritorno in Italia, scrisse un'ispirata Lettera intorno alla presente rigenerazione politica e sulle prime elezioni repubblicane in Corsica (Bastia 1848), in cui i valori umanitari tipici del mazzinianesimo si fondevano retoricamente con le attese palingenetiche suscitate da Pio IX e ne ricevevano la sanzione finale. Quindi, dopo una breve apparizione nella natia Modena dove il governo provvisorio, pur se orientato in senso moderato e fusionista. lo risarcì parzialmente dei beni confiscatigli dopo il 1831, il F. si recò in Sicilia, e a Messina, bombardata dai Borboni, si prodigò per la cura dei feriti. Divenuto ministro della Guerra il democratico G. La Farina, il F. fu da questo nell'autunno del 1848 posto a capo della commissione incaricata di reclutare all'estero volontari per la difesa della Sicilia: fallito un approccio col Garibaldi, la commissione si rivolse allora al generale G. Antonini e a L. Mierosławski, ma tra i due insorse immediatamente un insanabile contrasto che portò il primo a ritirarsi mentre il secondo forniva risultati tutt'altro che brillanti.
Pure, la missione del F. non fu del tutto infruttuosa, anche se trovò qualche ostacolo negli altri componenti la commissione e fu giudicata con una certa sufficienza da M. Amari, inviato siciliano a Parigi, che la etichettò come "poetica e aerostatica" in quanto permeata di quegli ideali di fratellanza nazionale che ad un siciliano come l'Amari dovevano apparire molto fumosi.
In realtà, agli sforzi compiuti a Tolone e poi a Marsiglia dal F. per fare arrivare in Sicilia uomini e forniture di armi - la cosiddetta Legione umanitaria - non corrispose un pari impegno, finanziario e ideologico, da parte della classe politica isolana la quale, appena caduto il governo di V. Torrearsa, si affrettò ad esonerare il F. con una lettera del 6 marzo 1849 firmata da un oscuro funzionario.
Dal F. stesso tutte queste vicende sarebbero state narrate in una lunga e talora contorta relazione, che avrebbe avuto anche lo scopo di rivendicare al suo autore non tanto il merito specifico del reclutamento dei soldati quanto "il realizzamento più stretto del principio dell'alleanza dei popoli, ciò che riguardo alla Sicilia era il principio Siculo-Italico e Siculo-Unianitario" (L. Mordini, p. 1159). Il fallimento era perciò da attribuire solo al governo siciliano e alla sua "defezione a tali principii", cioè al "deviamento della rivoluzione da quei principii che ne erano unica e sacra ancora della salvezza" (ibid., p. 1161).
Calmatasi l'ondata rivoluzionaria, il F. si allontanò sempre più dall'attività politica: gli pareva che l'impegno profuso fosse stato ripagato con cocenti delusioni, non ultima quella derivante dalla convinzione che il Mazzini si ricordasse dei fratelli Fabrizi solo per chieder loro sacrifici, laddove "se vi è qualche attenzione, commissione onorevole o altro si rivolge certamente a qualche altro" (Luigi a Nicola Fabrizi, 20 giugno 1852, in Roma, Museo centr. del Risorg., b. 923/76). Certamente il Mazzini lo stimava più come medico, e non parve apprezzare molto la decisione, da lui presa, di trasferirsi nel 1852 a Nizza per chiedervi l'autorizzazione all'esercizio della professione (cosa che gli fu concessa il 29 ag. 1852) e, successivamente, la cittadinanza sarda, che ottenne con r.d. del 6 febbr. 1857. A Nizza, ricongiuntosi con la madre e il fratello Luigi, il F. si procurò con i suoi onorari molto contenuti l'ostilità dei medici locali ma non tardò ad imporsi, grazie alla sua abilità, soprattutto presso la folta colonia straniera: lo stesso Garibaldi, riconoscendogli il merito della guarigione dei figlio Ricciotti, lo raccomandò ad alcune sue amiche inglesi.
L'affermazione professionale parve mettere il F. in contatto, tramite la clientela britannica, con gli ambienti dell'unitarismo moderato facenti capo al Cavour, ma la morte, che lo colse a Nizza il 15 maggio 1859, gli impedì di portare a compimento questa ultima evoluzione.
Ancora prima di laurearsi, si era dedicato allo studio della miringotomia e fece costruire un apparecchio per facilitarne l'esecuzione. Il 4 marzo 1827 espose le sue idee sull'intervento e presentò lo strumento all'Accademia medicochirurgica di Livorno (Sopra un nuovo processo per praticare la perforazione della membrana del timpano e sulle malattie che la esigono, Livorno 1827). Negli anni successivi modificò lo strumento più volte e ne rese conto sul Giornale arcadico di Roma nel 1828 e sugli Archivi di medicina e chirurgia di Napoli nel 1829. Pubblicò infine una completa descrizione dei principi dell'intervento, della tecnica e della apparecchiatura a Milano (Sopra un nuovo processo di praticare la perforazione della membrana del timpano con esportazione di parte, in Annali universali di medicina, LV [1830], pp. 236-283). L'apertura della membrana timpanica poteva essere resa permanente asportandone un frammento rotondo del diametro di circa due millimetri. Sconosciuti ancora anestesia e microscopio operatorio, era impossibile praticare l'incisione circolare con i comuni bisturi. Egli però aveva ideato e fatto costruire un apparecchio idoneo, che consisteva di due tubicini coassiali e controrotanti, armati ciascuno di due piccolissime lame triangolari in grado, per lo scatto di una molla loro connessa, di intagliare di netto istantaneamente un dischetto del diametro voluto. Come provano le ripetute edizioni del lavoro e le lodi espresse da una autorità quale A. Scarpa (Lettera del prof. Antonio Scarpa diretta al dott. P. F. da Modena intorno alla prima memoria di quest'ultimo sopra la perforazione della membrana del timpano, Napoli 1829, e poi Malta 1841), la tecnica ebbe grande successo.
Le traversie politiche del 1831 relegarono il F. a Corfù, dove praticò attivamente la chirurgia. Dovette dedicarsi in modo particolare alla cura delle affezioni dell'orecchio giacché, quando nel 1839 si recò a Parigi, tenne un ciclo di lezioni sulla medicina operatoria dell'orecchio (Resumé des leçons de médecine opératoire acoustique, professées à l'Ecole pratique de médecine de Paris, Paris 1839), frutto evidente di una vastissima esperienza. Descrisse infatti un serranodi da lui realizzato per l'asportazione dei polipi dell'orecchio; consigliò l'uso di una pinza con una curva particolare da lui determinata per l'estrazione dei corpi estranei del condotto uditivo, illustrò i vantaggi conseguibili utilizzando lo strumentario di sua costruzione per il cateterismo tubarico. mostrò di conoscere l'utilità di uno specchio per dirigere la luce sulla membrana del timpano; illustrò un suo secondo miringotomo, costituito da una punta metallica spirale, simile ad un cavatappi, in grado di perforare e fissare la membrana, e da una cannula metallica, dotata di margine affilato, che avanzava ruotando intorno alla punta fino a raggiungerne l'estremità e a ritagliare così un dischetto di membrana. In questa occasione sostenne la superiorità della miringotomia sulle brutali manovre allora in voga per la canalizzazione della tube e per le iniezioni di aria o di liquidi a pressione nel sistema tubotimpanico, da lui correttamente ritenute pericolose per l'orecchio interno. Le sue idee e proposte riscossero consensi in ambito internazionale e, in particolare, furono positivamente giudicate da chirurghi eminenti come A.-A.L.-M. Velpeau e C. G. Lincke.
Stabilitosi a Malta, nei primi sei mesi del 1840 vi eseguì circa quaranta tenotomie per la cura del piede torto o del torcicollo cronico e ottenne di poter esercitare gratuitamente in una sala dell'ospizio della Floriana. Oltre alle tenotomie, effettuò numerose operazioni per la correzione del labbro leporino e di altre patologie, che documentò con una sessantina di calchi in gesso; del caso più importante pubblicò una dettagliata relazione, Sopra alcuni punti relativi alla rinoplastica, Malta 1841. Vi si criticano le tecniche di ricostruzione nasale fondate sull'impiego di lembi peduncolati prelevati dalla fronte (metodo indiano) o dalla guancia (metodo francese), giudicati pericoloso il primo per le possibili complicanze meningee, insoddisfacenti ambedue per le vistose cicatrici residue sulla fronte o sulla guancia; e vi si difende il metodo utilizzante un lembo peduncolato di cute del braccio (metodo italiano), le cui cause di insuccesso sono individuate nello stiramento del lembo provocato dai movimenti dell'arto, con l'illustrazione dettagliata delle tecniche adottate per la buona riuscita dell'intervento. L'importanza di questo saggio è indicata dalla dimostrazione che, contrariamente all'esperienza di chirurghi celebri, quali C. von Graefe e J. F. Dieffenbach, era possibile evitare la necrosi del lembo peduncolato antibrachiale utilizzato per la ricostruzione del naso.
Lo stesso anno pubblicò un breve lavoro dedicato alla descrizione di una sua modifica delle forbici chirurgiche, grazie alla quale il taglio risultava netto come quello operato dal bisturi, la cicatrizzazione avveniva in maniera più regolare e il paziente avvertiva minor dolore (Sopra una modificazione nelle forbici chirurgiche, Malta 1840).
Nel 1846 e nel 1847 il F. intraprese un'attività chirurgica itinerante attraverso l'isola della Corsica. In una lettera, datata 22 ott. 1847, indirizzata al Consiglio generale della Corsica (Intorno ad un viaggio medico-chirurgico fatto a pro dei poveri infermi della Corsica, durante i due anni decorsi tra il settembre 1845 e il settembre 1847, dal dottor Paolo Fabrizi da Modena, Ajaccio 1847) ringraziò le autorità, i curati e i medici dell'isola per la cooperazione avuta e illustrò l'attività svolta. Riferì di aver eseguito 952 operazioni, con un solo decesso postoperatorio avvenuto per infezione dopo una litotomia, e specificò di essere intervenuto su 182 tumori, 106 fistole lacrimali, 64 tonsilliti, 56 malattie ossee, 32 piedi torti, 26 cancri del volto, 24 labbri leporini, 6 calcolosi vescicali, 4 polipi auricolari e di aver praticato un numero non definito di amputazioni, riduzioni di fratture, mammectomie, parotidectomie, tracheotomie e interventi per ernie, cateratte, fistole anali. A conclusione della lettera, lamentò non aver potuto fare di più per l'inesistenza in Corsica di una sala chirurgica. Ne emerge la poliedricità delle sue attitudini chirurgiche e una non comune capacità professionale, riuscendo, in quell'epoca e in quell'ambiente, ad eseguire un numero così elevato di interventi, spesso molto impegnativi, con una mortalità tanto bassa.
D. Celestino
Fonti e Bibl.: Molto materiale manoscritto - prevalentemente la corrispondenza dei F. coi fratelli, ma anche le carte della missione siciliana, opuscoli e documenti ufficiali è conservato a Roma nell'Archivio del Museo centrale del Risorgimento: in proposito cfr. E. Morelli, L'archivio di Nicola Fabrizi, in Rass. stor. d. Risorg., XXV (1938), pp. 533 ss., e Id., Italiani in Corsica: i Fabrizi, Carlo Pigli, A. S. Padovani, ibid., LVII (1970), pp. 461 ss. Notizie di fonte poliziesca, soprattutto per gli anni giovanili, si leggono in La famiglia Fabrizi. Estratti di memorie tratti dagli atti polit. del governo estense..., Modena 1896. Per singoli momenti della vita cospirativa del F. cfr. Ediz. naz. degli scritti di G., Mazzini (per la consultazione si rinvia agli Indici, vol. II/1, Imola 1973, ad nomen). Si veda poi Protocollo della Giovine Italia. Congrega centr. di Francia, 6 voll., Imola 1916-22, ad Indices; G. La Cecilia, Memorie storico-polit., a cura di R. Moscati, Roma 1946, ad Indicem; R. Pilo, Lettere, a cura di G. Falzone, Roma 1972; G. Garibaldi, Epistolario, II, a cura di L. Sandri, Roma 1978; III, a cura di G. Giordano, Roma 1981, ad Indices; documenti sulla missione siciliana del F., in Carteggio di M. Amari, a cura di A. D'Ancona, I, Torino 1896, pp. 428-431, 460 s., 491, 514-518, 521 ss.; L. Mordini, La Legione umanitaria e la difesa della Sicilia ne' suoi rapporti colle condizioni polit. d'Italia esterne ed interne, in Rass. stor. d. Risorg., XXIV (1937), pp. 1121-1164; Sicilia e Piemonte nel 1848-49, Roma 1940, ad Indicem; Le relaz. diplom. fra il gov. provvisorio sicil. e la Francia (31 marzo 1848-11 apr. 1849), a cura di F. Curato, Roma 1971, ad Indicem. La stessa missione è stata rievocata da G. La Farina, Istoria documentata della rivol. sicil. e delle sue relaz. co' governi ital. e stranieri (1848-49), Capolago 1851, II, pp. 85 s., 131 ss., 138. Sul periodo piemontese G. Massari, Diario delle cento voci 1858-60, a cura di E. Morelli, Bologna 1959, ad Indicem. Oltre che in Enc. It., XIV, sub voce, un breve profilo biografico del F. si legge in A. La Pegna, La rivoluzione sicil. del 1848 in alcune lettere ined. di M. Amari, Napoli 1937, pp. 365-371. Qualche notizia sugli anni dell'università in E. Michel, Maestri e scolari dell'università di Pisa nel Risorg. naz. (1815-1870), Firenze 1949, ad Indicem. Per il ruolo nei moti del 1831 si vedano G. Sforza, La rivoluzione del 1831 nel Ducato di Modena. Studi e docc., Roma-Livorno 1909, ad Indicem, e G. Ruffini, Le cospiraz. del 1831 nelle memorie di E. Misley, Bologna 1931, p. 60; sulla permanenza a Corfù, G. Sforza, Il dittatore di Modena B. Nardi e il suo nipote Anacarsi, Roma-Milano 1916, pp. XLIV, 13, 18, 138, 176, 221 ss.; molto ben ricostruiti gli anni 1838-1852 da E. Michel, Esuli ital. in Corsica, Bologna 1938, ad Indicem.
Si v. inoltre, per la sua attività professionale, C. G. Lincke, Ueber die am Ohre vorkommenden Operationen, Leipzig 1842; A. A. L. M. Velpeau, Nuovi elementi di medicina operatoria, Milano 1882; A. Politzer, Geschichte der Ohrenheilkunde, Stuttgart 1907; R. Stevenson-D. Guthrie, A history of oto-laryngology, Edinburgh 1949; P. Di Paolo, Notizie storiche sulla rinoplastica, in Annali laringol., otol., rinol., faringol., LXVII (1968), pp. 345-361; P. Cassar, L'attività chirurgica dell'esule italiano dott. P. F. a Malta, in Minerva medica, LXIV (1973), pp. 31-36.
G. Monsagrati-D. Celestino