DIONISI (Donise, De Dionisi, De Dionysiis), Paolo
Nacque a Verona, ma ignota è l'esatta data della sua nascita.
Le varie anagrafi che la riferiscono (Archivio di Stato di Verona, Comune n. 452[451], Isolo di sopra); Anagrafe del 1545 e del 1557, Comune nn. 462 e 472; del 1583, Comune n. 473; del 1555, Comune nn. 463, 464-466) non offrono dati concordi, rinviando rispettivamente al 1510, 1512, 1513 C 1515. Dall'albero genealogico della famiglia Dionisi steso dal marchese Gabriele, capitano del lago di Garda, vissuto tra il 1719 e il 1808, trascrivendolo, insieme ad altre notizie sulla famiglia relative a questo periodo, da un libro antico di casa Dionisi intitolato Libro affittuali, pubblicato dal Banterle nella prima appendice del suo esauriente studio sul D., risulta che era figlio di un Cristofòro e che ebbe cinque fratelli, che ricoprirono tutti in qualche modo cariche pubbliche.
Ricevette probabilmente la sua prima formazione culturale nella natia Verona, ed è certo che svolse i suoi studi universitari a Padova. Qui lo troviamo infatti nel 1543 ad insegnare per un anno ai corsi di medicina teorica straordinaria con uno stipendio di 50 fiorini, mentre era ancora studente dell'ultimo anno. L'anno successsivo, il 29 genn. 1544, conseguì il dottorato in artibus et medicina, avendo tra i suoi promotori il celebre Giovanni Battista da Monte, che gli consegnò le insegne dottorali. Qualche mese più tardi, il 19 maggio dello stesso anno, entrò a far parte del Collegio dei medici, tra i cui membri figurava presente anche il Fracastoro (cfr. Arch. di Stato di Verona, Comune 610, Collegio dei medici, Liber actorum 1469-1569, c. 167r) e venne iscritto nella "Matricula physicorum Verone" (ibid., c. 2r dei fogli di guardia).
Da questo momento possiamo seguire le tracce del D. nelle adunanze del Collegio stesso, alle quali egli partecipò frequentemente, assumendo nel corso del tempo varie cariche: di riformatore degli Statuti insieme con Girolamo del Sale e Lodovico Bevilacqua Lazise nel 1569; quale priore il 29 luglio 1591 ("Prior de more sortitus est Ex.mus D. Paulus Dionisius"), prestando giuramento solo il 2 agosto dello stesso anno (cfr. ibid., c. 234r; Comune 611, Liber actorum 1569-1628, cc. 129r, 130r). Altre notizie che lo riguardano ricaviamo dal suo testamento steso il 25 marzo 1591 allorché, colpito da grave malattia, il D. giaceva nel letto della sua casa dell'Isolo di Sopra. Conservato nell'Archivio di Stato di Verona (cfr. Notarile, mazzo 185, n. 270, Atti Andrea de Bonis), ci introduce nella sua vita privata e permette di appurare che il D., che non risulta essersi mai sposato, aveva un figlio naturale di nome Antonio, la cui paternità egli non aveva mai voluto riconoscere, ma di cui si era peraltro preso cura, facendolo "istruire de bone lettere" e "legittimarlo ad honores a fine che fosse capace del Notariato" e che acquisisse una posizione in grado di garantirgli una dignitosa esistenza.
Di detto presunto figlio il D. si diceva scontento avendo questi, in una vita scioperata e avventurosa, dissipato tutto quanto egli generosamente aveva cercato di fargli conseguire, data anche, come nel documento si sottolinea, la sua "superbia di non aver voluto a me mai somigliarsi"; lo escludeva quindi dal grosso dell'eredità, pur non mancando di lasciargli un vitalizio che gli consentisse di sopravvivere. Al fratello Girolamo e a un nipote Antonio lasciava il "Bancho di Pallazzo", dopo la partenza del figlio per il Levante. Il Banterle ha verificato su fonti d'archivio l'esattezza delle affermazioni relative a questo "presunto" figlio, frutto forse di una relazione che il D., ventenne appena, ebbe tra il 1530 e il 1531 con una signora di cui si ignora il nome ma che non doveva essere di infima condizione se poteva lasciargli un certo capitale. Antonio premorì al padre nel 1581 e dando ancora una volta prova del suo orgoglio lasciò al D., lui più povero, in un testamento segreto, cinque ducati (cfr. Archivio di Stato di Verona, Antico Ufficio del Registro, Siginbachi, filza 14, n. 8).
Null'altro si sa della vita del D., che dovette svolgersi quasi sempre a Verona, nell'esercizio della professione di medico. Un documento dell'Archivio di Stato di Verona (Fondo Dionisi, busta XLVIII, c. 3) trasmette l'esatta data della sua morte, che avvenne a Verona il 13 genn. 1592.
Come si è accennato ricevette una buona educazione umanistica, che si rivela nelle uniche due opere da lui composte e a cui si deve la sua fama di medico umanista e letterato. Pubblicate postume dal nipote Giacomo, medico del vescovo Alberto Valerio, nipote, ausiliare e successore del cardinale Bernardo Navagero nella sede episcopale di Verona, esse si trovano riunite in un volumetto, di non grande mole, edito a Verona nel 1599, assai raro, di cui si contano in tutto tre copie, di cui una perduta, nella Biblioteca capitolare di Verona e una nella Biblioteca della villa Dionisi, ora Tacoli, a Ca' del lago di Cerea. Si tratta di due componimenti poetici di cui il primo è una traduzione in distici latini degli Aforismi di Ippocrate dal titolo Aphorismi Hippocratis versibus redditi a Paullo Dionysio medico et philos. Veronensi, Veronae, apud Angeluni Tamum, 1599, scritti, come afferma il nipote nella prefazione, "ultimo suae aetatis senio".
Ma il ricordo del D., come medico e umanista, è soprattutto legato al secondo componimento, un poemetto di 275 esametri intitolato De oculis carmen, caratteristico esempio di poesia scientifica nel quale, sulla base delle Tabulae anatomicae e del De humani corporis fabrica di A. Vesalio, oltre che del De usu partium corporis humani di Galeno, il D., "breviter, satis tamen exacte", come rileva il nipote, descrive la natura e le funzioni delle varie parti dell'occhio. Dedicato "Ad Hieronymum Thebalduni cognomento Salem", anch'egli medico e umanista, molto più anziano del D., composto probabilmente in epoca anteriore a quella della versificazione degli Aforismi ippocratici, il poemetto nasce da un'esigenza squisitamente personale ("tantum mihi mentis ad usuni"), per alleviare il peso dell'insonnia.
L'autore non cerca, anzi rifugge da un vasto pubblico, e si appaga di un esercizio insieme letterario e scientifico che potrà essere degnamente valutato soltanto nella ristretta cerchia dei suoi amici. Denso di tecnicismi e di termini scientifici, vi si celebra la bellezza e perfezione degli organi naturali e dimostra insieme la buona preparazione prosodica e metrica del D., messa peraltro a dura prova dalle esigenze della precisione scientifica. L'autore assume a modello i precedenti classici di Virgilio e Lucrezio, ma non sacrifica mai alla piacevolezza poetica la correttezza scientifica del suo discorso. Dell'occhio il D. descrive con minuzia il moto e le sue varie specie, elenca le tuniche, spiega la funzione degli umori, la loro sede e natura, rivelando un grande interesse per tutto ciò che è microscopico, e celebrando nel mondo infinito e complesso del piccolo, il meraviglioso finalismo della natura.
Fonti e Bibl.: A. Chiocchio, De Collegii Veronensis illustribus medicis et philosophis, Veronae 1623, pt. II, e. IV, pp. 81 s.; S. Maffei, Verona illustrata, II, l. IV, Verona 1732, p. 207; J. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini..., Patavii 1757, p. 367; Acta graduum academicorum ab anno 1538 ad annum 1550, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1971, p. 169, nn. 3007 s.; L. Rossetti, L'università di Padova. Profilo storico, Padova 1972, p. 11; A. Valerini, Le bellezze di Verona, a cura di G.P. Marchi, Verona 1974, p. 103; G. Banterle, P. D. umanista veronese del sec. XVI, in Atti e mem. della Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, XXXI (1979-1980), pp. 271-305.