PAOLO di Samosata
Nato nella Commagene, con tutta probabilità a Samosata, nel 260 fu eletto vescovo di Antiochia, successore di Demetriano. Non è improbabile che sulla sua elezione abbiano influito motivi politici; certo egli esercitava, accanto alle sue funzioni episcopali, funzioni civili e rimase sempre in ottimi rapporti con Zenobia, sovrana del regno palmireno. La lettera del concilio di Antiochia che lo condannò (conservata da Eusebio, Hist. Eccl., VII, xxx, 7-8) afferma che egli giunse a grande fortuna con mezzi assolutamente illeciti. "Orgoglioso e superbo - dice la lettera - egli si riveste di dignità secolari, e preferisce esser chiamato ducenario anziché vescovo; si avanza fieramente nelle pubbliche piazze... scortato da guardie...". Denunciato una prima volta per la sua condotta e la sua dottrina, un concilio di vescovi (Antiochia, 264) non pervenne ad alcun risultato di fronte all'abile condotta di lui. Una lettera firmata da sei vescovi partecipanti al concilio, nella quale s' invitava P. a sottoscrivere una formula di fede ortodossa, è di autenticità discussa. Comunque è certo che, di fronte all'immutata condotta del vescovo, un secondo concilio tenuto sempre ad Antiochia nel 268 riuscì a convincerlo di eresia e lo depose sostituendolo con Donno, figlio del predecessore di P., Demetriano, e principale fomentatore della campagna contro P. stesso. Il quale, spalleggiato da Zenobia, rimase indisturbato nella sede di Antiochia ad onta della condanna. Caduto l'impero di Palmira per opera di Aureliano, poiché Paolo - secondo scrive Eusebio (VII, xxx, 19) - non voleva abbandonare la casa della Chiesa, si fece ricorso all'imperatore Aureliano; il quale sentenziò che la casa fosse consegnata a coloro, ai quali i vescovi d'Italia e di Roma l'avessero attribuita. In forza di questa sentenza P. fu cacciato dal potere secolare. Da allora non si ha più notizia di lui.
Se la sentenza di Aureliano è di grande interesse per la storia delle relazioni fra Stato romano e Chiesa cristiana nell'epoca anteriore all'editto di Milano, non meno interessante è, in sé, la personalità di Paolo. La tradizione ecclesiastica ha fatto di lui un eretico, anzi quasi un prototipo di eresia, ma solo all'epoca di Nestorio cominciano a essere citati i testi della lettera del concilio di Antiochia e degli atti sinodali. Questo ritardo, il fatto che la dottrina di P. è riesumata per mostrare in essa un precedente alla dottrina di Nestorio, i numerosi documenti apocrifi relativi alla persona e alla dottrina di P., sono tutti motivi che contribuiscono a rendere incerta la ricostruzione della dottrina del samosateno. F. Loofs ha senz'altro asserito che la dottrina di P. è quella del cristianesimo primitivo, anteriore cioè alla rielaborazione e, secondo il Loofs, alterazione del messaggio cristiano attraverso influssi filosofici. G. Bardy, l'altro grande studioso di P., nega recisamente che P. sia in qualche modo fedele alla tradizione del cristianesimo primitivo, e afferma recisamente lo spirito ereticale e novatore di Paolo. In realtà, a chi osservi i pochi tratti meno incerti della dottrina di Paolo (dottrina trinitaria sostanzialmente monarchiana, dottrina cristologica che identifica la persona di Gesù Cristo a quella d'un uomo, solo migliore degli altri in quanto possiede la grazia dello Spirito Santo e la saggezza del Verbo unita a lui, questa, con una unione puramente morale) viene fatto di domandarsi se questa dottrina, più che essere il frutto d'un chiaro sistema teologico, sia il frutto d'un abile tentativo per svuotare il cristianesimo della sua originalità religiosa e per dare forme cristiane ad una vaga religiosità accettabile senza troppa difficoltà anche da quei poteri politici ai quali P. chiedeva il più saldo sostegno al suo potere ecclesiastico. E, infatti, quanto sappiamo di P. ce lo mostra uomo d'azione e di governo, legato alle fortune d'una organizzazione politica, per il quale gl'interessi strettamente religiosi sono subordinati a necessità terrene. In questo senso la personalità di P. ha interesse anche quale sintomo d' uno stato d'animo, che non doveva essere isolato, mirante, anche a patto d'una transazione con la fede tradizionale, a riavvicinare la chiesa cristiana alla società circostante.
Bibl.: F. Loofs, P. v. S., Lipsia 1924; G. Bardy, P. d. S., Lovanio 1929, e la bibl. citata in queste opere.