Vescovo di Antiochia (dal 260); condannato e deposto come eretico (268) da un concilio di vescovi, rimase sul seggio per l'appoggio di Zenobia, regina di Palmira; ma quando il regno palmireno decadde per opera di Aureliano, questi, a richiesta degli ortodossi, sentenziò che la casa episcopale "fosse consegnata a coloro, ai quali i vescovi d'Italia e di Roma l'avessero attribuita". In forza di questa sentenza, di grande interesse per la storia delle relazioni fra lo stato romano e la Chiesa, P. fu cacciato dal potere secolare. È difficile definire la dottrina di P., che fu in seguito additata come un precedente di quella di Nestorio; i pochi tratti meno incerti sembrano essere la sua dottrina trinitaria, sostanzialmente monarchiana, e la sua dottrina cristologica che identifica la persona di Gesù Cristo con quella d'un uomo e considera l'unione di questo col Verbo come una unione puramente morale. Alcuni seguaci di P., detti anche paulianisti, durarono fino al sec. 4º.