PAOLO di Bernardino di Antonio del Signoraccio
PAOLO di Bernardino di Antonio del Signoraccio (Fra Paolino da Pistoia). – Figlio del pittore Bernardino di Antonio del Signoraccio e di Antonia di Paolo Maconi, nacque a Pistoia il 5 marzo 1488 (Bacci, 1903, p. 173).
La madre era probabilmente sorella di Andrea di Paolo Maconi, pittore e frate nel convento di S. Domenico a Fiesole, al quale si dovette quasi certamente l’ingresso del giovane nell’Ordine domenicano, avvenuto a una data al momento imprecisabile, ma verosimilmente da collocare verso il 1503, poiché era verso i quindici anni che si iniziava il noviziato nei conventi (Muzzi, 1996a, p. 196). L’artista ebbe un fratello di nome Leonardo, nato nel 1491 e anch’egli pittore, ma la cui personalità resta ancora in gran parte da ricostruire.
La prima formazione di Paolo avvenne nella bottega del padre, pittore di un certo rilievo a Pistoia tra Quattrocento e Cinquecento, anche se alcuni riferiscono di un suo ulteriore discepolato presso Niccolò di Mariano Bigozzi, un pittore originario di Siena ma naturalizzato pistoiese; questi era però uno stretto collaboratore del Signoraccio, e dunque i termini dell’iniziale educazione all’arte del futuro frate rimangono i medesimi.
L’incontro più importante per la sua carriera di pittore fu quello con Fra Bartolomeo, avvenuto verso il 1509, quando Fra Paolino si trovava con certezza nel convento di S. Marco a Firenze.
Il contatto con il pittore fiorentino e con Mariotto Albertinelli nell’ambito della cosiddetta Scuola di S. Marco diede un’impronta determinante alla pittura di Fra Paolino, che appare completamente dipendente dallo stile e dalle invenzioni compositive di Fra Bartolomeo, del quale ottenne alla morte (1517) tutti i disegni e i cartoni in comodato d’uso, sulla base di una stima effettuata da Lorenzo di Credi (Muzzi 1996a, pp. 196 s.). Già in precedenza, comunque, Fra Paolino aveva potuto avvalersi di questo materiale, e alcuni strumenti di lavoro di Fra Bartolomeo risultano presso di lui da tempo al momento della scomparsa del maestro (Muzzi, 1996b, p. 326). Una significativa attestazione del processo di immedesimazione di Fra Paolino con la pittura di Fra Bartolomeo è data, tra le altre opere, da un perduto affresco con la Madonna col Bambino già nella chiesa di S. Domenico a Pistoia, oggi riconosciuto al pistoiese sulla base dell’unica testimonianza fotografica che ne resta, ma per secoli riferito al fiorentino (cfr. Muzzi, 1996a, p. 19, dov’è riprodotta l’immagine).
Il contatto con l’ambiente di S. Marco determinò inoltre nel frate pistoiese l’adesione alle idee e alla spiritualità di Girolamo Savonarola, ancora molto vive nel convento fiorentino e nell’esperienza artistica di Fra Bartolomeo, che ne era stato diretto seguace. Non a caso, la maggior parte dei conventi domenicani per i quali Fra Paolino lavorò facevano parte della Congregazione di S. Marco, fondata da Savonarola per diffondere una regola domenicana più rigorosa e severa, con conseguenze anche sul piano dell’arte.
Tra il 1508 e il 1515 Fra Paolino si spostò continuamente tra il convento fiorentino di S. Marco e quello di S. Domenico a Pistoia, che aveva aderito alla riforma savonaroliana fin dal 1500, e dove stabilì successivamente la sua residenza fissa. Al 1513 sono documentate le sue prime opere, oggi disperse, due sculture in terracotta policroma, S. Domenico e S. Maria Maddalena, eseguite per il convento domenicano della Maddalena alle Caldine presso Firenze (Marchese, 1854, pp. 234 s.), e l’anno dopo Fra Paolino fu verosimilmente uno dei «dua discipuli» che affrescarono con Fra Bartolomeo alcune perdute Storie dei santi Padri nello stesso convento (cfr. Marchese, 1854, p. 367, doc. 7; Muzzi, 1996a, p. 19). Nel 1515 restaurò gli affreschi del Beato Angelico nell’aula capitolare del convento di S. Marco, su commissione del padre priore Filippo Strozzi (Falletti, 1993, p. 26).
Una delle prime opere attribuibili a Fra Paolino è forse la Madonna col Bambino tra i ss. Domenico e Caterina da Siena della Galleria dell’Accademia di Firenze, proveniente dal convento delle domenicane di S. Caterina in Cafaggio e attribuitagli da Franca Falletti (ibid.), ma il suo primo lavoro certo e sicuramente databile giunto fino a noi si trova nella sacrestia della chiesa di S. Spirito a Siena, appartenente all’epoca ai domenicani fiorentini di S. Marco; è un affresco con il Crocifisso e santi eseguito tra il settembre e l’ottobre del 1516, in collaborazione con un converso di nome Agostino (che verosimilmente preparò la parete da dipingere), sopra la tomba di Cherubino Ridolfini da Narni, un laureando in medicina morto poco prima della discussione della tesi.
Nonostante la matrice chiaramente derivante da Fra Bartolomeo e da Albertinelli l’opera, preceduta da un disegno molto accurato conservato nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (Disegni, 1986, pp. 151 s.), appare aperta anche a suggestioni tratte dalla pittura del Franciabigio, evidenti soprattutto nella figura del S. Giovanni Evangelista sulla destra.
Con la morte di Fra Bartolomeo, preceduta da quella dell’Albertinelli nel 1515, Fra Paolino assunse la direzione della Scuola di San Marco dedicandosi a un’attenta continuazione dello stile di quei due maestri, piegato però a intenti ancor più marcatamente devozionali, che lo portarono a semplificare notevolmente la sua pittura secondo i criteri di severità e di austerità consoni alla regola savonaroliana. Gli effetti di questo processo sono stati osservati già in opere come la Pietà del 1519 (Firenze, Museo di S. Marco), iniziata da Fra Bartolomeo per il convento delle Caldine e terminata da Fra Paolino, ma diventano ancor più evidenti a partire dalla metà degli anni Venti, quando lo stile pittorico del frate pistoiese acquistò i suoi caratteri definitivi.
Un’esecuzione accurata e raffinata e un gusto per i dettagli che in seguito Fra Paolino deliberatamente accantonò si notano in alcune opere collocabili all’inizio degli anni Venti, tra le quali vi è uno dei suoi quadri più noti e apprezzati, l’Annunciazione dell’oratorio della Ss. Annunziata a Vinci (Firenze). Di essa esistono una replica coeva nella collegiata di San Casciano in Val di Pesa (Firenze), e due versioni con varianti: una, sempre giovanile, nelle collezioni della Cassa di Risparmio di Pistoia, e l’altra in una raccolta privata (Muzzi, 1996a, p. 198), ma proveniente dalla pieve di Stia (Arezzo), dove ne resta una copia.
Nel 1523 Fra Paolino, ancora abitante in S. Marco a Firenze, si adoperò molto per il culto di un’importante figura dell’Ordine domenicano appena canonizzata: s. Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze nel secolo precedente, eseguendone una dispersa effigie per il convento domenicano di San Gimignano (Siena), e dipingendo due Angeli reggi candelabro destinati ad affiancarne la sepoltura in S. Marco, ma in seguito trasportati nella cappella del palazzo ducale di Massa (oggi Prefettura). L’anno successivo gli ufficiali della Pia Casa di Sapienza di Pistoia chiesero al priore di S. Marco di concedere a Fra Paolino di recarsi brevemente nella città natale a visitare il padre, ma tale trasferta coincise in realtà con l’allogazione di una pala d’altare destinata a sostituire un dipinto del 1518 di Domenico Rossermini sull’altare maggiore della chiesa pistoiese della Ss. Annunziata; il quadro non fu tuttavia mai eseguito a causa della morte del committente, Bartolomeo Baldinotti (cfr. Muzzi, 1991, p. 44; Nesi, 2011, p. 178).
Al 1525 datano alcune delle opere più significative del frate, nelle quali il processo di semplificazione della forma giunge a compimento, rivelandosi perfettamente consono agli ideali della Congregazione di S. Marco. Si tratta di due Sacre Conversazioni – nella chiesa di S. Lucia a Barbiano, presso San Gimignano (ma proveniente dal locale convento di S. Domenico) e nella chiesa di S. Maria del Sasso a Bibbiena (Arezzo) – e di una Sacra Famiglia con s. Agnese e un angelo, per il Capitolo del noviziato del convento di S. Domenico a Fiesole (oggi nel Museo di S. Marco a Firenze).
Se le Sacre Conversazioni seguono entrambe il medesimo schema compositivo (ripetuto poi da Fra Paolino in molte altre occasioni), con la Vergine su un alto trono inserito in una nicchia a conchiglia attorniata da santi in piedi e inginocchiati, la Sacra Famiglia appare improntata a uno stile più personale. Come già nella Pietà del 1519, in queste opere le istanze savonaroliane si traducono in un’esecuzione pittorica semplificata e tesa a privilegiare l’aspetto didattico e narrativo, anteponendo alla ricerca di bellezza e raffinatezza nella composizione e nella stesura dei colori uno schematismo delle figure, e un’astrazione espressiva, che ne sottolineano soprattutto la funzione devozionale.
Una delle ultime opere eseguite da Fra Paolino a Firenze fu il Matrimonio mistico di s. Caterina da Siena e santi per la chiesa delle monache domenicane di S. Caterina di Cafaggio, che deriva strettamente dalla tavola dello stesso soggetto di Fra Bartolomeo oggi al Louvre, ma significativamente ne semplifica la composizione, rinunciando ad alcuni elementi decorativi di contorno e dando a tutto l’assieme una forma più statica e rigida.
Tra il 1526 e il 1528 avvenne il definitivo trasferimento di Fra Paolino nel convento di S. Domenico a Pistoia, dove impiantò un’attivissima bottega nella quale fu probabilmente coadiuvato da numerosi collaboratori; tra di essi ve ne fu presumibilmente uno di nome Battista dal Gallo, che eseguì in seguito a Pistoia alcune opere autonome assai prossime allo stile del maestro (cfr. Nesi, 2006, pp. 80 s.).
Tra i primi lavori pistoiesi si segnalano due importanti dipinti per la chiesa di S. Domenico, la Sacra Conversazione per l’altare maggiore (in seguito spostata in S. Paolo), firmata e datata 1528 ed eseguita in sostituzione di una pala commissionata a Fra Bartolomeo nel 1512 ma mai dipinta, e l’Adorazione dei magi per l’altare dell’omonima Confraternita (oggi conservata in sacrestia). Quest’ultima è una delle composizioni più elaborate e ricche di personaggi dipinte da Fra Paolino, che all’estrema sinistra vi inserì anche il proprio ritratto. A questo momento appartiene anche la bella Annunciazione in due pannelli (probabilmente sportelli di un armadio) del Museo civico di Pistoia, realizzata quasi certamente per S. Domenico, ma in seguito spostata nella chiesa del Carmine, dov’era attribuita a Santi di Tito, prima di giungere nella collocazione attuale (Nesi, 2011, pp. 112 s.).
Poco dopo l’esecuzione di queste opere, Fra Paolino si riappropriò di schemi più convenzionali e rodati, in tre Sacre Conversazioni che riprendono l’ambientazione architettonica e la disposizione delle figure da quelle dipinte nel 1525 per Barbiano e Bibbiena. La prima, eseguita nel 1530 nuovamente per la chiesa di S. Domenico a San Gimignano, fu poi spostata in quella di S. Agostino; la seconda si trova nell’oratorio della Confraternita di S. Sebastiano a Badia a Pacciana, presso Pistoia, ed è databile al 1530 circa per la presenza in essa dei santi Sebastiano e Rocco, da collegare con un’epidemia di peste che colpì la città in quell’anno; la terza, eseguita tra il 1530 e il 1534, è oggi nella sacrestia di S. Domenico, ma proviene dalla chiesa delle domenicane pistoiesi di S. Caterina.
Nel 1532 Fra Paolino tornò a dipingere per S. Maria del Sasso a Bibbiena, realizzando la grandiosa Assunzione tuttora in loco nel coro della chiesa conventuale (ne esistono due bei disegni preparatori nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi e nel Fitzwilliam Museum di Cambridge: Disegni, 1986, pp. 154-156 ), seguita poco dopo da una nuova pala con il Crocifisso con i dolenti e s. Tommaso d’Aquino per l’altare della famiglia Pappagalli in S. Domenico a Pistoia.
In questi dipinti il processo di semplificazione formale raggiunge il culmine, con il paesaggio che diventa un fondo scabro e astratto, e le ombre schematiche che costruiscono panneggi legnosi e figure rigide come manichini.
Gli allestimenti scenici ormai tradizionali per le Sacre Conversazioni tornano tra il 1534 e il 1538 in due dipinti per le monache di S. Domenico a Lucca, eseguiti su tela come quelli di Bibbiena e San Gimignano per un più facile trasporto nelle località di destinazione, mentre le opere di Fra Paolino per la sua città sono su tavola. Il primo, per la chiesa esterna, si trova oggi nel Museo di Villa Guinigi, mentre il secondo, per la chiesa della clausura, passò da Lucca in S. Domenico a Pistoia, dove subì danni durante la seconda guerra mondiale, e in seguito in S. Maria del Sasso a Bibbiena, dove tuttora si trova (Muzzi, 1996a, p. 30; Nesi, 2011, p. 110). La composizione del primo dipinto torna pressoché identica in un’ulteriore Sacra Conversazione nella chiesa domenicana di S. Giacinto a Siena, compreso l’angioletto musicante seduto sui gradini del trono, mentre alcune delle altre figure sono riprese dalla Sacra Conversazione di S. Caterina a Pistoia (ora nella sacrestia di S. Domenico) e da quella dell’altar maggiore di S. Domenico (oggi in S. Paolo), il che ne potrebbe confermare la datazione agli anni Trenta. La pala, anch’essa su tela, appare però piuttosto problematica, e il suo attuale aspetto lascia aperta la possibilità che si tratti di un’opera pesantemente ridipinta se non addirittura di una copia seicentesca da un originale perduto (Nesi, 2011, p. 115).
Nel corso del terzo decennio, il contatto con il domenicano pratese Timoteo de’ Ricci, al tempo in cui era priore in S. Domenico a Pistoia (1525-27), portò Fra Paolino ad avvicinarsi alla sorella di lui, Caterina (canonizzata nel XVIII secolo), abitante nel convento di S. Vincenzo a Prato, la quale stava rilanciando il culto e l’ideologia di Savonarola attraverso una serie di visioni mistiche con il predicatore ferrarese come protagonista. Con lei Fra Paolino ebbe un intenso scambio epistolare, iniziato dopo il 1538, che però non ci è giunto (Muzzi, 1991, pp. 52 s.). Nello stesso periodo Fra Paolino risulta attivo per il convento domenicano pratese di S. Clemente, dove gli sono riferiti diversi dipinti, tra i quali una S. Anna metterza e santi che però potrebbe esservi giunta in seguito, e provenire da S. Domenico a Fiesole: tra il 1540 e il 1541 il frate eseguì per il convento fiesolano, su commissione di fra Marcellino de’ Medici, un dipinto dello stesso soggetto che alcuni inventari descrivono identico a quello di S. Clemente, il quale non è invece citato nel convento pratese anteriormente al Novecento (Muzzi, 1996a, p. 26).
Tra il 1543 e il 1545 Fra Paolino si recò a Viterbo, dove operò nel convento domenicano di S. Maria della Quercia, completando due dipinti lasciati incompiuti una trentina d’anni prima da Fra Bartolomeo e da Albertinelli. Si tratta dell’Incoronazione della Vergine, nel coro, il cui completamento era stato richiesto dal priore Tommaso Buoninsegni da Siena, e di un Noli me tangere, iniziato probabilmente da Albertinelli (ma basato su disegni di Fra Bartolomeo, conservati agli Uffizi e pubblicati in Disegni, 1986, pp. 61-63), e oggi appeso nella navata destra della chiesa. La lunetta con il Padreterno e angeli che sovrasta l’Incoronazione è invece tutta di Fra Paolino, che a Viterbo decorò inoltre, probabilmente a fresco, una cappella per un nobile di nome Pacifico di Mont’Alto, forse ubicata nella vicina Montalto di Castro, ma finora non identificata (cfr. Marchese, 1854, pp. 278 s.; Recupero, 1981, pp. 32 s.; Muzzi, 1996a, p. 31).
Nel 1545 Fra Paolino risulta rientrato definitivamente in S. Domenico a Pistoia, dove morì il 3 agosto 1547.
Poco dopo la scomparsa, il correligionario Angelo Ubertini, che era stato tra l’altro suo confessore per quattro anni, gli dedicò una lunga nota biografica contenuta nel Libro dei morti del convento, che va dal 1500 al 1564 (cfr. Muzzi, 1991, pp. 42 s.). In essa sono citati tutti i dipinti realizzati per S. Domenico e alcuni lavori finanziati da Fra Paolino per il convento, ed è da essa che si trae la notizia del suo intenso legame con Caterina de’ Ricci. Ubertini espresse anche un giudizio sulle capacità artistiche del frate, che definì pittore «diligens» e «peritus», ma non «insignis».
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, pp. 200-202; V. Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani (1846-47), II, Firenze 1854, pp. 226-246, 278 s., 367 (doc. 7); G. Milanesi, Nuovi documenti per la storia dell’arte toscana dal XII al XV secolo, Firenze 1901, p. 145; P. Bacci, Note e documenti sullo Scalabrino e altri pittori pistoiesi del XVI secolo, in Bullettino storico pistoiese, V (1903), 4, p. 173. F. Knapp, Fra Bartolomeo della Porta und die Schule von San Marco, Halle 1903, pp. 235-242; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IX, 1, Milano 1925, pp. 386-392; Ch. von Holst, Florentiner Gemälde und Zeichnungen aus der Zeit von 1480 bis 1580, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 1971, vol. 15, pp. 25 s.; J. Recupero, Il santuario della Quercia, Firenze 1981, pp. 14 s., 32 s.; Disegni di Fra Bartolommeo e della sua scuola, (catal.), a cura di C. Fischer, Firenze 1986, pp. 151-156; A. Muzzi, P. da Pistoia, detto Fra Paolino di Bernardino del Signoraccio, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1988, p. 792; Id., Fra Paolino a Pistoia, in Bullettino storico pistoiese, s. 3, XXVI (1991), pp. 41-53; A. Muzzi, Alcune proposte per Fra Paolino (verso 1490-1547), in Kunst des Cinquecento in der Toskana, a cura di M. Cämmerer, München 1992, pp. 57-63; F. Falletti, Aggiunte all’attività giovanile di Fra’ Paolino da Pistoia, in Il Tremisse pistoiese, XVIII (1993), 1, pp. 24-27; s.; C. Ellis, Florence and Pistoia. Fra Bartolommeo and Fra Paolino, in The Burlington magazine, CXXXVIII (1996), pp. 628-630; A. Muzzi, in L’età di Savonarola. Fra Paolino e la pittura a Pistoia nel primo ’500 (catal., Pistoia), a cura di C. D’Afflitto - F. Falletti - A. Muzzi, Venezia 1996a, pp. 9-35, 196-208; Id., in L’età di Savonarola. Fra Bartolomeo e la scuola di San Marco (catal., Firenze), a cura di S. Padovani, Venezia 1996b, pp. 223 s., 253-256, 258 s., 325 A. Nesi, Nuovi documenti su alcuni pittori pistoiesi del primo Cinquecento, in Storia locale, 2006, n. 7, pp. 68-81; Id., Ritrovamenti pistoiesi. Dipinti e documenti per alcuni pittori del Cinquecento, in Arte cristiana, XCIX (2011), Parte I, n. 863, pp. 109-116; Parte II, n. 864, pp. 177-184.