MALATESTA (de Malatestis), Paolo detto Paolo il Bello
Figlio di Malatesta detto Malatesta da Verucchio e della prima moglie di questo, Concordia, figlia del visconte imperiale Enrighetto de' Pandolfini, nacque presumibilmente a Rimini tra il 1250 e il 1252.
Il cenno, in un documento del 1264 (in Curradi, p. 43), alla condizione di scolares segnala la giovane età dei due fratelli, il M. e Giovanni, dei quali il M. era evidentemente, come indica il diminutivo "Paolottus", il minore. La scelta di un nome estraneo al tradizionale albero genealogico di famiglia, del resto, si confaceva a un figlio cadetto. Il M., tuttavia, a dispetto della posizione subalterna, fu presto deputato dal padre a un ruolo di rilievo in seno al casato.
Il M. è comunemente noto come Paolo il Bello, a indicare la sua prestanza in netto contrasto con la pronunciata menomazione fisica di Giovanni, al quale fu dato l'appellativo di Ciottus o Ischancatus. Le vite dei due fratelli, pressoché coetanei, appaiono sin dall'infanzia strettamente correlate da un intimo legame, non privo di contrasti, che si consolidò in età adulta all'ombra della dominante figura paterna e si spezzò, infine, nella celeberrima tragedia di Paolo e Francesca narrata da Dante (Inf., V, 97-108).
Il matrimonio del M., ancora giovanissimo, con Orabile Beatrice, figlia di Uberto conte di Ghiaggiolo, fu uno dei principali successi diplomatici di Malatesta da Verucchio, che consacrava così la difficoltosa acquisizione della contea di Ghiaggiolo.
Era stato a nome di Malatesta da Verucchio che, nell'agosto 1269, Ludovico delle Caminate, suo procuratore, si era impossessato dell'intera contea, versando a Beatrice, vedova del conte Guido e madre del defunto conte Uberto, la cifra di 6250 lire ravennati e anconitane. La cospicua somma, tuttavia, rientrò almeno in parte nelle casse malatestiane proprio grazie alla dote di Orabile Beatrice che, nel frattempo, aveva ufficialmente rinunciato a qualsiasi diritto sul vasto possedimento.
L'unione coniugale, sancita intorno al 1270, assicurò ai Malatesta un legittimo erede, Uberto, insignito con il titolo di conte di Ghiaggiolo. Ma la gestione del nuovo possesso malatestiano si rivelò tutt'altro che pacifica, nonostante le spiccate doti di governo di cui il M. diede presto dimostrazione.
L'assenza di precise indicazioni in merito ai diritti di successione, infatti, rese la contea terreno fertile per innumerevoli polemiche e controversie. Sul vasto e ricco possedimento di Ghiaggiolo, che gravitava intorno alla città di Forlì estendendosi lungo la valle del Bidente, si concentravano gli interessi della Chiesa ravennate, originaria detentrice del bene, di Malatesta da Verucchio e di Guido da Montefeltro. Se l'arcivescovato di Ravenna, infatti, rivendicava il possesso della contea già da secoli, Malatesta da Verucchio, attraverso il M., e Guido da Montefeltro, in qualità di cognato del defunto conte Uberto, che aveva sposato la sorella Manentessa, accampavano diritti dinastici. Il M., pertanto, ligio alla linea politica paterna, si trovò al centro della complessa disputa cui presero parte persino gli Onesti di Ravenna che, a nome di Onestina, figlia di Onesto, avanzavano pretese sulla dote di Orabile Beatrice. L'insoluta questione del possesso di Ghiaggiolo contribuì a fomentare l'antagonismo tra Malatesta e Montefeltro che determinò, in più occasioni, l'insorgere di cruenti scontri armati.
Data la costante collaborazione tra Malatesta da Verucchio e i figli, è assai probabile che Giovanni e il M. abbiano preso parte alle azioni militari promosse dal padre nel 1271-75. Altrettanto plausibile, inoltre, è la collocazione proprio in quel delicato frangente dell'origine del sodalizio Malatesta - da Polenta, consolidatosi nel tempo anche grazie a una politica di strategiche alleanze parentali, fra le quali l'unione di Giovanni e Francesca domina indiscutibilmente la scena.
Un tassello imprescindibile della tragica vicenda fu l'amore esploso tra il M. e Francesca e violentemente spezzato da Giovanni, secondo le fonti dantesche reo del fratricidio e dell'uxoricidio. L'episodio non può essere semplicemente ricondotto al triangolo amoroso, ma è da inserire in un contesto storico e dinastico che le fonti letterarie non consentono di ricostruire. La documentazione, d'altra parte, non fornisce alcuna informazione relativa al drammatico epilogo e neppure l'identità di Francesca risulta accertata. Se, infatti, il nome di battesimo è confermato dal testamento di Malatesta da Verucchio, che fa esplicito riferimento alla prima moglie di Giovanni, solo i commentatori danteschi concordano nell'ascriverla al casato polentano. A tutt'oggi oscuro resta il movente della brutale uccisione in cui l'elemento passionale, per quanto rilevante, deve essere necessariamente ridimensionato. La rivalità tra i fratelli aveva probabilmente radici profonde, forse legate alla spartizione del ricco patrimonio familiare e, di certo, non estranee alle complesse contese sul feudo di Ghiaggiolo. Se, infatti, Giovanni poteva vantare un diritto di primogenitura, il M., d'altra parte, in virtù del matrimonio con Orabile Beatrice, appariva il legittimo titolare dei beni provenienti dalla moglie. Non è escluso inoltre che l'intraprendenza e le capacità governative del M. potessero intimorire il fratello.
Nel gennaio 1276, a fianco del padre, il M. promosse un'iniziativa di pacificazione per intervento di Berlingerio degli Amorosi, nominato procuratore del Comune di Rimini, dei Malatesta e di altri esponenti del guelfismo locale, duramente battuto nella disfatta di San Procolo (1275). La mediazione, rimessa all'arbitrio di Bonifacio, arcivescovo di Ravenna, era finalizzata al raggiungimento di un compromesso con il fronte ghibellino capeggiato da Guido da Montefeltro. Il M., pertanto, partecipò alla trattativa in qualità di massimo rappresentante della contea di Ghiaggiolo, sulla quale incombevano le minacce dei ghibellini forlivesi.
Nel 1279, tuttavia, la definitiva assegnazione del feudo al M. non risultava ancora stabilita. Il giuramento di obbedienza proferito da Guido da Montefeltro al pontefice Niccolò III aveva consentito ai Malatesta di consolidare i loro possedimenti nel Forlivese, in primis la contea di Ghiaggiolo che, nel settembre 1279, rinnovò la promessa di sottomissione a Malatesta da Verucchio. È dunque evidente che, all'epoca, questi deteneva in esclusiva l'investitura di quelle terre, arrogandosi la nomina di conte e rettore della casa di Ghiaggiolo.
L'invio a Firenze del M., decretato da papa Martino IV nel marzo 1282, rientrava probabilmente nel quadro delle ricompense assegnate ai Malatesta per i servigi resi alla S. Sede. Il M., forse prescelto tra i fratelli per le sue capacità politiche e diplomatiche, giunse in città nella veste di capitano del Popolo, di giudice e di conservatore della pace, cumulando grandi responsabilità. L'esercizio di tali funzioni, però, si interruppe di fatto a causa dell'istituzione del difensore delle arti, una nuova magistratura che, alla fine del 1282, avocò a sé larga parte delle competenze spettanti al capitano del Popolo. L'annullamento di alcune sentenze pronunciate dal M., il 29 genn. 1283, e la condanna di Buonaccorso degli Alisei, reo di aver protestato contro le ingerenze dei priori sulla costituzione del cardinale Latino Malabranca, che regolamentava la pacifica convivenza tra guelfi e ghibellini, indussero il M. a deporre l'ufficio, privato ormai della valenza originaria. Nel gennaio 1283 il M., quale comandante delle milizie fiorentine, si diresse inoltre alla conquista della rocca di Castiglione della Pescaia, per toglierne il predominio a Pisa, ma subì una pesante sconfitta e rimase ferito da un colpo di balestra.
A un mese dalla scadenza dell'incarico, pertanto, il M. presentò le proprie dimissioni (28 febbr. 1283) arrecando, come motivazione ufficiale, inderogabili questioni di famiglia.
È probabile che il congedo fosse causato anche dalla situazione della contea di Ghiaggiolo, dove gli abitanti, dopo i successi del fronte guelfo nella regione, tramite pubblico giuramento avevano confermato la loro subordinazione al casato malatestiano. La solenne promessa fu, in questa occasione, genericamente rivolta ai conti e rettori della contea, individuabili - si suppone - nel M. e nei suoi discendenti. Dal matrimonio del M. con Orabile Beatrice, infatti, oltre al primogenito Uberto, era nata Margherita, che fu data in sposa ad Aghinolfo Guidi della famiglia dei conti di Romena.
Tornato a Firenze, il M. e Francesca, la moglie di Giovanni, furono uccisi. L'efferato omicidio dei due celebri amanti deve collocarsi fra il 1283, epoca della missiva con la quale il M. si era licenziato dall'ufficio fiorentino, e il 1286, anno al quale parrebbe risalire il secondo matrimonio di Giovanni.
Fonti e Bibl.: Il testamento di Malatesta da Verucchio, a cura di A. Bellù - A. Falcioni, Rimini 1993, pp. 10 s., 14 s.; C. Curradi, Alle origini dei Malatesti, in Romagna arte e storia, XLVIII (1996), pp. 43 s., 47-50, 54; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti, I, Rimino 1617, pp. 608-610; L. Tonini, Memorie storiche intorno a Francesca da Rimini, Rimini 1852; Osservazioni critiche di monsignor Marino Marini sulle memorie storiche intorno a Francesca da Rimini(, Roma 1853, pp. 9-48; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini nel sec. XIII, Rimini 1862, ad ind.; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 38 s., 49-52, 71-73; S. Pari, La signoria di Malatesta da Verucchio, Rimini 1998, ad ind.; Id., Francesca da Rimini nei commentatori danteschi, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2005, pp. 93-119; Id., Le prime donne del ramo di Ghiaggiolo, ibid., pp. 143-165; La signoria di P. il Bello e dei Malatesti di Ghiaggiolo, a cura di A. Falcioni, Rimini 2006.