PAOLO della Croce, santo
PAOLO della Croce (Paolo Francesco Danei), santo. – Nacque il 3 gennaio 1694 a Ovada, nella Repubblica di Genova e diocesi di Acqui, da Luca Danei, originario di Castellazzo Bormida, e dalla seconda moglie Anna Maria Massari, originaria di Roveriolo Ligure. La famiglia Danei, di buona fama, numerosa e pia, aveva perduto l’agiatezza raggiunta nei decenni precedenti la guerra del Monferrato del 1628-30 e, per la stagnazione dei commerci di tessuti e cordami in cui era occupata, si era trasferita da Castellazzo a Ovada e alla fine del 1709 in paesi di confine sconvolti dalla guerra di successione spagnola, Campo Freddo, Cremolino, Castellazzo. Per i continui trasferimenti, impiegato già da adolescente nella impresa di famiglia, e istruito in modo discontinuo e frammentario, Paolo scoprì la sua vocazione nel 1713 a Cremolino, commosso da un sermone in tempo di carnevale. Giovane «di presenza grave e maestosa», iniziò le prime pratiche di orazione e mortificazione che le letture materne sulle vite di santi e monaci eremiti gli avevano rese familiari fin da bambino e pensò di accogliere l’appello alla penitenza lanciato da Clemente XI nel maggio 1715 per la guerra contro i Turchi. Si rese presto conto che non era la guerra a costituire il suo destino – che riteneva già «scritto» nel suo doppio nome di battesimo, riferito all’Apostolo delle genti e al Poverello di Assisi – e riprese i commerci familiari, attratto dai più isolati luoghi di devozione, incerto tra scelta eremitica e idea di «radunar compagni» per vivere il Vangelo in comunità. La prospettiva di vivere in solitudine al servizio della Chiesa si fece chiara alla fine del 1717, influenzata dai cappuccini di Tortona e consentita dalla rendita di uno zio che gli permise di abbandonare gli affari. Nell’estate 1720, un decisivo «lume» gli mostrò la strada: «vide» se stesso vestito di una tonaca nera con il nome «Jesu» in lettere bianche sottostante una croce bianca; di lì a poco, un secondo «segno di Dio» lo convinse di dedicare la sua vita a quella tonaca nera con segno di croce e nome di Gesù.
Si trattava di una variante originale del cuore inteso in relazione all’amore mistico caratteristico dell’età barocca, e del Sacro cuore delle visioni di Paray-le-Monial del 1647 (Rosa, 1999). Il cuore di Paolo Francesco, tutt’uno con la croce, era già un cuore «totale», rappresentazione globale della Passione, segno identificativo di un carisma da offrire alle genti. Paolo dedicò i mesi successivi a colloqui di formazione (specie con Policarpo Cerruti, penitenziere della cattedrale di Alessandria) e a dar senso organizzativo al carisma cristologico, sempre più chiaramente inteso come «continua rimembranza della Passione».
In quegli anni, il «percorso della croce» si diffondeva con successo, anche nel segno di devozioni rinnovate e specialmente rivolte ai poveri delle campagne (Châtellier, 1993), mentre, in particolare nei borghi liguri e del basso Piemonte, il segno cristologico caratterizzava la predicazione e le devozioni dei cappuccini e dei minori osservanti. Consapevole fin dall’infanzia delle sofferenze della Croce (I Processi, 1969-1979, II), Paolo fece proprio il messaggio salvifico di Cristo grazie ai cappuccini Colombano da Genova e Girolamo da Tortona e all’indefessa azione apostolica che Leonardo da Porto Maurizio aveva avviato proprio in area ligure.
Nell’inverno 1721, passato «sotto il crivello» del vescovo di Alessandria, il barnabita Francesco Giuseppe Arborio di Gattinara, ottenne l’assenso di vestire l’abito di penitenza e l’ordine di ritirarsi «in solitudine» per quaranta giorni nel suo paese. Vestito di «arbagio», panno grossolano usato dai poveri del genovesato e tinto di nero, iniziò il suo «deserto» presso una chiesa di Castellazzo; era tenuto a lunghe orazioni, a servizi liturgici e di manutenzione di spazi e altari, alla registrazione minuta delle proprie meditazioni, destinata al giudizio diocesano. Il racconto di questo «deserto» (Diario) esprime il doppio binario che segna costantemente la figura di Paolo: l’aspirazione mistica e languida a «vivere nell’anima» la Passione, a «liquefarsi in Dio»; e la chiarezza strategica a formare una comunità apostolica votata a diffondere il messaggio della Croce. La prosa a tratti sofisticata del diario, ricca di evocazioni scritturali e agiografiche, stride con l’approssimativa formazione documentata nelle fonti, ma è propria di un uomo che rivela in tutta la vita straordinarie capacità di apprendere, convincere, ottenere risultati.
Nel gennaio 1721 il vescovo rifiutò il consenso a un primo nucleo dei «poveri di Gesù» e respinse la «regola santa» che, scritta nel romitaggio, prefigurava «un uomo tutto di Dio, tutto apostolico […] staccato dal mondo, dalla robba, da se stessi» (Notizia 1747, p. 70). Paolo decise di proporsi direttamente al pontefice. Il 22 settembre si presentò al Quirinale per essere ricevuto da Innocenzo XIII e fu licenziato sbrigativamente; deciso a perseguire il suo obiettivo «fino in capo al mondo», raggiunse le zone malariche dei Presìdi, allora a dominio austriaco e, con il permesso dell’arciprete di Porto Ercole, si stabilì nel romitorio dell’Annunziata sul Monte Argentario, in attesa di ottenere dal vescovo di Soana e Pitigliano, Fulvio Salvi, il permesso di aggregare compagni. Il consenso fu accordato per il solo fratello Giovanni Battista. Conclusa a Castellazzo la vestizione da eremita di questi, i Danei lasciarono la propria diocesi con due lettere commendatizie prive di elogi o giudizi (I Processi..., 1969-1979, I).
Alla vigilia del Concilio romano del 1725, la presa di distanza dei due vescovi si spiega nella più attenta vigilanza diocesana sui romiti e la custodia dei luoghi sacri, unico impegno della professione. Questo clima era ben presente alla diocesi di Soana dove erano già molte decine gli eremiti vigilati dai parroci (Giorgini, 1981, pp. 265-271) quando i Danei, nell’aprile 1722, si insediarono con il permesso dell’arciprete e del comandante del Presidio nel romitorio sul Monte Argentario con un programma severo di orazione, penitenza e umili servizi. Nell’autunno si trasferirono a Gaeta, su invito del vescovo Carlo Pignatelli, forse grazie a due romiti genovesi lì presenti, o agli ufficiali spagnoli dei Presìdi in regolare contatto con la piazza militare di Gaeta anche sotto gli austriaci. Pignatelli li assegnò al romitorio della Madonna della Catena con l’ordine di studiare e servire la pastorale diocesana. Nella Quaresima 1724, Paolo predicò per la prima volta in pubblico prima di accettare l’invito del vescovo Cavalieri e trasferirsi a Troia, diocesi culturalmente viva e dotata di un clero disciplinato. Emilio Cavalieri, pio operaio, sentiva profondamente la devozione cristologica a cui Paolo voleva intitolare la propria fondazione; rivide la bozza della Regola, suggerì di proporre alla S. Sede una «pia adunanza» di sacerdoti con voti semplici viventi a titolo di povertà e mensa comune sotto giurisdizione episcopale, fornì credenziali per ottenere udienza nella Curia romana (Vizzari, 1976).
Nell’anno santo 1725, nel clima del Concilio romano e del rilancio religioso promosso da Benedetto XIII, Danei giunse a Roma; conobbe il cardinale Carlo Rezzonico, Marcello Crescenzi, allora canonico di S. Pietro e per suo tramite il cardinale Pier Marcellino Corradini, che lo indirizzò a prestare aiuto ai malati infettivi curati da don Emilio Lami in Trastevere. Grazie a lui, in maggio, ottenne un breve colloquio con il papa e un apprezzamento verbale all’intenzione di radunar compagni sotto il titolo della Passione. Forte di tale gesto, propagandato come una prima informale approvazione, rivide la Regola e dal settembre 1726 curò gli infermi del nuovissimo ospedale di Corradini e Lami in S. Gallicano, acquisendo il titolo beneficiale e la ragione giuridica necessari all’ordinazione sacerdotale (7 giugno 1727). Seguirono la morte del padre e un breve ritorno in famiglia, febbri malariche, «interne desolazioni, e fierissimi assalti dei demoni» (I Processi..., 1969-1979, I, p. 127), crescente disagio per l’impegno di cura in ospedale. Dispensato da quel voto (marzo 1728), si ritirò sul Monte Argentario per «perseverare nella nostra vita» e a fine anno cominciò a predicare e a richiamare postulanti, occupandosi seriamente nello studio dal 1731, mirando a una sede più consona. Il coinvolgimento dei Presìdi nella guerra di successione polacca rallentò il progetto, ma la città di Orbetello (ora borbonica) consentì l’acquisto di una sede, intitolata alla Presentazione di Maria e detta «Ritiro» per evidenziare il segno contemplativo-ascetico della comunità. Alla fine del 1736, il card. Altieri (abate commendatario delle Tre Fontane con giurisdizione spirituale su Orbetello) corresse le Regole, in specie sulla estrema povertà, sconsiderata quantomeno in ragione delle fatiche dell’apostolato (Pio del Nome di Maria, 1853, pp. 52 s.).
Nel settembre 1740, il neoeletto Benedetto XIV affidò l’esame delle Regole, giacenti da oltre due anni alla congregazione dei Vescovi e regolari, a una speciale commissione (Rezzonico, Corradini e Garagni segretario), che escluse i voti solenni, la fondazione a personalità giuridica propria, l’ordinazione dei chierici senza lettere dimissioriali dei vescovi. Il 15 maggio 1741, la Regola dei «Minimi Chierici Regolari scalzi […] sotto l’invocazione della S. Croce e della Passione di Gesù Cristo» fu approvata con rescritto pontificio, in una formula dunque provvisoria, in attesa dei dodici affiliati previsti per concedere il titolo di congregazione. Sei religiosi emisero i voti pubblici, presero l’abito nero con «segno» bianco e assunsero il nome di religione, riferito a un mistero cristologico o mariano o a un santo di particolare significato. Paolo Danei divenne così Paolo della Croce, fondatore e missionario nel nome della Passione.
La predicazione si fece intensa in Maremma e tra i soldati dei Presìdi durante la guerra di successione austriaca e, tra rinunce e nuovi ingressi, la congrega raggiunse 19 unità, aprì nuovi ritiri ai margini di Vetralla e Soriano, nonostante l’opposizione dei cappuccini del 1742-43. Seguirono nuove affiliazioni e intense campagne apostoliche su permesso o invito delle diocesi (delle municipalità, dei signori), nei Presìdi, nel Granducato di Toscana, nelle province pontificie di Patrimonio e di Campagna e Marittima, nel distretto di Roma. La missione era ormai un insieme sistematizzato di parola, catechesi, pratica sacramentale, rituale di penitenza e di salvezza in obbedienza ai vescovi e in linea con i tentativi di riforma pastorale di Benedetto XIV. Faceva proprie procedure apostoliche ormai codificate, specie nell’Italia centrale, grazie a gesuiti, lazzaristi, pii operai e alle grandi campagne di Leonardo da Porto Maurizio; i passionisti vi aggiungevano la centralità della devozione della Passione, carisma primario ben visibile dal grande crocifisso inalberato dai padri, detti ormai «passionisti», dal «segno» con il cuore e i chiodi della crocifissione che portavano sul petto. Offrivano l’immagine di un clero penitente e degno e un perdono accessibile a tutti attraverso l’esame di coscienza e l’unione intima con Dio, le riconciliazioni e le paci: un messaggio disciplinante e consolatorio, privo di dimensione sociale, particolarmente adatto all’umanità più desolata delle campagne, utile ai poteri civili, ma disinteressato, allora, a usare la pietà dei fedeli contro la modernità.
Con le sue cento missioni fino ad allora celebrate, il fondatore era noto alle genti dei borghi rurali, e alle élites locali che lo sceglievano volentieri come guida spirituale. Aveva affinato la sua cultura leggendo («quanto ho potuto») Francesco di Sales, Giovanni della Croce e Teresa de Avila e, soprattutto, Jan Thauler, conosciuto tramite la spiritualità del Carmelo (Alonso Blanco, 1992) e poi con la lettura diretta (Petrocchi, 1979, pp. 26-30; Breton, 1986; Nanni, 2000). La fama raggiunta con le oltre cento missioni, gli scritti spirituali e la vasta rete di patronages (sostenuta da una intensissima corrispondenza) rendevano ormai possibile l’insediamento a Roma progettato dal 1746. Alla vigilia dell’anno santo 1750, il fondatore fu chiamato a partecipare al programma di missioni cittadine lanciato dal pontefice. Fu un impegno limitato alla sola chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, ma significativo perché coincideva con la grande offensiva lanciata dai frati mendicanti della provincia di Campagna e Marittima per arginare i ritmi convulsi degli insediamenti passionisti poi messo a tacere dal pontefice (Giorgini, 1981, pp. 129-132; Zoffoli, 1963-1968, III).
Convinto della centralità delle missioni per la tenuta della Chiesa, Benedetto XIV aveva approvato le Regole (Breve del 18 apr. 1746), ma negato il titolo di congregazione e taciuto sulla figura giuridica e sui voti solenni; il successore Clemente XIII Rezzonico (nel 1760 e nel 1765) confermò tale linea. Si trattava di nodi decisivi del controllo del clero, tanto più importanti nell’offensiva dei Lumi e nell’avvicendarsi veloce dei pontificati, ma si riverberarono nelle 12 fondazioni passioniste, favorendo malumori e defezioni in parte arginati da un rinnovato assetto gerarchico-territoriale. Lo status giuridico di «congregazione» di chierici con voti semplici fondata per «meditare il Cristo sofferente ed annunciarlo agli uomini» fu accolto dal nuovo papa Clemente XIV che, estimatore di Paolo come predicatore e guida spirituale, approvò in forma solenne le Regole (Bolla Supremi Apostolatus, 15 e 16 nov. 1769) e la fondazione femminile di Corneto (Giorgini, 1999). La congregazione era ormai stabile a Roma, nell’Ospizio del Ss. Crocifisso, il «granello di senapa» anticipatore di un più rappresentativo insediamento, raggiunto il 9 dicembre 1773 con l’assegnazione del prestigioso complesso di Ss. Giovanni e Paolo sul monte Celio, recentemente restaurato e fino ad allora occupato dai lazzaristi (Nanni, 1997). La Compagnia di Gesù era stata soppressa nel luglio e, nel conseguente e concorrenziale riassetto delle famiglie religiose, la giovane congregazione conquistava uno spazio di enorme valenza simbolica e politica.
Paolo della Croce, da anni malato, seguì vigile l’approvazione dell’ultima revisione della Regola, approvata da Pio VI con la Bolla Praeclara virtutum exempla del 15 settembre 1775. Personaggio complesso, ortodosso, ma sensibile al richiamo quietista (Petrocchi, 1979), Paolo della Croce fu missionario e mistico, nella vocazione, negli scritti, nella direzione spirituale, nelle sue ultime ore nel Ritiro celimontano, dove morì il 18 ottobre 1775. Proclamato beato il 29 giugno 1853 da Pio IX, fu canonizzato dallo stesso pontefice il 29 giugno 1869.
Opere. Lettere scelte… (agli ecclesiastici), Roma 1867; Lettere…, a cura di A. Casetti, I-IV, Roma 1924; Diario di s. Paolo della Croce…, a cura di Stanislao dell’Addolorata, Torino-Roma 1926; Regulae et Constitutiones…, a cura di F. Giorgini, Roma 1958; Notizia 1747, in F. Giorgini, L’educazione dei chierici nella Congregazione della Passione, in Gioventù passionista, II, S. Gabriele (TE) 1958, pp. 70-72; Scritti spirituali, a cura di G. Chiari, I, Diario spirituale; Lettere a familiari e laici, Roma 1974, II, Lettere a laici ed ecclesiastici, 1974, III, Lettere ai suoi religiosi e a religiose, 1975; Trattato della morte mistica… (1760 circa), a cura di P. Alonso Blanco, Bilbao 1976 (e in Saint Paul de la Croix, Journal Spirituel, Mort Mystique…, Paris 1979); Guida… Regolamento comune del 1755, Roma 1980; Lettere ai Passionisti, a cura di F. Giorgini, Roma 1998; Lettere di formazione e direzione spirituale ai laici, a cura di M. Anselmi, I-II, Roma 2001; Diario spirituale di san Paolo della Croce, a cura di P. Sardi, Castellazzo Bormida 2006.
Fonti e Bibl.: Per le fonti archivistiche e la storiografia, analitiche indicazioni nella bibliografia: E. Zoffoli San Paolo della Croce: storia critica, I-III, Roma 1963-1968, F. Giorgini, Storia della congregazione..., I, Pescara 1981). S. Vincenzo M. Strambi, Vita del Venerabile Servo di Dio P. Paolo della Croce…, Roma 1786, Cantalupa (TO) 2004; Vita del Venerabile Servo di Dio P. Paolo della Croce…, Roma 1821; Pio del Nome di Maria, Vita del beato Paolo della Croce…, Roma 1853; Stanislao dell’Addolorata, Il fondatore dei Passionisti, Roma 1917; Gaetan du Saint Nom de Marie, Doctrine… sur l’oraison et la mystique, Louvain 1932; s. Vincenzo M. Strambi, Lo spirito di s. Paolo della Croce…, Alba 1951; E. Zoffoli, S. Paolo della Croce: storia critica, I-III, Roma 1963-1968; Gianmaria (Cioni) di s. Ignazio m., Annali della Congregazione…, Roma 1967; I Processi di beatificazione e canonizzazione…, a cura di Gaetano dell’Addolorata, I-IV, Roma 1969-1979; D. Vizzari, San Alfonso Maria de’ Liguori, san Paolo della Croce, mons. Emilio Giacomo Cavalieri, Napoli 1976; M. Petrocchi, Storia della spiritualità italiana, III, Roma 1979; P. Disma, Diario intimo…, Calcinate 1981; F. Giorgini, Storia della congregazione…, I, Pescara 1981; S. Rouse, Reflections on Spiritual Direction in St. Paul of the Cross, Rome 1982; Costituzioni della Congregazione…, Roma 1984; S. Breton, La mistica della Passione in San Paolo della Croce, Pescara 1986; M. Bialas, The Mysticism of the Passion…, San Francisco 1990; P. Alonso Blanco, San Juan de la Cruz en el sistema de espiritualidad de San Pablo de la Cruz, in Dottore mistico: San Giovanni della Croce, a cura di E. Pacho, Roma 1992, pp. 311-346; L. Châtellier, La religion des pauvres…, Paris 1993; A. Laguzzi, L’Ovada di Paolo Daneo, in Urbs, VII (1994), 1, monografico: San Paolo della Croce e la sua Ovada, pp. 11-22; B.N. Bordo, La Direzione spirituale di S. Paolo della Croce, Roma 1995; A.M. Artola, La Morte Mistica…, Roma 1996; S. Nanni, Spazi, linguaggi, simboli delle congregazioni. L’“edificazione” passionista, in Cérémonial et rituel à Rome (XVI-XIX siècle), Rome 1997, pp. 239-279; F. Giorgini, Suore passioniste…, Roma 1999; M. Rosa, Settecento religioso…, Venezia 1999; S. Nanni, Les formes nouvelles de la dévotion au Christ…, in Religions en transition…, Oxford 2000, pp. 141-154; E. Dos Santos, La morte mistica in San Paolo della Croce, Roma 2007.